A
proposito del declino della lingua italiana, riproponiamo, rivisto, un nostro
modesto intervento di qualche anno fa perché abbiamo notato che alcuni cosí
detti scrittori "di Vaglia" continuano, imperterriti, a calpestare
l'idioma divino.
Musa,
tu che sei grande e potente, dall’alto della tua magniloquenza, non ci indurre
in marronate ma liberaci dalle parole errate. E così sia. Questa la preghiera
dei genitori che hanno a cuore l’istruzione linguistica dei propri figli. Come
facciamo noi, ogni mattina, quando sfogliamo le pagine «culturali» dei
quotidiani.
Ci
sembra assurdo dover constatare che i così detti scrittori di vaglia (non di
vaglio, come erroneamente si sente dire e si legge spesso) non tengano nella
dovuta considerazione (o non le conoscono?) le regole grammaticali, inducendo
in errore i giovani studenti che debbono essere plasmati dal punto di vista
linguistico-grammaticale (ma non solo).
Tremiamo
al pensiero che i nostri figli — seguendo l’esempio «illustre» degli autori che
«fanno la lingua» — possano scrivere cassaforti e acquaforti in luogo di
casseforti e acqueforti — le sole forme corrette — rimediando un bel 4 nei loro
componimenti se questi sono al vaglio di insegnanti con la i maiuscola.
Stentiamo
a credere che questi luminari della lingua non sappiano che i predetti
sostantivi appartengono alla schiera dei nomi composti e in quanto tali formano
il plurale secondo una regola ben precisa. Vediamola.
I
nomi composti di un sostantivo e di un aggettivo formano il plurale mutando le
desinenze di entrambi i componenti: cassaforte (cassa, sostantivo; forte,
aggettivo), casseforti; acquaforte, acqueforti. L’unico vocabolario (se non cadiamo in errore) — tra i
numerosissimi consultati — che ammette la forma plurale acquaforti è il
permissivo Zingarelli (nell’edizione in nostro possesso, per lo meno; non
sappiamo se le altre edizioni siano state emendate).
E
che dire — sempre degli scrittori di vaglia — che costruiscono il participio
presente inerente con il complemento oggetto e non con il complemento di termine
come vuole la legge linguistica dei nostri padri latini?
Per non essere tacciati di
presunzione sentiamo ciò che dice, in proposito, il linguista Aldo Gabrielli.
«Questo
inerente è il participio presente di un verbo inerire ormai pressoché scomparso
dal comune linguaggio, e perciò generalmente non registrato dai minori
dizionari; esso affiora solo tratto tratto in certi linguaggi particolari, come
quello giuridico e filosofico, per esempio. Oggi solo inerente è nell’uso, e
non sempre si costruisce a dovere; tanto che frasi come atti inerenti la causa;
indagini inerenti il delitto si incontrano sempre più di frequente negli atti
giudiziari soprattutto. Sono frasi sbagliate perché il verbo inerire, etimologicamente
affine ad aderire, si costruisce, come questo, col complemento di termine e non
con il complemento oggetto: atti inerenti alla causa; indagini inerenti al
delitto».
Per
non parlare di coloro, e chiudiamo queste noterelle, che scrivono complementarietà,
elementarietà e simili, ignorando che quella e inserita dopo la i è un abuso
linguistico. I sostantivi derivanti da aggettivi in –re, per meglio dire da
aggettivi della seconda classe (facile, semplice) prendono il suffisso –ità,
non –ietà.
Da
elementare avremo, quindi, elementarità; da vario, invece, varietà. Il suffisso
–ità, insomma, dal latino itas, itatis, si trasforma in –ietà quando la base
(l’aggettivo) termina in –io: abitudinario, abitudinarietà; vario, varietà, per
l’appunto.
Per
gli scrittori di vaglia, insomma, la grammatica (e le sue leggi) non fa parte
della loro cultura. Troppe parole grammaticalmente scorrette sono state immesse
sul mercato della lingua da costoro tanto che alcuni termini palesemente errati
sembrano, al contrario, correttissimi e viceversa.
Comproduzione,
ad esempio, vocabolo correttissimo, è stato affossato da coproduzione, termine
errato e messo sul mercato da gente senza scrupoli linguistici. Ci piacerebbe
che qualcuno di costoro ci spiegasse per quale oscuro motivo comproprietà va
bene e comproduzione no, preferendo, per l’appunto, la voce — ripetiamo —
errata coproduzione. Attendiamo con ansia e gratitudine anche il parere di
qualche gramuffastronzolo.
Noi,
modestamente, insistiamo: per certi scrittori la grammatica non fa parte della
loro cultura. Prendete un giornale qualunque, apritelo alle «pagine culturali»
(ma non solo) e, se amate la lingua, ci darete ragione.
Gli
scrittori che ci tengono, coloro ai quali piace che la s sia maiuscola,
prestino attenzione se vogliono essere di vaglia (con la v minuscola) e non
di... Vaglia. Vaglia, come forse saprete, è un piccolo paese della Toscana di
nessuna importanza (con tutto il rispetto per gli abitanti). Uno scrittore di
"Vaglia", quindi...
A
buon intenditor poche parole.
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