di Salvatore Claudio Sgroi
Domenica
18 ottobre RAI 3, alle 10h.20 ha avuto luogo la prima puntata su "Le
parole per dirlo" condotta da Noemi Gherrero con la collaborazione degli
storici della lingua Giuseppe Patota e Valeria Della Valle, dedicata alla
lingua italiana e alla televisione, con la partecipazione di Corrado Augias, ospite.
Nei quasi 60 minuti della trasmissione non pochi sono stati i problemi toccati
e discussi nel 'salotto' televisivo, che è possibile riascoltare:
<https://www.raiplay.it/video/2020/10/Le-parole-per-dirlo-6a4b4f3c-3857-499c-a61c-a1d86a02d0b3.html>
Qui vogliamo solo soffermarci sul tormentone degli anglicismi adoperati in italiano, rispetto al quale c'è stata la (peraltro scontata) consonanza dei due storici della lingua e del giornalista ospite, secondo cui gli stranierismi vanno tenuti fuori dalla lingua italiana, perché dovuti alla moda, indizio di (micro) infedeltà linguistica, magari ritenuti da alcuni causa di impurità e corruzione linguistica, per es. location, mission, step, lockdown, smart working, look, recovery fund, fiction, ecc.
Gli storici della lingua come G. Patota, in maniera più sofisticata, fanno invero ricorso alla teoria 'logicistica' del linguista svizzero Ernst Tappolet 1913-1914, che distingueva i 'prestiti di lusso' (das Luxuslehnwort) quando esiste un equivalente italiano, dai 'prestiti di necessità' (das Bedürfnislehnwort) se l'italiano è invece carente di un equivalente.
Una posizione che si può definire "neo-purista" con un termine certamente non lesivo, ma puramente descrittivo.
Ma tale
distinzione, che definiamo "logicistica", non tiene conto del fatto
che le motivazioni storiche, profonde del ricorso agli stranierismi sono
motivate dal prestigio (politico, economico, scientifico, culturale, ecc.), di
cui gode la lingua donante, nel caso specifico l'anglo-americano, e che vengono diffusi "dall'alto", a partire dalle istituzioni (governo, partiti ecc.), da enti pubblici, dalla TV pubblica e privata, dalla stampa cartacea e on line ecc.
Così il lockdown è censurato da Patota a favore di confinamento sulla scia del francese (e dello spagnolo). Ma va anche detto che il francesismo coprifuoco alterna sempre più spesso in TV con l'anglicismo.
Da parte sua, Augias propone (ripresentandolo su "la Repubblica" di lunedì 19 ottobre) l'elitario clausura, di fronte allo "sgradevole" lockdown, mentre Stefano Bartezzaghi ha facile gioco a replicare su "la Repubblica" (martedì 20 ottobre) con un articolo intitolato "Meglio lockdown di clausura", dove gli ricorda le ragioni generali degli anglo-americanismi (che Augias definisce nella replica del giorno dopo "finezza di argomenti", fondamentalmente ignorandoli):
"i
termini inglesi sono più prestigiosi e il loro impiego pare preferibile, se non
proprio necessario. Accade per la superiorità culturale che la cultura
angloamericana ha acquisito nei campi della tecnologia e (per l'appunto) del
management".
Discutendo del problema degli anglicismi, i tre autori si sono soffermati anche sull'es. mass media che a loro giudizio va pronunciato così com'è scritto, perché media è voce latina, plur. di medium.
Ora, a parte il fatto che "mass media" (affiancato all'abbreviazione "media" datato in it. 1960) è un composto, non è invero -- etimologicamente -- un latinismo, ma un anglo-latinismo (databile 1923 col Merriam Webster's Collegiate Dictionary). Lo dimostra anche l'ordine dei due componenti del composto mass media 'mezzi di massa' (determinante + determinato, con la testa a "destra"); l'anglicismo essendo composto a sua volta con il determinato latino medium.
E quindi la pronuncia all'inglese /mass midia/, – peraltro italianizzata per le due <a> di mass media ingl. /'mæs,mi:djə/ – è quella più fedele etimologicamente.
Ma il momento clou della discussione è emerso quando la presentatrice, Noemi Gherrero, ha tirato fuori, come dire, l'asso dalla manica, a sparigliare il gioco dei tre interlocutori, con un video, intorno al 26° minuto della trasmissione, di Francesco De Gregori, che qui trascriviamo:
"Io preferisco dire midia, perché anche se ormai è entrata abitualmente nel vocabolario degli italiani, è una parola inglese che si scrive media ma si pronuncia /midia/ in inglese.
Il fatto che all'origine ci sia una parola latina, la parola medium, in latino neutro, che diventa al plur. media, è molto interessante dal punto di vista dell'etimologia, ma che c'entra con la lingua italiana di oggi?
Noi non stiamo mica qui a parlare di latino, non parliamo latino. Noi ci sforziamo di parlare italiano, portando dentro la nostra lingua anche parole da lingue straniere, che però vanno portate protette in quella che è la loro pronuncia corretta".
6. Una proposta
Insomma, De Gregori con notevole sensibilità linguistica e metalinguistica mostra di saper distinguere l'analisi sincronica (l'italiano d'oggi) dall'analisi diacronica con la duplice etimologia vicina (l'inglese) e lontana (il latino), mentre normativamente si basa sulla pronuncia corrente dell'etimologia vicina e non già su quella – d'antan – del latino.
Senza dire che la pronuncia anglicizzante è avallata anche da molti dizionari (cfr. Zingarelli e Devoto-Oli-Serianni-Trifone), come ricorda, ricredendosi e salvandosi in corner Valeria Della Valle, ma non il collega Geppi Patota, che ha perseverato nella sua posizione neo-puristica, di fedeltà all'etimo per di più lontano.
Non ce n'è abbastanza per conferire, honoris causa, una bella laurea in storia della lingua italiana a Francesco De Gregori?
1.
L'evento televisivo
2. Le parole
straniere in italiano
2.1. Il neopurismo: "prestiti di lusso" vs "prestiti di necessità"
3. Lockdown 'clausura'?
4. Mass media o /mass midia/?
5. Parlare
in latino o nell'italiano di oggi?
6. Una proposta
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