In aeronautica, la carlinga è quella parte anteriore della fusoliera che ospita il pilota e gli strumenti di comando. È il cuore operativo dell’aeromobile, il suo 'cervello' abitabile, il suo sguardo in avanti. Eppure, il termine che usiamo per designarla non è italiano. Carlinga viene dal francese carlingue, a sua volta derivato da una voce marinaresca scandinava, che indicava una parte dell’armatura della nave. Un prestito tecnico, certo, ma opaco, non trasparente, e soprattutto non nostro.
Nel linguaggio aeronautico italiano, carlinga è un corpo estraneo: non si riconosce nella morfologia della nostra lingua, non si lascia scomporre, non suggerisce nulla al lettore comune. È un guscio semantico vuoto, che sopravvive per inerzia. E allora, come per normotipo (che secondo chi scrive dovrebbe "scalzare" il barbaro 'standard'), è tempo di proporre un’alternativa: un neologismo italiano, trasparente, funzionale, rubricabile e "lemmatizzabile": pilotàcolo.
La neoformazione nasce dalla fusione morfologica di pilota e abitacolo, con caduta della sillaba centrale e conservazione dell’accento tonico. Il risultato è un sostantivo compatto, sonoro, inequivocabile, che comunica subito la funzione e la posizione del compartimento. Il nuovo lessema si può anche far derivare dal verbo “pilotare” + il suffisso “-acolo” (latino ‘-aculum’): “luogo destinato all’azione del pilotare” → luogo per piloti. È italiano, è trasparente, è pronto per l’uso. E soprattutto, è libero da ambiguità: non si confonde con cabinovia, non richiama gabbie per uccelli, non si appoggia a radici opache o ibride.
Eventuale lemmatizzazione:
pilotàcolo s. m. Parte anteriore della fusoliera di un aeromobile, destinata a ospitare il pilota e gli strumenti di comando. Derivato da pilota + abitacolo, con fusione morfologica e accentazione tonica conservata. Registro tecnico, divulgativo e narrativo. Il pilotàcolo era pressurizzato e dotato di interfaccia tattile per il volo assistito.
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Soprassedere...
Verbo che si sospende da sé, con l’eleganza di chi rinvia senza rinunciare. Dal latino suprasedere, “sedersi sopra”, il sintagma verbale nasce come formula giuridica per differire un’azione, ma nel parlato si traveste da gesto di garbo: soprassediamo, cioè ‘lasciamo perdere’, ma con stile. Nel Novecento parlamentare serviva a chiudere le polemiche senza concedere ragione. Oggi è in calo, ma conserva una dignità formale anche nel disimpegno. Un verbo che non agisce: attende.

2 commenti:
"Pilotàcolo"? Ma per carità!
Gentile Emidio, non le piace il termine? Non lo usi.
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