Nella ricorrenza del Natale riproponiamo un vecchio intervento sull' 'origine
etimologica' della strenna.
Oggi è
Natale, e per la ricorrenza desideriamo porgere i nostri migliori auguri ai
gentili lettori che ci seguono nelle nostre modeste noterelle
linguistico-grammaticali. Quale migliore occasione, quindi, per una strenna ai
nostri amici se non quella di parlare, appunto, della… strenna?
La strenna, dunque, come tutti sappiamo è un regalo, un dono che si offre a
parenti e amici in segno di fratellanza, e perché no?, di convivenza
civile. E a proposito di dono, ci piace riportare una massima di Pierre
Corneille: «C’è chi regala a piene mani, e nessuno gli è grato; / il modo di
donare vale più del donato». Ma torniamo alla strenna.
In questioni di lingua, molto spesso, per conoscere il
significato intrinseco delle parole occorre rifarsi alla
lingua dei nostri padri: il latino. La strenna, infatti, è il
latino strena (con una sola n, si badi bene).
Questa strena è una dea romana di origine sabina il cui nome deriva
dall’aggettivo latino strenus (beneaugurante). A questa divinità i
Romani avevano eretto un bellissimo tempio sulla via sacra, circondato da un
piccolo bosco ricco di ulivi, di alloro e di altre piante.
In particolari giorni di festa, soprattutto alle calende di gennaio (Capodanno), i nostri antenati Latini erano soliti recarsi in quel tempio per cogliere da quelle sacre
piante un ramoscello da inviare come dono augurale all’imperatore e alle
famiglie di alto rango.
Dal nome della dea Strena i Romani chiamarono così questo tipo di regalo che
all’inizio era fatto, appunto, di materia vegetale ma con il trascorrere del
tempo si trasformò in materiale più consistente, come medaglie di rame,
d’argento, d’oro e di altri materiali pregiati.
Non c’era cittadino dell’Urbe, allora, che a Capodanno non corresse
dall’imperatore per porgergli i propri voti augurali, accompagnando il saluto
con una strena, un dono, appunto. Questa usanza si è tramandata – come
vediamo – fino ai nostri giorni e dal latino strena – attraverso il
solito processo linguistico – è stato fatto l’italiano strenna.
Un’ultima curiosità. Con il termine strenna si intende anche una raccolta di
poesie, di prose e di altre pubblicazioni edite e messe in vendita durante le
festività natalizie per farne, appunto, una… strenna.
Trattando della strenna non si può fare a meno di spendere due parole su un
termine affine, non sinonimo (per carità!), vale a dire l’omaggio. In
questo periodo l’omaggio, infatti, è particolarmente di moda, soprattutto
presso i commercianti che, per farsi pubblicità, sogliono omaggiare i
propri clienti. Cos’è, dunque, questo omaggio?
Il termine, intanto, non è schiettamente italiano ma francese: hommage,
derivato da homme, a sua volta tratto dal… latino homo. Nel Medio Evo
venne chiamato omaggio l’atto con il quale il vassallo o il
feudatario poneva le proprie mani distese e giunte fra la destra e la sinistra
del suo signore, e davanti a lui, a capo scoperto, si dichiarava «uomo (homme) di
suo tenimento», cioè servo a lui fedele e obbligandosi, soprattutto, al
servizio militare.
Per estensione il vocabolo ha acquisito, in seguito, l’accezione di rispetto,
di onore, di stima e coloro che intendono
manifestare questa stima, questo onore, offrono, per l’appunto, un omaggio,
cioè un dono.
Per i vocabolari, infatti, l’omaggio è ciò che viene offerto gratuitamente, in
dono, per motivi specialmente pubblicitari. Ma attenzione amici nell’omaggiare,
cioè nell’ossequiare, perché come fa notare Abate Galiani nelle Lettere,
«nel fare una profonda riverenza a qualcuno, si volta sempre le spalle a
qualche altro». Vediamo, anche, ciò che dice Ottorino Pianigiani (ricordando che non gode di "stima linguistica").
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Anche a Natale non può mancare la...
Lingua "biforcuta" della stampa
Incidenti stradali
Nel viterbese una
ragazza morta e un codice rosso
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Correttamente: Viterbese, con la V maiuscola trattandosi di
un'area geografica.
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Cronaca | L'APPELLO
Padre Fedele, un
altro Natale a Cosenza senza celebrare: “Penso agli ultimi, diffidate dai falsi
poveri”
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Correttamente: diffidate
dei (non dai). Si diffida di qualcuno (o di qualcosa), non da qualcuno.
Diffidare (Treccani).
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico,
quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)
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