lunedì 12 ottobre 2020

Il "poetico" divano


 Avreste mai immaginato, gentili lettori, che il divano sul quale ci sediamo la sera, tornando a casa stanchi dal lavoro, ha una strettissima relazione con la poesia, quella orientale in particolare? Il termine divano ci è giunto, infatti, dal turco diwàn, di origine persiana. Ma cosa c'entra la poesia? Andiamo con ordine.

Il diwàn nell'antico impero ottomano stava a indicare il consiglio dei ministri; in seguito, per estensione, indicò anche il libro o registro dove venivano trascritte le loro importanti decisioni. Con il trascorrere del tempo, e come accade sempre per le questioni di lingua, si pensò di chiamare – sempre per estensione – diwàn anche la sedia sulla quale sedevano i ministri durante le loro riunioni.


Giunti a questo punto, poiché il
diwàn indicava (come abbiamo visto) un libro di una certa importanza – racchiudeva, appunto, le decisioni dei ministri – si decise di chiamare diwàn il libro nel quale erano raccolte tutte le poesie, in ordine alfabetico o cronologico, di un importante poeta (o scrittore) orientale.
Il sinonimo sofà, invece, è giunto a noi dal francese
sofa e questo dall'arabo suffa (cuscino).

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Si presti attenzione all'uso corretto dell'aggettivo cospicuo che significa illustre, chiaro, notevole, ragguardevole, famoso, pregevole, vistoso evidente e simili. Viene, infatti, dal latino "conspicuus" derivato di "conspicere" (guardare, scorgere, 'dare nell'occhio). Spesso viene adoperato, erroneamente, con il significato di ingente: per quel lavoro ha ricevuto una cospicua (ingente) somma. Dal vocabolario Palazzi: cospicuo agg. visibile con facilità anche di lontano: fu collocato in luogo cospicuo II fig. chiaro, illustre, ragguardevole: esempio cospicuo, uomo cospicuo II M.E. erroneo detto di somma, patrimonio, invece di notabile, vistoso ll N. NOTEVOLE, pregevole, famoso.

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La lingua "biforcuta" della stampa

Giappone

È morto Izumi Matsumoto, papà dell'anime "È quasi magia Johnny"

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Dalla stampa c'è sempre da imparare (male?) sulla lingua: non sapevamo che la preposizione articolata plurale di (dei/degli/delle) si potesse apostrofare. A scuola hanno sempre censurato l'apostrofo. 

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Polemiche sull'abito scollato del capo del governo. Ma i cittadini la difendono

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Sí, "della capa" del governo suona male, ma basta farci l'orecchio (come la sindaca, la ministra ecc.).  Ma non sarebbe il caso che la stampa "diffonditrice di cultura linguistica" [i lessicografi della Treccani citano sempre gli articoli di giornali come esempi di buona lingua (?)] mettesse in pratica le raccomandazioni per un uso non sessista della lingua del Divino? Nota d'uso di "Sapere.it" (De Agostini): «Il femminile regolare di capo, nel significato di persona che esercita un comando o dirige un’impresa, è capa, e così si può chiamare una donna che svolge tale funzione; tuttavia, poiché questa forma ha spesso un uso scherzoso, molti preferiscono chiamare anche una donna capo, al maschile. Si tratta di una scelta, però, che può creare nel discorso qualche problema per le concordanze».

 



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