di Salvatore Claudio Sgroi
S.O.S.
Scrittura. Primo soccorso linguistico di Carlo Picozza - Fausto Raso - Santo
Strati, pres. di Sergio Lepri, illustr. di Massimo Bucchi, Roma,
Media&Books 2020, è un libro certamente fortunato giunto già alla II ediz.
2021 (pp. 304).
Il
testo è articolato in più sezioni autonome: A)
"I glossari": "Giornalismo errori e orrori (pp. 21-124), "I
lemmi della tecnologia" (pp. 125-98) e "Acronimi acrobatici"
(pp. 199-276); B) "Questioni di
stile": "Il bestiario dei luoghi comuni" (pp. 277-84) e "
Verbi, avverbi e dintorni" (pp. 285-92); C) "Ipse dixit. Un mestiere allo specchio" (pp. 293-302)
e infine una essenziale "Bibliografia" (pp. 303-304), senza dire
delle istruttive illustrazioni sparse nel volume.
In quanto le sezioni del volume sono
autonome, il lettore è libero di iniziare come crede il suo percorso di lettura:
continuata soprattutto le sezioni B)
e C) o di consultazione soprattutto
la sezione A) più corposa con i tre glossari.
A
me è piaciuto iniziare con la lettura continuata della sezione C) "Ipse dixit" (pp. 293-302),
costituita da riflessioni sul mestiere di giornalista da parte di noti autori.
Per
es. Camilla Cederna:
"Scrivere
è riuscire a dire le cose gravi con frivolezza e quelle leggere con gravità; ci
vuole però il senso dell'ironia e anche quello dell'autoironia" (p. 296).
O
Roberto Gervaso: "La concisione è l'arte di dire molto con poco; la
prolissità di dire niente con troppo" (p. 298).
O
Mario Pannunzio: "Per essere un buon giornalista basta saper dire di no al
direttore e al redattore capo" (p. 300).
O
Giampaolo Pansa: "Ah giornalismo obiettivo! Quante fregature abbiamo dato
al lettore sventolando questa bandiera fantasma" (ibid.).
O
Guglielmo Zucconi: "Io non credo a un giornalismo obiettivo, ma a uno
corretto e onesto" (p. 302), ecc.
Il
breve capitolo su "Il bestiario dei luoghi comuni" (pp. 281-84),
sarebbe stato intitolato neopuristicamente da noti linguisti come
"plastismi" ovvero ess. della "lingua di plastica"
("la langue de bois"). Se possono dar (soggettivamente) fastidio in
quanto iper-usati, si tratta però di espressioni dai significati univoci,
non-ambigui, molto diffusi, la cui competenza a livello di comprensione (e
all'occorrenza di produzione) dovrebbe essere auspicata per es. da parte di
italofoni stranieri. Non sapere cosa significa "ingoiare il rospo" o
"colpo di fulmine", "non esiste proprio", "tra
virgolette", "sono basito", "tormentone",
"zoccolo duro" ecc., sarebbe una grave lacuna. Un capitolo dunque da
consigliare agli stranieri come test di competenza della lingua italiana.
Estremamente
utile, a mio giudizio, è il glossario degli "Acronimi" (pp. 199- 276)
o sigle, note (Iv, iva, jr, Mit, ecc.) e meno note (lifo, lupac, Potus, ecc.).
Una
sigla, per es. ASL, da pronunciare
come in "(tr)ASL(oco)" non "a-esse-elle", ha il vantaggio
di indicare in maniera economica con una sola parola i significati di tre
parole ("azienda sanitaria locale"), ma richiede uno sforzo di
memoria data la sua opacità grafica. L'uso delle sigle è quindi delicato perché
presuppone sempre che il lettore ne conosca il significato. Una banale regola
di comportamento per chi le voglia usare è quindi quello di scioglierle
all'inizio, e solo dopo farne uso.
La
sezione de "I lemmi della tecnologia" (pp. 125-97) è costituita da un
ricco lessico settoriale, noto (per es. Amazon,
antivirus, App, At @, chat, desktop, download, e-mail, hacker, ecc.) o meno
noto (per es. bus, com, ebone, fps, gpl,
vga, ecc.), spesso anglo-americanismi opportunamente definiti senz'alcun
atteggiamento neopuristico (cfr. database
e banca dati, attachment
'allegato'), da consultare all'occorrenza.
La
ricca sezione "Giornalismo errori e orrori" (pp. 22-124), che ho
preferito riservare per ultima nella mia lettura, è caratterizzata da una
molteplicità di criteri, condivisibili o meno, nell'individuazione delle forme
corrette ed errate, note o meno note, riguardanti tutti i livelli linguistici
(grafo-fonici, morfologici, sintattici, semantico-lessicali).
Per
un linguista "laico", quale mi definisco, la lettura di tale sezione
è sempre interessante in quanto stimolo a trovare le "Regole
nascoste" degli usi giudicati errati. Così se il criterio etimologico è alla
base di piat-ire: "corretto è
solo piatire, derivato da piato"; "scorretto scrivere o
dire pietire, verbo inesistente [!]
anche se usatissimo", la "Regola nascosta" alla base di piet-ire è "piet(à)+ire" con la famiglia piet-ismo, piet-oso/piat-oso.
Così
nel caso di prosieguo: "non proseguo, anche se in uso" (p. 98),
la regola del derivato giudicato errato è trasparente "da prosegu-i-re + -o"; più complessa
invece la "Regola nascosta" della forma canonica pros-ie-gu-o, su cui mi riservo di ritornare in altra occasione.
Quanto
a "Diluzione - non diluizione" (p. 50), a parte
l'aspetto normativo, se la regola di derivazione di diluizione (datata 1906) è chiara, trattandosi di un deverbale da
"dilu-i-(re) + zione", nel
caso invece di diluzione (datata 1788)
la opacità della regola derivativa lascia sospettare un etimo diacronico, finora
non segnalato, ovvero un anglo-latinismo: dall'ingl. dilution (1646), a sua volta dal lat. dilutio, onis, il fr. dilution essendo voce ottocentesca (1833)
rispetto a quella italiana settecentesca.
Del
sost. sussiego si sottolinea:
"questa la grafia corretta" (p. 111), in quanto implicitamente forma
etimologica trattandosi dell'ispanismo sosiego.
Ma resta intrigante la "Regola nascosta" alla base della variante sussieguo: attrazione di susseguo pres. di susseguire?.
L'agg.
stentoreo che "significa possente, tonante, non stentato, incerto" (p. 110) è condivisibilmente
giudicato errato, perché si direbbe un uso da "italiano popolare".
Anche
stigmatizzare "vale per disapprovare" implicitamente
condannando l'accezione positiva di 'sottolineare', propria dell'ital. pop.
Invece
non condivisibile lo stesso giudizio riguardo a forme di italiano neo-standard, ritenute "sbagliate",
così nel caso di per cui: piove per cui non esco (p. 93). O nel
caso di ess.
come "per delle compere" (p. 93), "con degli amici" (p. 43),
noti francesismi con il
partitivo.
Un
approccio "logicistico", sottolineato da Carlo Picozza nella sua
premessa "Parole e logica" (pp. 13-17), affiora invece in altri casi.
Così
l'espressione pericolo di vita è condannata
perché "se [uno] fosse in pericolo di
vita correrebbe il 'rischio' di vivere" (p. 93). Ma, come rilevava
l'Accademia della Crusca, "la frequenza d'uso" del costrutto pericolo di vita ha "una forte rilevanza linguistica" dinanzi
alla "eventualità di censurar[lo]" o "stigmatizzar[lo]" in
quanto "ritenuto improprio" (logicisticamente) rispetto al
concorrente pericolo di morte, vantando
peraltro entrambi i costrutti usi letterari dal '200 al '900 (M. Biffi, R. Setti, a cura di, La Crusca risponde. Consulenza linguistica
2006-2015, Le Lettere, 2019, pp. 159-61). Il costrutto, come è stato
proposto da F. Sabatini in "Rai-1 Mattina" 31 maggio 2020, si spiega come
incrocio semantico tra "essere in
pericolo di (morte) e "(mettere in pericolo la) vita".
Logicistico
è pure il commento relativo al sintagma scambio
reciproco: "non adoperare mai i due termini assieme. Uno scambio è già
reciproco" (p. 106). E non
diversamente quanto si legge su Taglio
cesareo: "si scriva o si dica parto
cesareo. Cesareo significa qui taglio venendo dal latino caedo (incisione)" (p. 113). Il De
Mauro (2000) spiega meglio: "dalla
loc. lat. scient. sectio caesarea 'taglio cesareo', da Caesar,
-aris, it. Cesare, interpretato come caeso matris utero "nato
per il taglio del ventre della madre".
Il
criterio etimologico è ancora implicitamente alla base di giudizi quali: "Redigere: non redarre" (p. 101), il primo essendo latinismo ("dal lat.
redĭgĕre"), mentre redarre
(Regola sincronica) è retroformazione a partire dal pp. redatto, sul modello di (pro)tratto/(pro)trarre,
ecc.
O ancora
nel caso di "ossequente
non: ossequiente", in quanto
"Il termine non deriva da ossequiare
(nel caso sarebbe ossequiante) ma dal
latino obsequentem" (p. 89). La
"Regola sincronica nascosta" di ossequ-i-ente
è in realtà il fatto di essere attratto in una famiglia lessicale con /-i-/: ossequio, ossequiare, ossequiato,
ossequiosità, ossequioso, ossequiosamente.
Nei
riguardi degli stranierismi, l'atteggiamento è invece decisamente descrittivista,
come nel caso del glossario dei tecnicismi su visto (§ 2.4), anziché neopuristico.
Così nel caso degli anglicismi, per es. best seller, blackout, bluff (e bleffare), by pass, comfort/confort, default, dynasty, flashback, footing, forfeit
(e forfetario), guardrail, jogging, no
comment, off side, off-limits, offshore, online, outsider, paperback, part
time, playboy, playoff, playout, punk, sciampo / shampoo, shock, sidecar,
spider, stage, tait, task force, top secret, tour operator, trance, trash, turnover,
waterproof, weekend, whisky. Ma senzatetto
(p. 107) è preferito a homeless (scartato
invece il fr. clochard); ma media: "non midia", in quanto "non anglosassone" (p. 80); ma Nonprofit "errato no-profit" (p. 84), "Nonstop errato no-stop" (p. 85).
Ben
accolti anche i francesismi, per es. cachet,
casqué, chance, chic (con sciccheria,
sciccoso), choc (con scioccare), cliché, débâcle, décolleté, défaillance, défilé, déjà vu, démodé, enclave s.f., dépendance, forfait, habitué, impasse s.f., peluche, prêt-à-porter, repêchage, reportage, revanche, suspense, stage, tête-à-tête, tout court, tranche,
vis-à-vis (ma dettagliare "francesismo da
evitare, meglio (...) descrivere,
puntualizzare", ecc.
E anche
altri stranierismi, per es. harem, bazar,
kasbah, kibbutz, kitsch, leitmotiv, pogrom, ramadàn, suq, suk, tazebao, dazibao,
ecc.
O ispanismi: Alcazar, embargo, silo, il tilde, ma picaro sarebbe "iberismo da
evitare" (p. 94).
Concludo
con un'autoanalisi, indotta dal volume, per il quale: "Serranda meglio: saracinesca" (p. 107). Io invero
nel mio uso (forse regionale) dico abbassare
la serranda (o l'avvolgibile) del balcone, della finestra; ma abbassare la saracinesca del garage, del
negozio. Non potrei mai direi abbassare
la saracinesca del balcone, che mi fa quasi ridere.
Nel
De Mauro si legge invece: la
serranda (!) del garage, di una vetrina; -- abbassare,
alzare la saracinesca di un negozio;
-- e con riferimento alla finestra: tirare su,
abbassare gli avvolgibili.
2. Percorso di lettura libero
2.1.
L'ipse dixit dei giornalisti
2.2.
I "luoghi comuni": un "bestiario"?
2.3.
Gli acronimi
2.4.
Il lessico settoriale
3.
Errori ed Orrori
3.1.
Le "Regole nascoste"
3.2.
Usi di italiano popolare e di italiano neo-standard
3.3. Approccio "logicistico"
3.4. Il criterio etimologico
3.5. Gli stranierismi
4.
Auto-analisi
2 commenti:
Accanto al bagliore del Professor Sgroi, un lumicino, un piccolo contributo linguistico: in alcune zone della Toscana abbiamo la parola bandone "chiudere (aprire) il bandone".
Per quanto riguarda invece serranda e saracinesca, la prima è più usata specialmente con l'aggettivo basculante: serranda basculante. "Saracinesca basculante" non l'ho mai sentito, ma può essere che qualcuno lo dica.
Con la parola saracinesca, a quanto mi risulta, il verbo più usato è abbassare (alzare). Forse per non fare confusione con " chiudere (aprire) la saracinesca (un tipo di valvola maccanica).
Serranda, saracinesca, bandone, tapparella, persiana, avvolgibile, e poi ancora - affini e complementari ai serramenti- veneziana (con o senza lo spiaggiale), persiana, frangisole, chiudenda e, a cercarne, molte altre ancora, anche tra le parole dialettali.
Grazie, lingua italiana!
Mi auguro che molte parole cosiddette regionalismi entrino a far parte, e a pieno diritto, della lingua italiana, arricchendola e calciando via inutili forestierismi non adattati.
Renato P.
Ringrazio molto l’attento e informatissimo lettore Renato P. per la sfilza dei (geo)sinonimi e affini di SARACINESCA, in parte segnalatimi anche da amici e colleghi, su cui mi riprometto di ritornare in una prossima occasione
S.C.Sgroi
Posta un commento