sabato 11 ottobre 2025

Spacciare: il verbo che si è liberato di sé stesso

 

Ci sono verbi che sembrano nati per una funzione precisa, ma che nel tempo si sono infilati in contesti sempre più diversi, fino a diventare polisemici, ambigui, talvolta compromessi. “Spacciare” è uno di questi. Oggi lo associamo quasi automaticamente al traffico di stupefacenti, ma il suo percorso etimologico e semantico è ben più articolato, e merita di essere ripercorso con attenzione.

Il verbo “spacciare” deriva dall’antico “dispacciare”, forma oggi desueta ma un tempo comune, che significava “sbrigare”, “mandare via”, “concludere”. L’etimo risale al provenzale despachar, affine al francese dépêcher, e più indietro ancora al latino dis- (separazione) e impedicare (impacciare, ostacolare). “Spacciare”, dunque, nasce come gesto di liberazione: togliere gli impacci, sbrigare una faccenda, mandare via qualcuno o qualcosa.

Nel Trecento e nel Quattrocento, il verbo aveva un uso ampio e neutro. Boccaccio scrive: “Avendo il mercatante cipriano ogni suo fatto in Rodi spacciato”, cioè sbrigato, concluso. In altri testi si legge di messi che vengono “spacciati” in fretta, ovvero inviati con urgenza. Il significato primario è dunque quello del disbrigo, della risoluzione, della spedizione. Anche il senso di “uccidere” o “far fuori” si affaccia presto, ma in modo figurato: “spacciare qualcuno” significava liberarsene, eliminarlo, come si fa con un impiccio.

Col passare del tempo, il verbo si piega a nuovi usi. In ambito commerciale, “spacciare” diventa sinonimo di vendere, soprattutto in modo rapido o poco ortodosso: “spacciare una partita di merce”, “spacciare le rimanenze”, “spacciare a buon prezzo”. Qui il senso originario di “liberarsi di qualcosa” si conserva, ma si applica al mondo degli scambi. Il venditore spaccia ciò che ha in magazzino, lo smaltisce.

Da questo uso commerciale nasce, per slittamento semantico, l’accezione negativa: spacciare merce contraffatta, spacciare banconote false, spacciare olio di semi per extravergine. Il verbo si sporca, si avvicina all’inganno, alla truffa. E quando la merce diventa droga, il verbo si cristallizza nel linguaggio giuridico e giornalistico: “spacciare stupefacenti” è oggi l’uso più comune, quasi esclusivo, tanto da oscurare gli altri significati.

Ma non è finita. “Spacciare” può anche riferirsi alla diffusione di notizie false o tendenziose: “spacciare una bufala”, “spacciare una teoria infondata”, “spacciare per verità ciò che è menzogna”. Il verbo qui si fa ideologico, entra nel campo della propaganda, della manipolazione. E ancora: “spacciarsi per medico”, “spacciarsi per esperto”, “spacciarsi per nobile decaduto”. Il verbo si riflette su chi lo usa, diventa maschera, finzione, millanteria.

In tutti questi usi, il nucleo semantico resta sorprendentemente coerente: spacciare è sempre un atto di liberazione, di passaggio, di travestimento. Si spaccia ciò che si vuole far passare per altro, si spaccia ciò che si vuole togliere di mezzo, si spaccia ciò che si vuole diffondere, vendere, fingere. È un verbo che agisce sul confine tra vero e falso, tra lecito e illecito, tra ciò che è e ciò che si fa credere.

Oggi, nel linguaggio comune, “spacciare” è quasi sempre associato al crimine. Ma chi ama la lingua sa che ogni parola ha una storia, e che dietro ogni uso c’è un reticolo di significati, di immagini, di evoluzioni. “Spacciare” è il verbo del traffico, sì, ma anche della risoluzione, della finzione, della velocità. È una parola che ha fatto carriera, e che merita di essere trattata con la stessa attenzione che riserviamo ai grandi protagonisti del nostro lessico.


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La lingua "biforcuta" della stampa

 Il sindaco: “Abbiamo apposto le transenne per evitare il passaggio dei pedoni”

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Correttamente: abbiamo posto. Apporre significa “mettere una firma o un sigillo”, non “collocare fisicamente qualcosa”.

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Pultroppo la coppia si è separata

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Pultroppo per purtroppo è uno strafalcione frequente, purtroppo...

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«Fa attenzione a chi ti stà vicino»

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Correttamente: fa’ (con l’apostrofo) e sta (senza accento).





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