Questa locuzione, conosciutissima e adoperata a ogni piè
sospinto, si usa per mettere in evidenza, con una certa "eleganza",
il fatto che una persona - molto spesso - prende un grosso abbaglio, erra
credendo di non... errare; oppure crede di aver fatto un grosso affare ed è
stata, invece, raggirata. L'origine, crediamo,
non abbisogna di spiegazioni essendo intuitiva; la proponiamo,
comunque, per dovere d'informazione.
L'espressione, dunque, deriva, con molta probabilità, dalla pesca con la canna:
allorché il pescatore cala la lenza in un fondale basso e sente che il "pescato" comincia a
dimenarsi per sganciarsi ritiene di aver pescato una grossissima preda. Quando
tira sú (sic!) l'amo la delusione, però, è forte: si ritrova un granchio.
***
La parola, di ieri, proposta da "unaparolaalgiorno.it": specioso.
lunedì 29 febbraio 2016
domenica 28 febbraio 2016
Madrelingua: quale plurale?
Chissà se i responsabili del settore lessicografico della Treccani si
imbatteranno in questo portale ed emenderanno
il plurale di "madrelingua". Vocabolario: «Madrelìngua (anche madre
lìngua)
s. f. (pl. madrilìngue,
o madri
lìngue). – La lingua materna, cioè la lingua appresa o comunque
parlata dai genitori o antenati; in genere, per chi risiede all’estero, la
lingua del Paese d’origine».
Il sostantivo suddetto in grafia univerbata nella forma plurale muta solo la desinenza del secondo elemento: madrelingua / madrelingue. Nella grafia analitica (due parole) muterà la desinenza di entrambi i sostantivi: madre lingua / madri lingue. Il peggio - come suol dirsi - non è mai morto: per il GRADIT ("minor") il sostantivo in questione è addirittura invariabile.
Il sostantivo suddetto in grafia univerbata nella forma plurale muta solo la desinenza del secondo elemento: madrelingua / madrelingue. Nella grafia analitica (due parole) muterà la desinenza di entrambi i sostantivi: madre lingua / madri lingue. Il peggio - come suol dirsi - non è mai morto: per il GRADIT ("minor") il sostantivo in questione è addirittura invariabile.
sabato 27 febbraio 2016
Essuto
E se riesumassimo essuto, l'antico participio passato del verbo essere? Si veda anche qui. Per quanto attiene al "moderno" participio passato "stato", a nostro modesto avviso siamo in presenza di un caso di suppletivismo.
venerdì 26 febbraio 2016
Inferto e inferito
Entrambi i termini sono participi passati del verbo
"inferire", che ha due accezioni diverse: causare danni o ferite, sia
morali sia fisiche e arrivare a una
conclusione, quindi dedurre, desumere. La coniugazione è la medesima
tranne che nella prima persona singolare e nella terza plurale del passato
remoto e, appunto, nel participio passato. Avremo inferto, quando il verbo sta per "provocare danni" e inferito quando vale "dedurre":
il malvivente gli ha inferto cinque
coltellate; dalle indagini svolte la polizia ha inferito che l'uomo era estraneo ai fatti. Quanto al passato remoto
avremo infersi e infersero nell'accezione di "cagionare danni" ; inferii e inferirono nel significato di "dedurre". Un'ultima
annotazione. Inferire è un
"quasi sinonimo" di infierire
in quanto i due verbi hanno sfumature diverse; inoltre il primo è transitivo,
il secondo intransitivo. Interessantissima, in proposito, l' «opinione» del Tommaseo.
* * *
Dappresso e davanti
Il primo vocabolo si può scrivere anche in due parole: da presso. Mai con l’apostrofo (d’appresso). Il secondo, preposizione
impropria, si costruisce regolarmente con la a: abito davanti a lui.
Si sconsiglia l’impiego della preposizione unita direttamente al sostantivo:
passavo davanti la casa; meglio davanti alla
casa. La medesima “regola” vale per dinanzi e checché ne dicano certi vocabolari la "di" non è geminante, vale a dire non fa raddoppiare la "n" (*dinnanzi). L' "errore" è dovuto, probabilmente, per un accostamento analogico con “innanzi” il cui rafforzamento sintattico (raddoppiamento della “n”) è solo apparente perché la doppia “n” risulta dalla fusione di “in” e dalla locuzione latina “in antea” già contratta in “nanzi” (in + in antea = in nanzi = innanzi); dinanzi deriva, invece, dalla fusione di “di” e di “nanzi” = dinanzi).
giovedì 25 febbraio 2016
«La» scooter
Lucca, muore dopo 20 giorni di agonia
il pensionato ucciso dalla scooter pirata
il pensionato ucciso dalla scooter pirata
Cosí titolava un giornale a diffusione nazionale. La stampa
- ignorando le raccomandazioni della Crusca - continua "imperterrita"
ad adoperare forestierismi quando ci sono termini "omologhi"
italiani. Il bello, oltre tutto, è che li sbagliano anche. "Scooter",
adoperato in italiano, è di "sesso" maschile. Leggiamo, infatti, nel
vocabolario Treccani in rete: «scooter ‹skùutë› s. ingl. [der. del gergale (to) scoot «guizzare
via»] (pl. scooters ‹skùutë∫›), usato in ital. al masch.».
***
mercoledì 24 febbraio 2016
Messa di requiem
Gentilissimo dott. Raso,
ho dato un'occhiata al suo libro (peccato che non sia in vendita) e gli occhi mi sono caduti dove tratta dell'uso corretto della preposizione "da". Lei sostiene che si debba dire "Messa di requiem" e non "da". I testi che ho consultato sembrano, però, darle torto. A questo punto sono spiazzato: a chi debbo dare ascolto? Mi "illumini" meglio, la prego. Restando in attesa di un suo cortese riscontro, la saluto cordialmente.
Mario T.
Rovereto (Trento)
ho dato un'occhiata al suo libro (peccato che non sia in vendita) e gli occhi mi sono caduti dove tratta dell'uso corretto della preposizione "da". Lei sostiene che si debba dire "Messa di requiem" e non "da". I testi che ho consultato sembrano, però, darle torto. A questo punto sono spiazzato: a chi debbo dare ascolto? Mi "illumini" meglio, la prego. Restando in attesa di un suo cortese riscontro, la saluto cordialmente.
Mario T.
Rovereto (Trento)
------------
Cortese Mario, non si tratta di dare ascolto a qualcuno, si
tratta di osservare le norme grammaticali che regolano la nostra lingua. E una
di queste norme stabilisce che si deve usare la preposizione "di",
non "da", quando si parla di una determinata "qualità" di
una cosa. Mi sembra inverosimile che i suoi testi non facciano menzione di questa
"regola". Comunque, gentile amico, al di là di ogni polemica
linguistica, fa fede Giuseppe Verdi che ha composto la "Messa di
requiem".
***
La parola proposta è: dimergolare.
Verbo relegato in soffitta, vale "barcollare" e simili. Si veda qui e
qui.martedì 23 febbraio 2016
Il "configlio" e l' "anedottica"
Un interessante articolo del prof. Michele Cortelazzo, dell'Università di Padova e accademico della Crusca, peccato che sia vanificato da una "anedottica" in luogo di aneddotica. Termine ritenuto errato dallo stesso correttore di Virgilio (Sapere.it).
lunedì 22 febbraio 2016
Errori "opinionistici"
Ci dispiace dover censurare, di tanto in tanto, la lingua degli operatori
dell’informazione, quelli della carta stampata particolarmente, anche se molti
di questi posseggono una laurea in lettere e si piccano di fare la lingua; non
è sufficiente una laurea in materie letterarie per potersi fregiare del titolo
di linguista.
Non possiamo, dunque, rimanere impassibili davanti a orrori ortografici di cui è infarcita la stampa e gli opinionisti non possono più addebitare gli errori ortografici alla svista dei correttori di bozze, categoria ormai estinta. Vediamo, dunque, sfogliando a caso qualche quotidiano, alcune indecenze ortografiche, in corsivo gli orrori.
L’arrestato, per farsi compatire, camminava a mò d’ubriaco; con quel pò pò di alterigia era naturale che tutti lo snobbassero; nella casa degli orrori è comparsa la scritta villa d’affittare; in quella notte tranquilla gl’astri brillavano sullo sfondo azzurro; nessun’ uomo, di questi tempi, può sentirsi tranquillo se abita una villa isolata; qual’è il difetto peggiore, domandò all’intervistata; il suo comportamento è veramente d’ammirare; gl’umori degli astanti non lasciavano presagire nulla di buono; il suo modo di fare è pressocché inaccettabile; il ragazzo è uscito dal coma grazie all’attente cure della mamma; sei proprio un bel angelo, disse la mamma al figlioletto; fate attenzione, recitava un cartello affisso nella fabbrica, gl’acidi sono nocivi alla salute; l’auto dei banditi non ha rispettato l’alt della polizia e ha accellerato la corsa; l’uomo è stato investito sulle striscie pedonali; il ministro ha, però, ribadito che non tutti beneficieranno delle agevolazioni.
Potremmo continuare, ma non vogliamo tediarvi oltre misura.
Sanguinario e sanguinoso
Non possiamo, dunque, rimanere impassibili davanti a orrori ortografici di cui è infarcita la stampa e gli opinionisti non possono più addebitare gli errori ortografici alla svista dei correttori di bozze, categoria ormai estinta. Vediamo, dunque, sfogliando a caso qualche quotidiano, alcune indecenze ortografiche, in corsivo gli orrori.
L’arrestato, per farsi compatire, camminava a mò d’ubriaco; con quel pò pò di alterigia era naturale che tutti lo snobbassero; nella casa degli orrori è comparsa la scritta villa d’affittare; in quella notte tranquilla gl’astri brillavano sullo sfondo azzurro; nessun’ uomo, di questi tempi, può sentirsi tranquillo se abita una villa isolata; qual’è il difetto peggiore, domandò all’intervistata; il suo comportamento è veramente d’ammirare; gl’umori degli astanti non lasciavano presagire nulla di buono; il suo modo di fare è pressocché inaccettabile; il ragazzo è uscito dal coma grazie all’attente cure della mamma; sei proprio un bel angelo, disse la mamma al figlioletto; fate attenzione, recitava un cartello affisso nella fabbrica, gl’acidi sono nocivi alla salute; l’auto dei banditi non ha rispettato l’alt della polizia e ha accellerato la corsa; l’uomo è stato investito sulle striscie pedonali; il ministro ha, però, ribadito che non tutti beneficieranno delle agevolazioni.
Potremmo continuare, ma non vogliamo tediarvi oltre misura.
***
Si presti
attenzione ai due termini: il primo può essere tanto sostantivo quanto
aggettivo (quell’uomo è un sanguinario; un pazzo sanguinario); il secondo è
solo aggettivo (una ferita sanguinosa). Vediamo la composizione e il
significato intrinseco delle due parole. Sanguinario, dunque, significa che è
portato a uccidere e ce lo dice il suffisso "-ario" atto a indicare
un mestiere, una professione, un’attività (impresa / impresario; banca /
bancario; sangue... sanguinario). Sanguinoso, invece, con il suffisso "-oso"
che indica la presenza di una certa qualità o condizione, sta per sporco di
sangue.
***
La parola
che proponiamo oggi è insonte.
Sebbene sia relegata in soffitta la segnaliamo perché dal "sapore"
aulico. È un aggettivo e vale "innocuo", "che non fa male",
"che non nuoce", "che non danneggia".
sabato 20 febbraio 2016
Gli aggettivi non sempre sono "utili"
Molto spesso, e probabilmente senza accorgercene, nei nostri
scritti adoperiamo aggettivi "inutili" che appesantiscono la
scorrevolezza concorrendo alla
formazione della cosí detta tautologia. Riportiamo, in proposito, un divertente
passo del linguista Luciano Satta. «Evitare l'aggettivo inutile, l'aggettivo
ridondante, l'aggettivo "tautologico" (...). E siccome gli aggettivi
in genere non devono mai essere troppi, ecco una bella occasione per
risparmiare. Facciamo un esempio molto semplice: non si deve dire "cerchio
rotondo" perché "rotondo" in questo caso è di troppo. Sembra una
sciocchezza, ma tutti ci caschiamo, sia scrivendo aggettivi inutili, sia non
accorgendoci, nella lettura, di quelli che gli altri scrivono. Se leggete
"fra i due c'è una grande 'collaborazione reciproca' " e riflettete un poco,
notate subito che di quel 'reciproca' si può fare benissimo a meno, anzi si
deve fare a meno, perché una collaborazione fra due persone è sempre reciproca,
altrimenti che collaborazione sarebbe? Cosí, dire che un uomo è stato
condannato secondo le 'vigenti leggi' vuol dire sprecare una parola, essendo
poco probabile che uno venga condannato per una legge che non è piú in vigore;
e ancor piú pesante è la ridondanza quando si parla, come spesso si fa, di un
uomo condannato secondo le 'leggi attualmente vigenti'. Altrettanto inutile è
dire che per esaminare una certa faccenda, per fare una certa indagine è stata
creata un' 'apposita commissione': se la
commissione è stata creata per quella certa faccenda o indagine, è per forza
apposita. Si può fare a meno, inoltre,
dell'aggettivo 'futuro' in frasi come
queste, che sentiamo spesso alla radio e alla televisione o leggiamo sui
giornali quando viene intervistato qualcuno: "Quali sono i suoi 'progetti
futuri'?"; "Mi parli del suo 'programma futuro' ". Un progetto,
un programma sono sempre futuri, in
questi casi. Si sa che ci possono essere programmi e progetti per un 'futuro
lontano' per un 'futuro immediato', e allora quando ci sono precisazioni simili
tutto va bene». Cortesi amici, aguzzate la vista quando leggete i giornali, e gli orecchi quando ascoltate un servizio radiotelevisivo, avendo a portata di mano una calcolatrice per... calcolare gli aggettivi adoperati inutilmente.
venerdì 19 febbraio 2016
Tielismo o tialismo
La parola proposta oggi è: tielismo. Sostantivo con il quale si indica un'eccessiva salivazione. Si veda anche qui e qui.
giovedì 18 febbraio 2016
Generone
Interessante la parola proposta, ieri, da "unaparolaalgiorno.it": generone.
***
Comma e capoverso – i due termini non sono sinonimi, come erroneamente
si crede. E i vocabolari non aiutano. La spiegazione più chiara viene dal
vocabolario della Treccani che riportiamo fedelmente. Alla voce comma leggiamo: “Ognuna delle
suddivisioni di un articolo di legge, rappresentata tipograficamente da un
accapo, in modo che il primo comma
corrisponde al ‘principio’, il secondo
comma al ‘primo capoverso’ e così via”. Al lemma capoverso si legge: “Nelle citazioni di leggi, regolamenti,
contratti ecc. si chiamano primo,
secondo, terzo capoverso e così via le suddivisioni dell’articolo
corrispondenti rispettivamente al secondo, terzo, quarto comma, spettando al
primo comma il nome di principio.
mercoledì 17 febbraio 2016
Considerazioni "verbali"
Considerazioni sull'uso non ortodosso - a
nostro modo di vedere - di alcuni verbi, cosí, come ci vengono alla mente. Chiamare: è spesso adoperato,
soprattutto nel linguaggio sportivo, nel significato di "chiedere" ,
"richiedere" (l'attaccante ha chiamato
la palla al compagno). Dimissionare: verbo da evitare, tanto
nella forma attiva quanto in quella riflessiva (i vertici aziendali hanno dimissionato il capufficio; il sindaco si è dimissionato). In
questi casi i verbi da adoperare correttamente - sempre a nostro modo di vedere
- sono: licenziare, congedare, deporre
ecc. Dirottare (propriamente "cambiare rotta"): oggi è invalso
l'uso di riferirlo a persone (l'impiegato addetto è stato dirottato in un altro ufficio). Formare:
spesse volte è adoperato in luogo di "rappresentare",
"essere", "costituire" e simili (la famiglia forma la mia ragione di esistere). Identificare: propriamente vale vedere
se due o piú persone o cose sono identiche, uguali. Oggi si adopera sempre piú
spesso con l'accezione di "accertare", "ravvisare",
"riconoscere" e simili (dopo l'incidente il corpo del ragazzo è stato
identificato dai
genitori).
***
La parola proposta e non attestata nei vocabolari
dell'uso: pessundare. Verbo polisemico,
vale "ingiuriare" e "calpestare".
***
Anche l'Accademia della Crusca può incorrere in errore,
sia pure veniale:
Il
signor Daniel B. ha chiesto all'Accademia un'interpretazione della forma salvo considerata "in
tutte le sue possibili accezioni", indipendentemente dal genere (salva/salvo) e dal fatto che
introduca o meno una proposizione esplicita (salvo
che, salvo che
non...): quando ha valore di "eccetto che" e quando
quello di "fermo restando che"?
---------
Dov'è l'errore? Vi domanderete. È presto detto: nell'uso
errato dell'avverbio "meno" nel significato di "no". La
cosa è ancora piú "stupefacente" perché Luca Serianni, esponente
della stessa Accademia, scrive: «In luogo di o no si adopera anche o meno (“ecco
due cose le quali non so se mi garbassero o meno” Nievo), locuzione
molto diffusa ma da evitare almeno nello scritto e nel parlato piú formale». Anche
Aldo Gabrielli, nel suo "Dizionario Linguistico Moderno", scrive: « [meno] (…) non deve mai
usarsi in proposizioni disgiuntive col significato di ‘no’: “Non so se partire
o meno”; “Dimmi se verrai o meno alla conferenza”; dirai: “Non so se partire o
no (oppur no)”; “Dimmi se verrai o no (o non verrai) alla conferenza” (…)».
martedì 16 febbraio 2016
Brainstorming: possiamo dirlo in italiano?
Alla domanda del titolo risponde la Crusca. Da parte nostra ribadiamo la ferma contrarietà all'uso dei barbarismi. Se un termine non ha un suo "omologo" italiano o non è traducibile nella lingua di Dante si ricorra a una perifrasi.
***
La competenza linguistica
Forse alcuni si imbatteranno per la prima volta in questo termine perché non è trattato in tutti i testi di lingua. Per parlare e scrivere secondo i "canoni linguistici" è necessario, ovviamente, farsi capire costruendo frasi, però, in modo appropriato, a seconda dell'argomento, della situazione (in cui ci troviamo) e del "ruolo" delle persone alle quali indirizziamo i nostri scritti e i nostri discorsi. Queste tre "qualità" fanno parte della competenza linguistica. Per approfondimenti si clicchi qui.
***
La competenza linguistica
Forse alcuni si imbatteranno per la prima volta in questo termine perché non è trattato in tutti i testi di lingua. Per parlare e scrivere secondo i "canoni linguistici" è necessario, ovviamente, farsi capire costruendo frasi, però, in modo appropriato, a seconda dell'argomento, della situazione (in cui ci troviamo) e del "ruolo" delle persone alle quali indirizziamo i nostri scritti e i nostri discorsi. Queste tre "qualità" fanno parte della competenza linguistica. Per approfondimenti si clicchi qui.
lunedì 15 febbraio 2016
Il troppo "ammenne" guasta la messa
Questo modo di dire di origine proverbiale - oggi relegato
nella soffitta della lingua - non
avrebbe bisogno di spiegazioni, il significato è, infatti, insito nelle stesse
parole: i troppi "amen"
ripetuti, soprattutto nelle messe cantate, "rovinano" la messa
stessa. L'espressione - adoperata in
senso figurato, naturalmente - si
riferisce alle persone che ripetono, nei loro discorsi, sempre le stesse cose
e, quindi, li "rovinano"; cosí
come i troppi amen "guastano" la messa - come faceva rilevare il popolo
- 'rompendo' gli orecchi (soprattutto nelle messe cantate) e distogliendo, in
tal modo, l'attenzione dei fedeli dal sacro rito.
***
Cofondatore o confondatore?
Di gran lunga preferibile confondatore, come fa notare il DOP, perché il prefisso con- perde la "n" solo davanti a parole che cominciano con una vocale: coinquilino, coautore, coetaneo ecc.
***
La parola proposta da questo portale e non attestata nei
vocabolari dell'uso: pacchinare. Il
verbo indica i colpetti che si danno sul capo con tutte le dita distese.***
Cofondatore o confondatore?
Di gran lunga preferibile confondatore, come fa notare il DOP, perché il prefisso con- perde la "n" solo davanti a parole che cominciano con una vocale: coinquilino, coautore, coetaneo ecc.
sabato 13 febbraio 2016
La dessiografia
La parola proposta da questo portale: dessiografia. È la scrittura che va da sinistra verso destra.
E quella segnalata, ieri, da "unaparolaalgiorno.it": badare.
E quella segnalata, ieri, da "unaparolaalgiorno.it": badare.
***
Il cammello evangelico
Forse
non tutti sanno che quanto si legge nel Vangelo di San Matteo «È più facile
che un cammello passi dalla cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei
Cieli», il cammello non c’entra nulla. In realtà San Gerolamo, che tradusse
dal greco al latino il testo, interpretò il termine kamelos come cammello, mentre l'esatto
significato è grossa fune utilizzata per l'attracco delle navi. Il senso
della frase resta ugualmente lo stesso, ma acquista molta più consistenza.
venerdì 12 febbraio 2016
Fragranza e... flagranza
Abbiamo notato, e con stupore, che molti
operatori dell'informazione credono che i sostantivi "fragranza" e
"flagranza" siano l'uno sinonimo dell'altro. Li adoperano, quindi,
indifferentemente. No, i due termini hanno significati totalmente diversi. Diamo
la "parola" al vocabolario Treccani in rete:
fragranza s. f. [dal lat. fragrantia, der. di fragrans -antis «fragrante»]. – Odore
intenso, gradevole e delicato: la f. delle zagare; la f. del
pane appena cotto; una f. intorno Sentìa qual d’aura de’ beati
Elisi (Foscolo).
flagranza s. f. [dal lat. flagrantia; v. flagrante]. – Nel linguaggio giur., condizione di un reato che viene constatato nel momento stesso
in cui viene commesso; stato di f., quello in cui si trova l’autore di un reato quando è sorpreso
nell’atto stesso di commetterlo, ovvero quando, immediatamente dopo il reato, è
inseguito dalla forza pubblica, dall’offeso dal reato o da altre persone,
ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso
poco prima il reato.
giovedì 11 febbraio 2016
Passare il quarto d'ora di Rabelais
Vi è mai capitato, cortesi lettori, di provare sulla vostra "pelle" il quarto d'ora di Rabelais? Di trovarvi, cioè, in un momento difficile, in una situazione critica? In particolare, gentili amici, di dover pagare senza avere i soldi o di dover rendere conto di qualcosa senza averne i mezzi? P. M. Quitard cosí spiega questo modo di dire: si racconta che Rabelais si trovava a Lione e non aveva i soldi per pagare la stanza presso la quale aveva preso alloggio. Aguzzato l'ingegno, dispone sul tavolo, in bella mostra, alcuni pacchetti con sopra scritto: "polvere per il re", "polvere per la regina", "polvere per il delfino". L'oste, credendo di trovarsi di fronte a un avvelenatore, non ci pensò due volte e lo denunciò. Il curato di Meudon (Rabelais) fu immediatamente arrestato e condotto, sotto buona scorta, a Parigi. Dopo tante peripezie fu ammesso al cospetto del re Francesco I. Questi, che ben conosceva l'indole "mattoide" del suo suddito, comprese tutto, ringraziò i gendarmi di Lione per avere svolto in modo encomiabile il loro dovere e invitò a pranzo... l'avvelenatore.
***
Purchessia, anche purcheffosse, sebbene quest'ultimo aggettivo non sia attestato nei vocabolari dell'uso. È "immortalato" nel DOP.
mercoledì 10 febbraio 2016
La battologia
La parola proposta ieri da "unaparolaalgiorno.it", la battologia, è stata trattata anche da questo portale. La riproponiamo come integrazione a quella segnalata dal sito summenzionato.
martedì 9 febbraio 2016
La topofobia e la muridofobia
Gentilissimo dott. Raso,
è la prima volta che le scrivo sebbene la segua da "illo tempore"; il suo sito, infatti, l'ho messo tra i preferiti ed è il primo in assoluto. Le scrivo perché ho urgente necessità di sapere se esiste un termine atto a indicare la paura dei topi. I vocabolari consultati - se ho saputo "spulciarli - non ne fanno menzione. Ho pensato a "topofobia". Esiste questo termine? Si può adoperare per indicare, appunto, la paura dei topi? Ho scaricato il suo libro: definirlo prezioso è riduttivo. In attesa di un suo cortese riscontro la saluto cordialmente.
Ernesto M.
Pisa
***
Finalmente! La Crusca boccia i termini tecnici inglesi. Forse potremo fare a meno di avere a portata di mano un vocabolario inglese-italiano quando, seduti in poltrona, leggiamo un giornale "italiano".
è la prima volta che le scrivo sebbene la segua da "illo tempore"; il suo sito, infatti, l'ho messo tra i preferiti ed è il primo in assoluto. Le scrivo perché ho urgente necessità di sapere se esiste un termine atto a indicare la paura dei topi. I vocabolari consultati - se ho saputo "spulciarli - non ne fanno menzione. Ho pensato a "topofobia". Esiste questo termine? Si può adoperare per indicare, appunto, la paura dei topi? Ho scaricato il suo libro: definirlo prezioso è riduttivo. In attesa di un suo cortese riscontro la saluto cordialmente.
Ernesto M.
Pisa
-----------
Caro Ernesto, il termine da lei proposto,
"topofobia", esiste, anche se non attestato in tutti i vocabolari
dell'uso. Non significa, però, "paura dei topi", ma "paura di
determinati ambienti o luoghi". Il vocabolo è composto con le voci greche
"topos" (luogo) e "phobos" (timore, paura). Il suo opposto
è "topofilia" (attaccamento, amore per un luogo). La
"muridofobia", invece, indica la
paura dei ratti. Veda qui.***
Finalmente! La Crusca boccia i termini tecnici inglesi. Forse potremo fare a meno di avere a portata di mano un vocabolario inglese-italiano quando, seduti in poltrona, leggiamo un giornale "italiano".
lunedì 8 febbraio 2016
"Confessare il cacio"...
... cioè dire la verità. Ecco un altro modo di dire non piú
"di moda" e relegato, quindi, nella soffitta della lingua. L'origine
dell'espressione non è molto chiara, sembra sia tratta da una novella che narra
di alcuni fanciulli che avevano rubato il cacio, ma non volevano ammetterlo,
alla fine, però, "sotto pressione",
per paura di essere puniti se avessero continuato a mentire,
"confessarono il cacio", cioè dissero la verità. Benedetto Varchi,
nel suo "Ercolano", spiega: «Di coloro i quali (come si dice) confessano
il cacio, cioè dicono tutto quanto quello che hanno detto e fatto a chi ne gli
domanda, o nel potere della giustizia, o altrove che siano, s'usano questi
verbi, eccetera». Secondo un altro
autore, Ludovico Passarini, il modo di dire potrebbe derivare dal fatto che
"alle putte, o gazze, o cecche si dà da mangiare il cacio perché si crede
che le faccia cinguettar meglio, rendendo piú agile la loro linguetta e piú
atta a ripetere l'umana parola. D'onde potrebbe inferirsi che 'confessare il
cacio', detto di chi confessa il vero, sia modo tratto ironicamente da esse
putte, quasi dicesse [...] 'gli è venuta
la parlantina'; 'confessa con ciò di aver mangiato il cacio'; e quindi piú
semplicemente 'confessare il cacio' per dire la verità".
***
La parola, di ieri, proposta da "unaparolaalgiorno.it": smunto.
***
Cotto
e cociuto – entrambi i termini sono participi passati del
verbo cuocere. Il primo si adopera in senso proprio: il risotto è cotto; il secondo si usa in senso
figurato con l’accezione di indispettito e simili: la tua osservazione mi è cociuta ( mi ha indispettito).***
La parola, di ieri, proposta da "unaparolaalgiorno.it": smunto.
domenica 7 febbraio 2016
La bolletta "elettrica"
La RAI, da mesi , ci "martella" ricordandoci che da
quest'anno il canone si paga con la "bolletta elettrica". La notizia
ci ha spaventato e ci spaventa: come facciamo a toccare la bolletta se è
"elettrica"? Elettrico, stando ai vocabolari - il DISC, per esempio - significa: « Relativo
all'elettricità; che produce elettricità o è da essa prodotto o che funziona
grazie all'elettricità: centrale
e.» La bolletta produce elettricità? Funziona con
l'elettricità? A nostro modo di vedere si deve dire, correttamente, "bolletta dell'energia elettrica"
o "bolletta della luce". Cosí come si dice "bolletta del
gas" e non "bolletta gasata o gassata". Naturalmente qualche
linguista cosí detto progressista ci censurerà; se ciò accadrà, la cosa ci
lascerà nella piú "squallida indifferenza".
ho scaricato il suo libro, messo gentilmente in libera lettura dall'editore, e ho scoperto veramente un tesoro da custodire gelosamente. Peccato che non sia in vendita. I libri interessanti vanno "assaporati" e toccati. Come posso fare per reperire una copia cartacea del suo preziosissimo lavoro? Credo sia interessante e prezioso anche l'altro, "Giornalismo. Errori e Orrori". Purtroppo non sono riuscito a reperirlo nelle librerie. Può indicarmi dove trovarlo? Inutile dirle che seguo sempre le sue "noterelle" dalle quali apprendo cose che - come dice lei - non sono riportate nei "sacri testi". Un grazie di cuore e un cordiale saluto.
Edoardo S.
Belluno
Per l'altro, "Giornalismo. Errori e Orrori", si rivolga direttamente all'editore: "Gangemi editore", Roma - Piazza San Pantaleo, 4
Tel. 06.6872774 (9 linee r.a.) Fax 06.68806189;
Via Giulia, 142, 00186 Roma
Telefono: 06 687 2774
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Gentilissimo dr Raso,ho scaricato il suo libro, messo gentilmente in libera lettura dall'editore, e ho scoperto veramente un tesoro da custodire gelosamente. Peccato che non sia in vendita. I libri interessanti vanno "assaporati" e toccati. Come posso fare per reperire una copia cartacea del suo preziosissimo lavoro? Credo sia interessante e prezioso anche l'altro, "Giornalismo. Errori e Orrori". Purtroppo non sono riuscito a reperirlo nelle librerie. Può indicarmi dove trovarlo? Inutile dirle che seguo sempre le sue "noterelle" dalle quali apprendo cose che - come dice lei - non sono riportate nei "sacri testi". Un grazie di cuore e un cordiale saluto.
Edoardo S.
Belluno
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Cortese amico, la ringrazio per le sue belle parole. Per quanto
attiene al libro "Un tesoro di lingua" provi a chiedere all'
«Associazione nazionale cittadino e viaggiatore»: 50125 Firenze - Via San Niccolò, 21. Tel. 055
246 93 43 / 328 81 69 174Per l'altro, "Giornalismo. Errori e Orrori", si rivolga direttamente all'editore: "Gangemi editore", Roma - Piazza San Pantaleo, 4
Tel. 06.6872774 (9 linee r.a.) Fax 06.68806189;
Via Giulia, 142, 00186 Roma
Telefono: 06 687 2774
sabato 6 febbraio 2016
Fuori: "di" o "da"?
Sulla preposizione (semplice o articolata) che deve seguire
la preposizione impropria "fuori"
i vocabolari non sono tutti concordi e i linguisti si accapigliano:
"di" o "da"? "Fuori di" o "fuori da"?
Ci vediamo fuori del portone o fuori dal portone? Personalmente seguiamo -
senza se e senza ma, espressione tanto cara ai politici che frequentano i vari
salotti televisivi - le indicazioni dell'illustre glottologo Aldo Gabrielli, la
cui "fede linguistica" non può esser messa in discussione: «Fuori si
unisce al suo termine soltanto con la preposizione "di": fuori di
casa, fuori dei piedi, fuori dell'uscio e simili. Mai con la preposizione
"da", anche se non manca qualche esempio antico; perciò non diremo
"fuori da sé", "fuori da casa", "fuori dai
piedi"». Gli fa eco il linguista Vincenzo Ceppellini, che nel suo
"Dizionario Grammaticale" scrive: «Preposizione che indica distanza o
esclusione. È seguita dalla preposizione "di": "Son rimasto fuori di casa"; "È
uscito fuori di strada" (sebbene si trovi talora: fuori strada)». Come
dicevamo, alcuni vocabolari ammettono solo la preposizione "dI"; altri, salomonicamente, consentono tanto la
preposizione "di" quanto la preposizione "da". Che fare?
Seguite ciò che vi suggerisce il vostro "istinto linguistico". La
Crusca sembra essere dalla nostra parte.
venerdì 5 febbraio 2016
Arancina o arancino?
Sul "sesso" della gustosa specialità siciliana (arancina o arancino) il "verdetto" dell'Accademia della Crusca.
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La parola che segnaliamo, non attestata in tutti (?) i vocabolari dell'uso, è: azzuolo. Aggettivo che sta per azzurro.
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La parola che segnaliamo, non attestata in tutti (?) i vocabolari dell'uso, è: azzuolo. Aggettivo che sta per azzurro.
giovedì 4 febbraio 2016
Affibbiare
La parola (di ieri) proposta da "unaparolaalgiorno.it: affibbiare. Si veda anche qui.
E quella, sebbene relegata nella soffitta della lingua, proposta da questo portale: intamato. Aggettivo che vale consumato in parte, guasto e simili.
mercoledì 3 febbraio 2016
Un tesoro di lingua
La rivista dell' «Associazione Nazionale 'Nuove Direzioni'
Cittadino e Viaggiatore» ha raccolto in un volume e pubblicato le nostre
noterelle sulla lingua italiana. Il libro, non in vendita, è allegato alla
rivista n. 33. Chi è interessato può, comunque, leggerlo e scaricarlo cliccando
qui.
martedì 2 febbraio 2016
Mettere la pulce nell'orecchio e tenere bordone
Il cavalier De Rossi era molto geloso della moglie e questo
suo "difetto" era arrivato agli orecchi dei colleghi d'ufficio, che
non perdevano occasione per rendergli la vita difficile. Un giorno, un collega
piú "esuberante" decise che era giunto il momento di " mettere
alla prova" il De Rossi. D'accordo con altri colleghi che gli tenevano
bordone telefonò al collega "geloso" e, camuffando la voce, lo invitò
a controllare le "strane" uscite della moglie. Da quel giorno la vita
del De Rossi fu un inferno: trascorreva le notti insonne, la "pulce"
gli "ronzava" sempre nell'orecchio. I colleghi se ne accorsero e,
presi dal "rimorso" cercarono di tranquillizzarlo dicendogli che la
telefonata era stata uno scherzo di pessimo gusto. Ma la "pulce",
ormai, era "penetrata" negli orecchi di quel disgraziato.
"Tenere bordone" e "mettere la pulce nell'orecchio" sono
modi di dire propri della nostra lingua anche se, per la verità, il secondo è
un calco di un'espressione francese. Quanti conoscono l'origine di questi
idiomatismi? Vediamo di scoprirla insieme. Si adopera l'espressione
"tenere bordone" quando si vuole assecondare qualcuno in un'impresa o
in una discussione, soprattutto "contro" chi è impegnato in un lavoro o in un'attività su
cui è implicito un giudizio poco lusinghiero.
La locuzione è un prestito del linguaggio musicale: bordone è il nome di una canna di cornamusa
(e degli strumenti a fiato, in genere) che emette un solo suono e fa da
sostegno, da "accompagnamento" alla melodia eseguita dalle altre
canne. Colui che tiene bordone, quindi, in senso figurato,
"accompagna" un altro in una discussione e simili. Mettere (o avere)
la pulce nell'orecchio, invece, cioè insinuare dubbi, sospetti e simili,
ricalca l'espressione francese "mettre la puce à l'oreille". Questo
modo di dire era "di moda" in Francia nel secolo XIII ed era riferito
a colui (o colei) che era tormentato da una smania amorosa tanto da non
riuscire a dormire, quasi avesse una pulce che gli "ronzava" negli
orecchi.
lunedì 1 febbraio 2016
Il plurale di «guardaparco»? Guardaparchi
Leggiamo sul quotidiano la
Repubblica in rete un titolo che ci ha lasciato di stucco:
"I guardiaparco"? Come può un giornale "che
fa opinione" pubblicare simili
strafalcioni? Forse è il caso di "ricordare" ai redattori titolisti
del quotidiano che il termine corretto è guardaparco
(senza la "i) il cui plurale è guardaparchi.
Per quale motivo? Perché i nomi composti di una voce verbale (guardare) e di un
sostantivo singolare maschile (parco) si pluralizzano regolarmente: il guardaparco, i guardaparchi. Sarebbe bastato che avessero consultato un
qualsivoglia vocabolario della lingua italiana... Il Treccani, per esempio: guardaparco s. m. e f. [comp. di guarda- e
parco2](pl. m. -chi). – Guardiano addetto alla sorveglianza di un parco
nazionale.
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Il giornale ha prontamente emendato l' "orrore".
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Il giornale ha prontamente emendato l' "orrore".
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