Riceviamo e pubblichiamo
L’avverbio sempre ha per me sempre avuto, e ha tuttora, un fascino speciale, anche se non sempre ne ho compreso appieno il significato. Fin dai tempi delle medie inferiori: ero bravo in matematica e la professoressa diceva, ogni tanto, “Pier Paolo è sempre il più bravo!”. La frase mi riempiva di orgoglio: in Religione avevo appreso che “Dio è sempre stato e sempre sarà”; quindi mi sentivo un mezzo padreterno. Quel sempre mi sapeva di eternità, oltre che di onnipotenza.
A ridimensionarmi ci pensava mio padre, dicendomi (in Piemontese): “Sei sempre più sciocco!”. Fu così che, consultando il mio vocabolario, appresi che il nostro avverbio aveva anche il significato di continua e graduale crescita di quella non invidiabile caratteristica.
Più avanti negli anni, ho detto a una ragazza “Ti amerò per sempre” – equivalente di amore eterno – ben consapevole che di eterno non c’era nulla, tant’è che ci siamo lasciati dopo pochi mesi. Un altro vocabolario, più completo, mi aveva spiegato che questo avverbio può indicare la continuità o la persistenza in un determinato periodo, anche breve. Ho ripetuto la frase alla mia fidanzata, che poi ho sposato: sono passati cinquantadue anni, quindi il periodo risulta piuttosto lungo.
Ho ripreso ad interessarmi all'avverbio alcuni anni fa, quando tutte (o quasi) le compagnie telefoniche proponevano contratti con tariffe “per sempre”. Evidentemente intendendo: fino alla prossima modifica unilaterale del contratto. Questa accezione m’è tornata alla mente venerdì scorso: una gentile signorina mi ha telefonato per propormi uno sconto sulla bolletta elettrica per sempre …
Ho quindi deciso di consultare la Crusca, scoprendo che dedica alla nostra parolina tantissimo spazio. Ho anche notato che, all’inizio della sua spiegazione, fa continuamente riferimento all’inglese ever, citando e traducendo ben otto espressioni basate su questo termine: strano (o forse ridicolo) che la prestigiosa Accademia linguistica italiana senta il bisogno di guardare oltre Manica per chiarire il significato di una parola italianissima!
Vengo ora a efficiente. Negli ultimi tempi questo aggettivo imperversa, per altro usato spesso erroneamente. Si rincorrono, in TV, in radio e sui giornali, espressioni del tipo “cura efficiente”, “vaccino efficiente” e simili. Oppure con il corrispondente sostantivo: “la comprovata efficienza della vaccinazione …”. Talvolta lo stesso parlante usa alternativamente efficiente ed efficace, come se fossero sinonimi, per la diffusa mania di non ripetere la stessa parola se non dopo almeno due minuti di eloquio, a costo di dover ricorrere a incredibili acrobazie verbali. Salvo poi spiegare che la “efficienza vaccinale” è il grado di protezione fornito dal vaccino (spesso chiamato erroneamente siero, per l’anzidetta mania) e si misura in percentuale, con riferimento all’obiettivo ideale del 100%.
Fin dal primo anno di Politecnico – or sono sessant’anni giusti – avevo appreso che l’efficienza è il rapporto tra il risultato ottenuto (prodotto, prestazione, …) e la quantità di risorse impiegate (energia, tempo, materiali, denaro, …) per realizzarlo. Mentre l’efficacia è definita come rapporto tra il risultato realmente ottenuto e quello che si sarebbe voluto ottenere (cioè l’obiettivo). Ne consegue che un vaccino, o un qualsivoglia farmaco, può essere considerato più efficiente di un altro solo se, a parità di efficacia, richiede l’impiego di una dose minore (o costa meno).
Scrivendo queste righe, sono stato assalito da un dubbio: che mai diranno, a questo proposito, i vocabolari? Ecco alcune “scoperte” alla voce efficienza:
· Treccani: efficiènza (meno corretto efficènza) s. f. [dal lat. efficientia]. – 1. L’essere efficiente; efficacia, capacità di rendimento e di rispondenza ai proprî fini …
· Sabatini Coletti: Competenza e prontezza nell'assolvere le proprie mansioni: e. nel lavoro; con riferimento a cose, capacità di raggiungere i risultati richiesti: controllare l'e. di una macchina …
· Hoepli: 1 Carattere di chi, di ciò che è efficiente; capacità di produrre l'effetto dovuto: l'e. d'un motore; l'esercito è ormai in e.
· Sapere-Virgilio: la capacità di azione o di produzione con la massima efficacia con il minimo di scarto, di spesa, di risorse e di tempo impiegati.
· Garzanti linguistica: 1. l’essere efficiente: l’efficienza di una macchina, di un esercito |mettere in efficienza, in condizione di funzionare |essere in piena, perfetta efficienza, nella pienezza delle proprie capacità, in grado di funzionare perfettamente 2. (econ.) caratteristica del processo produttivo che assicura il prodotto maggiore a parità di risorse impiegate
· Encyclopedia-titanica (?): L'efficienza è la virtù o il potere di ottenere un effetto. Inoltre, è l'azione con cui si ottiene quell'effetto. La parola efficienza è di origine latina efficienteĭa.
Le prime tre citazioni lasciano alquanto a desiderare: la Treccani confonde chiaramente l’efficienza con l’efficacia, quasi fossero sinonimi; Sabatini Coletti e Hoepli, con le frasi “capacità di raggiungere i risultati richiesti” e “capacità di produrre l'effetto dovuto”, danno in pratica la definizione di efficacia. La sesta definizione, forse perché titanica, … semplicemente non definisce.
Tornando alle espressioni errate, non sono soltanto opera di giornalisti, cronisti e opinionisti, ma anche di virologi, medici e scienziati vari: tutti dimentichi che la scienza si basa non solo sulla correttezza del “metodo”, ma anche su quella del linguaggio.
Concludo: la Crusca, facendo uso di ben otto espressioni inglesi per illustrare le varie accezioni di sempre, risulta magari efficace (per chi ha dimestichezza con tale lingua), ma sicuramente pecca assai sul versante dell’efficienza!
Pier Paolo Falcone
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La lingua "biforcuta" della stampa
GIUSTIZIA
“Concorsone” per 320
posti da magistrato, idonei solo 88 candidati su 1532: “Le università non sono
più in grado di formare”
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Correttamente: posti di magistrato. Treccani: 6. a. (posto, ndr) Impiego, ufficio che costituisce l’occupazione abituale e da cui si traggono, tutti o in parte, i mezzi di sostentamento: essere alla ricerca di un p.; trovare un p.; offrire, procurare un p.; avere un buon p., un ottimo p., un p. misero, modesto; perdere, conservare il p.; ci tengo al mio p.!; seguito dalla specificazione dell’impiego: mettere a concorso trecento p. di maestro; è vacante il p. di segretario, di redattore capo; anche con riferimento a cariche elevate: aspirare a un p. più alto; si sono presi i p. migliori; avere, occupare un p. di grande responsabilità; essere ai p. di comando.
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2 commenti:
Con tutto il rispetto, ma mi sembra che il signor Falcone abbia preso una cantonata e abbia poi esagerato nelle critiche. La cantonata riguarda il fatto che il gentile signor Falcone muove all'Accademia della Crusca l'accusa di voler spiegare l'avverbio italiano "sempre" ricorrendo continuamente "all’inglese ever, citando e traducendo ben otto espressioni basate su questo termine": ma NON È VERO che "la prestigiosa Accademia linguistica italiana senta il bisogno di guardare oltre Manica per chiarire il significato di una parola italianissima"! Al contrario, l'Accademia sta proprio sollevando perplessità sull'uso del particolare costrutto iperbolico che sostituisce il secondo termine di paragone, ossia "(il migliore, il più importante) di sempre". Usare "di sempre" in questo modo è un calco semantico dall'inglese, poco presente nella nostra tradizione letteraria. Sicché la Crusca fa benissimo a paragonarlo all'uso dell'inglese "as ever" o "than ever", ma proprio per sottolineare come l'uso di quest'espressione italiana sia troppo condizionata dagli esempi inglesi.
Quanto alle critiche "esagerate", esse riguardano la pretesa mancata differenziazione tra efficacia ed efficienza (e gli aggettivi efficace/efficiente). È vero che da un punto di vista tecnico i significati dei due vocaboli sono un po' differenti. E giustamente Falcone sottolinea come l’efficienza sia "il rapporto tra il risultato ottenuto (prodotto, prestazione, …) e la quantità di risorse impiegate (energia, tempo, materiali, denaro, …) per realizzarlo". Mentre l’efficacia "è definita come rapporto tra il risultato realmente ottenuto e quello che si sarebbe voluto ottenere (cioè l’obiettivo)". Però spesso e volentieri, fuori degli ambiti tecnici, sono usati come sinonimi, cosa ben documentata non solo nei dizionari citati, ma anche nella nostra tradizione letteraria. Cfr. ad esempio queste due citazioni tratte dal Grande dizionario storico di Battaglia e Barberi Squarotti:
«Sarpi, I-302: Ha negato l’efficienza nelli sacramenti e l’autorità delli sacerdoti, il purgatorio, il sacrificio della messa. B. Croce, III-22-135: Per lei [la Francia], che aveva maggiore efficienza internazionale e maggiori forze, stava la giustizia storica, che è diversa dalla giustizia dei tribunali».
Non ho affatto sostenuto che i riferimenti all'inglese della Crusca vogliano giustificare l'uso iperbolico di "sempre". Prego il signor Teo di credermi: mi sono reso conto anch'io che servono a spiegarlo. Nella prima parte del mio scritto penso di aver evidenziato queste esagerazioni usando solo parole italiane. Intendevo solo notare che - a mio modesto avviso - bastavano poche parole (italiane) ben dette per ottenere lo stesso risultato. Insisto: non sono necessari otto esempi con "ever" per giungere alla conclusione voluta. Ma forse anche il termine "cantonata" del signor Teo vuole essere una iperbole ...
Circa efficiente-efficace, sono in grado anch'io di produrre esempi letterari dell'uso indifferenziato. Faccio presente però che un vocabolario (Treccani) non può spiegare il significato di efficienza scrivendo che vuol dire efficacia; in effetti altri vocabolari non commettono questo errore. Resta il fatto che la confusione dei due termini, in bocca ad uno scienziato (tali credo siano i virologi professori universitari che si esibiscono in TV) suona piuttosto male. Né si dica che serve a farsi comprendere dalla cosiddetta "gente comune": tutti capiscono la parola "efficacia". Una banale ricerca su Google restituisce 102 milioni di citazioni per "efficacia" e 40,7 milioni per "efficienza".
Se il "Sarpi" citato è il teologo Paolo Sarpi, faccio presente che scriveva a cavallo tra XVI e XVII secolo e che, quindi, non aveva certamente dimestichezza con il linguaggio dei nostri tempi.
Aggiungo che da qualche tempo ART - Autorità di Regolazione dei Trasporti - diffonde, via radio e TV, un messaggio pubblicitario avente per oggetto un disguido spiacevole: volo annullato, treno soppresso e simili. A fronte del disappunto della "vittima" del disservizio, viene fornito il rimedio e arriva lo slogan conclusivo: "... per una mobilità più efficiente!" Il suo presidente (Nicola Zaccheo, laureato in fisica), in una intervista del 17 giugno scorso, ha dichiarato: "... dobbiamo essere capaci di tener conto degli interessi di tutti e di renderci visibili nel nostro ruolo di garante di una mobilità efficiente, di cui beneficiano tutti gli operatori." In un suo intervento del 30 novembre ha ribadito il concetto: "... proprio al fine di rimuovere ostacoli al corretto
funzionamento dei mercati, a tutela degli utenti e dell’uso efficiente delle risorse pubbliche." Ecco spiegato l'arcano: è proprio l'efficienza (cioè la riduzione dei costi) che interessa agli operatori e all'ART!
Ora, io preferirei un servizio più efficace, ma tant'è; forse pretendo troppo.
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