Sempre per la serie "la lingua biforcuta della
stampa"
Da un quotidiano in rete:
Germania al voto, con
chi governerà Angela Merkel? Scenari di coalizione (possibili e non)
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In buona lingua italiana (non cispadana) l'avverbio negativo
"non" non può stare mai da solo, deve essere seguito,
necessariamente, dal termine che "nega". Il titolo corretto, quindi,
avrebbe dovuto recitare "(possibili e non possibili)" oppure
"(possibili e no"), adoperando l'avverbio olofrastico. Riproponiamo un nostro vecchio intervento
sull'argomento.
Gli avverbi di negazione "no" e "non" hanno usi
nettamente distinti; non si possono adoperare "ad capochiam" o
ricorrendo al lancio della monetina: testa "no", croce
"non". Il primo ( "no" ) appartiene alla schiera delle così
dette parole olofrastiche (dal greco "hòlos", intero e
"phrazo", dichiaro) le quali riassumendo in sé un’intera frase
debbono essere sempre isolate e in posizione accentata; non debbono, cioè,
essere seguite da altra parola: vieni o no? Risulta
evidente, dall’esempio, che il "no" è olofrastico in quanto
sottintende (e la riassume) la frase "o non vieni?". Il
secondo avverbio ( "non" ) non si può mai trovare in posizione
accentata (cioè assoluto, da solo), si deve sempre adoperare in posizione
proclitica, vale a dire prima di un’altra parola che necessariamente lo deve
seguire: vieni o non vieni? A
questo punto vediamo - per maggiore chiarezza - che cosa significa
"posizione proclitica". Si dicono "proclitiche" (dal greco
"pro", davanti, prima) quelle particelle atone che si appoggiano
nella pronuncia (quindi nell’accentazione) alla parola che segue. Sono
proclitiche, ad esempio, tutte le particelle pronominali messe prima del verbo
in quanto si pronunciano "unite" al verbo: Giovanni ’mi’ ha parlato. Non
seguite, quindi, le “malelingue” della carta stampata e no che scrivono e
dicono, per esempio: amici
e non; gli
addetti ai lavori e non; cantanti
e non; esperti
e non e simili. Tutti questi “non” sono errati e vanno
sostituiti con “no” per la “legge linguistica” su menzionata.
Vediamo, anche, cosa dice l'Accademia della Crusca:
(...) L'avverbio negativo
olofrastico (detto così perché, da solo, costituisce un'intera frase) in italiano è soltanto no. L'uso
tradizionale richiede dunque o
no in coordinate disgiuntive ridotte appunto alla sola
negazione olofrastica. Gli esempi sono numerosissimi, antichi e moderni: da
Dante («non disceser venti / o visibili o no» Paradiso, VIII, 22-23) al recente modulo
giornalistico o no?,
come «domanda dubbiosa a conclusione di un discorso apparentemente sicuro (Parigi val bene una messa! o no?)»
(cfr. M. Cortelazzo - U. Cardinale, Dizionario
di parole nuove 1964-1987, Torino, Loescher, 1989, p. 171). Lo
stesso si dica di altri costrutti omologhi: e no (si pensi al romanzo
di Vittorini Uomini e
no), perché
no, come no, se no oltre all'ormai raro anziché no (...)
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