Riproponiamo un nostro vecchio intervento sul corretto uso dell'aggettivo drastico, tornato prepotentemente alla ribalta in questo periodo"grazie" all'emergenza covidotica.
Chissà quante volte, cortesi lettori, avete sentito frasi tipo «sono
stati presi drastici provvedimenti per limitare i danni...». Bene, anzi
male, malissimo: quell’aggettivo drastici — a nostro modo di vedere — è
adoperato impropriamente nel significato di severi, notevoli, risoluti e
simili. Perché il suo impiego sia/fosse adoperato sempre a proposito è/sarebbe
necessario che tutti ne conoscano/conoscessero il suo... impiego originario. Vediamo,
intanto, la sua origine.
Viene dal greco drastikòs, tratto da dràô, agire. Drastico significa,
quindi, che agisce con efficacia. Per il suo significato fu adoperato,
in origine, in campo medico: è un drastico medicinale, volendo
evidenziare, per l’appunto, la sollecita efficacia.
In seguito se ne fece un uso metaforico non condiviso dal linguista Alfredo
Panzini quando sosteneva che i drastici provvedimenti presi gli
sembravano un po’ troppo metaforici. Se drastico significa, infatti, che
agisce con efficacia non si può sostenere che i provvedimenti sono drastici
fino a quando non se ne sono visti gli effetti. Ma questo significa voler
cercare, a tutti i costi, il classico pelo nell’uovo; anche se facciamo nostra
la tesi del Panzini.
L’uso improprio, per non dire abuso o addirittura errore, nasce — come dicevamo
all’inizio — quando al predetto aggettivo si vuol dare il significato di notevole:
c’è stato un drastico aumento delle bollette telefoniche. Oppure quando si
adopera drastico come sinonimo di severo.
Basterebbe — prima di scrivere — riflettere un attimo sul significato delle
parole da adoperare (ricorrendo, magari, all’ausilio di un buon vocabolario)
per non incappare in inesattezze o, peggio, in errori che alcune volte
rasentano il ridicolo: la situazione meteorologica è drastica, ancora mal tempo
su tutta la penisola. Abbiamo esagerato? Decidete voi, amici amanti del
bel parlare e del bello scrivere.
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La lingua "biforcuta" della stampa
FRANCIA
Lockdown almeno fino al 1° dicembre. Macron: "Sommersi da epidemia, urge freno"
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Correttamente: dal 1 dicembre (senza esponente). Crusca: Le indicazioni comprendenti anche mese e giorno sono introdotte modernamente da un articolo maschile singolare: «il 20 settembre 1870»". Per estensione, si può aggiungere che, nel caso di una data come 11/10/1989, l'articolo che vi si anteporrà sarà l' (seguendo la pronuncia della data: l'undiciottobre millenovecentoottantanove); stessa regola vale per le date che iniziano con 1: anche per queste, si considera il modo in cui tali date vengono pronunciate e quindi si scriverà il 1/2/2003 (cioè il primo febbraio duemilatré). Infatti, come specifica Serianni, "Per i giorni del mese si usa l'ordinale per il giorno iniziale [...], ma il cardinale per i giorni successivi, siano o non siano accompagnati dal giorno del mese [...]."
5 commenti:
A proposito di lockdown:
- i Tedeschi dicono ausgangssperre
- i Francesi dicono confinement
- gli Spagnoli dicono confinamiento
- gli Italiani devono proprio dire lockdown? Possibile che l'italiano sia l'unica lingua al mondo a non avere termini adeguati per esprimere una miriade di concetti, tanto da dover ricorrere continuamente a parole prese da altre lingue?
Gentile falcone42,
il termine per tradurre lockdown in lingua italiana c'è, ed è "confinamento".
Ma noi siamo "esterofili" per vocazione...
Cordialità
FR
Ci tengo a dire che io uso la parola italiana confinamento. Uso focolaio in luogo di cluster, unità operativa in luogo di task force, e via dicendo. La mia favella può continuare di pari passo con l'uso che faccio del mio vocabolario italiano. Mi meraviglio nel vedere come i nostri massinforma fanno a gara a chi usa più parole inglesi possibile. Lockdown poi più che termine è una parola polisemica che in italiano ha molti traducenti: blocco, confinamento, misure di confinamento, quarantena, bloccare, fissare, mettere in sicurezza, ecc.
Per farla breve, polisemia per polisemia mi tengo le parole italiane.
Renato P.
Lei, sig. Raso, non è estorofilo bensì marcatamente esterofobo. È tutto dire...
Panfilo N.
Cortese Panfilo,
non sono né "filo" né "fobo": sono uno che ama la lingua di Dante e di Manzoni.
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