Nel
recentissimo "Zanichelli Junior. Vocabolario di italiano" alla fine
del lemma "poco" il simbolo minaccioso (si direbbe) di una bomba con
miccia accesa avverte: «Non si scrive mai con l'accento ('pò') ma solo con
l'apostrofo (po')». Il «non si scrive mai» ha in realtà valore imperativo
prescrittivista [= 'non si deve mai scrivere'] e non già assertivo-descrittivo
perché invero si trova spessissimo scritto "un pò" con l'accento.
Tale
"norma" (uso cioè riconosciuto e approvato), è confermata ne "La
Grammatica italiana" della Treccani: «La grafia corretta è "un
po’" con l’apostrofo». Dove si aggiunge la motivazione del giudizio di
correttezza: «perché la forma "po’" è il risultato di un troncamento
di 'poco'"».
Qui
il "perché" coincide con (1.a) la regola seguita dallo scrivente,
alla base della grafia giudicata corretta. Non viene invece esplicitato (2) il
criterio alla base del giudizio di scorrettezza della grafia "un pò".
E non viene neppure individuata (2.a) la regola (inconscia) alla base della
grafia "un pò", diffusissima, ma giudicata "errata".
È
invero essenziale distinguere i due punti di vista. La regola (1.a)
tradizionale alla base dell'uso corretto è quella del troncamento della sillaba
in "po[co]", indicata dall'apostrofo ("po' "). Ed è una
regola diacronica, etimologica: il parlante deve pensare alla derivazione di
“po'" da "poco”.
Invece
la regola (2.a) inconscia, automatica del parlante alla base di "un
pò" è sincronica e fonologica. Il parlante pronuncia [umpò] "un
pò" (come “popò”) e non già [*ùmpo] [*ùn po]. Il segmento «po'»
(derivante da "poco"), monosillabo, a differenza di "poco",
non si trova mai da solo; ed è sempre legato a «un», formando un'unica parola
bisillabica, tronca.
Secondo
la fonologia e (orto)grafia dell'italiano tutte le parole tronche sono indicate
con il segnaccento sulla sillaba finale (es. "popò" ecc.). Una regola
ortografica, questa, ben radicata nella coscienza linguistica del parlante.
Infatti su circa 2.700 parole accentate sull'ultima sillaba, registrate in un
dizionario di circa 130mila lemmi come quello del compianto Tullio De Mauro,
quelle che invece prevedono l'apostrofo sono appena 28 (ovvero l'1%). La
pressione strutturale del 99% delle parole con (segn)accento sull'ultima
sillaba, spiega quindi la grafia "un pò" anche presso parlanti colti.
E anche in "a mò di" (censurata), e in "a piè di" invece
eccezione normativamente ammessa.
Se
queste sono le due diverse regole alla base di "un po'" e "un
pò", perché mai l'Uso (1) "un po' " generato dalla regola (l.a)
è giudicato corretto rispetto all'Uso (2) "un pò" della regola (2.a)?
Direi che alla base di tale giudizio è l'adozione di "un po'" nelle
scritture colte e super-controllate. Tale uso trova però la concorrenza di
"un pò" anche presso moltissimi altri parlanti. La stessa Treccani
ricorda la presenza "nei blog e nei forum, [...]
in comunicati stampa, report aziendali e brochure pubblicitarie", in
"tesi e tesine", in SMS. La "Enciclopedia
dell'italiano" (Treccani) rileva ancora che è "frequentissimo nelle
scritture, anche in quelle mediamente formali e professionali" (p. 1644).
E, aggiungiamo, in scrittori di rilievo. Per es. in Dino Campana («cogli occhi
neri un pò tristi»). O in Fenoglio e Salgari. In
rete si troveranno altri esempi illustri. A questo punto, "un pò" di
"ristandardizzazione" non farebbe male a grammatici e dizionari, che
dovrebbero riconoscere la legittimità di "un pò".
* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania
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