In difesa di 'redarre' (e di De Mauro) un intervento di Salvatore Claudio Sgroi, tratto da "risposte ai quesiti" del sito dell'Accademia della Crusca.
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Dare una stangata o essere stangato
Il ragionier Piombini era fuori di sé: aveva appreso che il suo collega di stanza
sarebbe stato promosso al grado superiore, mentre lui, piú anziano, era fermo
al settimo livello. Era invidioso, quindi,
e trascorreva le giornate pensando a come poter stangare il suo
"amico"; pensava a quale ostacolo frapporre per impedirgli
l'avanzamento di carriera. Un giorno fu sorpreso dal figlio mentre pensava ad
alta voce: «Devo dargli una stangata, devo dargli». Il piccolo corse nel
ripostiglio, prese una stanga di legno e, con aria trionfale, la consegnò al
padre: «Ecco la stanga, papà, puoi toglierti la soddisfazione». Ci volle tutta
la pazienza del padre per convincere il piccolo che egli intendeva dire una
stangata in senso metaforico. «Donde viene, allora, questo modo di dire?»,
domandò con evidente interesse il giovinetto. «Innanzi tutto - cominciò il
padre - "essere o venire stangato" significa ricevere un colpo, in
senso figurato, da cui è molto difficile risollevarsi; subire un rovescio di
fortuna; essere fermato da un ostacolo o da un provvedimento che "taglia
le gambe" (sempre in senso figurato) in una determinata attività. Tuo
fratello, per esempio, ha ricevuto una stangata scolastica perché è stato
bocciato; la stangata, cioè la bocciatura, è l'ostacolo che non ha permesso a
Peppino di essere ammesso alla classe superiore. Il modo di dire si rifà a
un'usanza antica: un tempo ai mercanti che dichiaravano il fallimento della loro
attività si inchiodava sulla porta dell'esercizio una piccola stanga di legno,
con i bolli dell'ufficio preposto, per segnalare che la bottega era stata
chiusa al commercio, di conseguenza aveva cessato l'attività. Figuratamente,
per tanto, chi riceve una stangata non può piú proseguire nella propria
attività».
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