Il prestigioso vocabolario Treccani, in Rete, attesta l'aggettivo "irruento" come prima occorrenza e, in parentesi, "irruente" come seconda. Dovrebbe essere, invece, l'esatto contrario perché l'aggettivo in questione viene dal participio presente del verbo latino "irruere": irruente(m). La forma irruento, anche se largamente in uso, è da considerare di... uso popolare. Il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, marca "irruento" come meno bene, privilegiando "irruente", per l'appunto. La cosa, però, ci fa un po' sorridere: in lingua un vocabolo non può essere "meno bene", vale a dire o è corretto o non lo è (non può essere "corretto a metà"). Irruente, insomma, è un aggettivo della seconda classe, come "facile", e ha un'unica desinenza, tanto per il maschile quanto per il femminile, ma cambia l'articolo, ovviamente. Per la verità dobbiamo dire che anche altri vocabolari sono sulla linea del Treccani; linea, a nostro modo di vedere, errata. Ma tant'è. Insomma, se vogliamo parlare e scrivere correttamente dobbiamo dire che "Giovanni è un uomo irruente (non irruento), anche la moglie è irruente".
mercoledì 31 gennaio 2024
Un uomo "irruento"
Il prestigioso vocabolario Treccani, in Rete, attesta l'aggettivo "irruento" come prima occorrenza e, in parentesi, "irruente" come seconda. Dovrebbe essere, invece, l'esatto contrario perché l'aggettivo in questione viene dal participio presente del verbo latino "irruere": irruente(m). La forma irruento, anche se largamente in uso, è da considerare di... uso popolare. Il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, marca "irruento" come meno bene, privilegiando "irruente", per l'appunto. La cosa, però, ci fa un po' sorridere: in lingua un vocabolo non può essere "meno bene", vale a dire o è corretto o non lo è (non può essere "corretto a metà"). Irruente, insomma, è un aggettivo della seconda classe, come "facile", e ha un'unica desinenza, tanto per il maschile quanto per il femminile, ma cambia l'articolo, ovviamente. Per la verità dobbiamo dire che anche altri vocabolari sono sulla linea del Treccani; linea, a nostro modo di vedere, errata. Ma tant'è. Insomma, se vogliamo parlare e scrivere correttamente dobbiamo dire che "Giovanni è un uomo irruente (non irruento), anche la moglie è irruente".
Il verbo intuire contiene uno iato o un dittongo? (2)
Non credevamo che gli esperti della rubrica "Domande e risposte" del sito della Treccani non ritenessero opportuno emendare la risposta circa il nesso "-ui-" del verbo intuire. Si tratta di iato, non di dittongo. La cosa stupisce, e non poco, perché inficia la credibilità e l'autorevolezza della prestigiosa istituzione alla quale (oltre all'Accademia della Crusca) molti lettori pongono quesiti di carattere orto-sintattico-grammaticale. Ribadiamo, quindi, quanto scritto su questo portale (e inviato anche alla Treccani) il 26 gennaio scorso, aggiungendo che lo iato si ha anche per una "differenza accentuale" ed è il caso, appunto, di intuire. Le due vocali deboli (u,i) sono "separate" dall'accentazione: in|tu|ì|re (se fossero un dittongo non si potrebbero separare).
domenica 28 gennaio 2024
Una donna che lavora il legno è "una falegnama" o "una falegname"?
Sul femminile di falegname -- se non cadiamo in errore -- c'è un po' di confusione e i lessicografi, quindi i vocabolari, non hanno raggiunto un unanime accordo. Alcuni non lo attestano affatto, altri propongono l'invariabilità, altri ancora il normale femminile in "-a", falegname/falegnama, per analogia con il femminile di consigliere (consigliera). Questa analogia ci lascia alquanto perplessi perché il femminile consigliera deriva da un sostantivo maschile in "-ere" e buona parte di questi nomi nella forma femminile mutano la "e" in "a", appunto: parrucchiere/parrucchiera; consigliere/consigliera; gioielliere/gioielliera; cameriere/cameriera. Non è il caso, però, di falegname (che non termina in "-ere"). Chi scrive propone, sommessamente, di lasciare invariato il sostantivo, mutando solo l'articolo: il falegname/la falegname; i falegnami/le falegnami. Il lessema in oggetto si può classificare, infatti, tra i nomi epiceni ("genere comune"): il giudice/la giudice; il preside/la preside; il coniuge/la coniuge; il nipote/la nipote; il vigile/la vigile; il presidente/la presidente; il falegname... la falegname. Da respingere decisamente, secondo chi scrive, "donna-falegname" o "falegname-donna" e, obbrobrio, "falegnamessa", come suggerito da qualche pseudolinguista.
***
Segnaliamo una parola relegata nella "soffitta della
lingua", ma che andrebbe "rispolverata" perché dal 'sapore'
aulico: insonte.
È un aggettivo e vale innocuo, che non fa male, che non nuoce, che non
danneggia.
***
L'italiano, in futuro, che lingua sarà? QUI
(Le
immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i
diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: faraso1@outlook.it)
venerdì 26 gennaio 2024
Il verbo intuire contiene uno iato o un dittongo?
Da "Domande e risposte" del sito Treccani:
Avrei un'incertezza su “intuire”: ha dittongo o ha iato?
Risposta degli esperti:
Nella parola intuire, -ui- è un dittongo. Per orientarsi rapidamente, rinviamo a una risposta data a un quesito simile qualche tempo fa.
------------------------
Ci spiace veramente dissentire totalmente dagli esperti
della prestigiosa e autorevole istituzione Treccani (ai quali invieremo questo
intervento): il nesso "-ui-" del verbo intuire è uno iato, non un dittongo.
Lo iato si ha -- tra l'altro -- dall'incontro di due vocali che si pronunciano
separatamente, con due distinte emissioni di fiato, ed è il caso, appunto, del verbo
"intuire". I vocabolari De Mauro, Garzanti, Sabatini Coletti e
Olivetti, al lemma in oggetto riportano: in|tu|ì|re (come si può ben vedere,
dunque, siamo in presenza di uno iato in quanto le due vocali sono
"separate").
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La lingua "biforcuta" della stampa
Quest'uomo vive con il lupo più grande del mondo: il loro legame è unico
------------------
Non ci stancheremo mai di "ricordare" agli operatori dell'informazione che il mondo non può essere usato come termine di paragone.
*
L'uomo più alto del mondo (251 cm) a cena da Sorbillo a Napoli. «Ha ordinato la pizza con l'ananas»
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Inutile ripetere quanto già scritto: come si fa a paragonare ("mettere a confronto") il mondo con qualcuno o qualcosa?
*
Ancora...
Si chiama Giovanni ed è l'italiano più ricco del mondo
(Le
immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i
diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: faraso1@outlook.it)
mercoledì 24 gennaio 2024
Sgroi - 166 - Spagnolo “superproparoxítono” vs Italiano “bisdrucciolo”
1. L’evento
fonologico
In occasione del settimanale affaccio in piazza S.
Pietro, domenica 14 gennaio 2024, 12h, Papa Francesco ha detto con pronuncia
sdrucciola “si interrògano” anziché si intèrrogano con accentazione
bisdrucciola, là dove lo spagnolo nel caso specifico prevede la pronuncia piana
“se preguntan, interrogan”. In che modo, è legittimo
chiedersi, la competenza fonologica nativa del Papa ispanofono ha potuto influire
al riguardo?
2.
L’accentazione in spagnolo
Come osserva M. Carrera Díaz (1997) nella sua Grammatica spagnola (ed. Laterza), "Si può constatare statisticamente che lo spagnolo, come l'italiano, è una lingua dallo schema accentuale prevalentemente piano (...+ -)", nel contempo "lo spagnolo ha una tendenza molto minore dell'italiano verso l'accentazione sdrucciola; dopo l'accentazione piana, mostra una chiara preferenza per la tronca" (p. 16).
"L'elenco di frequenze delle possibilità accentuali dello spagnolo" (p. 17), stabilito da Carrera Díaz è quindi il seguente:
piana: "(1) carretera (frequenza massima)", Tarento 'Taranto', Otranto 'it. Otranto';
tronca: "(2) ordenador (frequenza media)";
sdrucciola: "(3) teléfono (frequenza ridotta)";
bisdrucciola: (4) señálamelo (frequenza minima)".
Ovvero "la maggioranza delle parole sdrucciole dello spagnolo sono trisillabe, ma neanche queste riescono a aggiungere una percentuale superiore allo 0,95% sul totale del lessico" (p. 17).
“Le
forme del gruppo (4) – aggiunge ancora Carrera Díaz -- sono
generalmente aggregati lessicali risultanti dall’aggiunta di diversi pronomi ad
una forma verbale (cantάselo
‘cantaglielo’, indicάselo
‘indicaglielo’, ecc.)”.
A.
Quilis - C. Hernández - V.G. de la Concha (19711, 19745), in Lengua
española. Iniciación universitaria (Valladolid),
indicano (pp. 59-61) 4 schemi accentuali distinti sillabicamente:
1)
"Bisílabos", "el esquema paroxítono representa el 78% del
lessico spagnolo (es. vaso); el oxítono el 22% (es. vasar);
2)
"Trisílabos", "el esquema paroxítono representa el 74%"
(es. muñeca), "el oxítono
el 20%" (es. corazón) "y el proparaxítono el 6% de los
casos" (es. célebre);
3)
"Tetrasílabos", "el esquema paroxítono representa el 80%"
(es. telegrama); "el oxítono el 9%" (es. aniquilar);
"el proparoxítono, el 10%" (es. teléfono), "el
superproparoxítono el 1%" (es. cómetelo);
4)
"Pentasilabas" (senza %), ess. relátamelo (“superproparoxítono”
o “sobresdrújulas”), dialectólogo (“proparoxítono”), concesionario (“paroxítono”),
telefonear (“oxítono”).
A. Quilis (1993) nel Tratado de
fonología y fonética españolas (ed. Gredos) ricorda che "la estructura
paroxítona del español [...] es la más frecuente" (p. 391). Basandosi
poi su un campione di spagnolo parlato ha potuto stabilire (§ 13.9, p. 403)
che, scartando le parole atone e i monosillabi, le "palabras
paroxítonas" sono il 36,01%, le "oxítonas" il 7,98%, le "proparoxítonas"
invece l'1,22%.
3. L’accentazione
in italiano
L’italiano
da parte sua, come anticipato, è una lingua in cui le
parole piane (con ritmo trocaico) prevalgono su quelle tronche, sdrucciole e
bisdrucciole.
Stando a una analisi di F. Mancini-M. Voghera (1994) su un
campione di occorrenze-lemmi dell'italiano parlato (il LIP 1993
demauriano), il
93% dei lemmi bisillabi ha un'accentazione piana, a fronte dell'81% delle
parole trisillabiche piane. Le parole tronche sono invece il 16,2% a fronte
dell'8,8% delle sdrucciole. Più in generale le parole piane (bisillabe e
trisillabe) sono il 74,6%.
4. Un confronto strutturale: spagn. “superproparoxítono”
vs ital. “bisdrucciolo” (puro)
Dal
confronto strutturale delle due lingue emerge così che in spagnolo l’accento “superproparaxítono” delle parole “pentasílabas"
(certamente meno del 0,95%), ottenuto con l’aggiunta dei clitici es. relátamelo contrasta con l’accento
“bisdrucciolo” per così dire puro (senza cioè la presenza di clitici
postverbali) in italiano, es. s’intèrrogano.
Da qui lo scivolamento dal
bisdrucciolo (puro) s’intèrrogano allo sdrucciolo marcato s’interrògano
di Papa Francesco, le “esdrújulas” avendo in spagnolo una frequenza superiore --
il 6% dei trisillabi (es. célebre)
e il 10% dei quadrisillabi
(es. teléfono) -- rispetto "all’1%" (es. cómetelo) dei
“superproparoxítonos” ovvero alla “frequenza
minima" delle bisdrucciole es. señálamelo.
Sommario
1. L’evento fonologico
2.
L’accentazione in spagnolo
3.
L’accentazione in italiano
4. Un
confronto strutturale: spagn. “superproparoxítono” vs ital. “bisdrucciolo” (puro)
(Le
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martedì 23 gennaio 2024
Sgroi - 165 - “Perdonatore”: ispanismo o no?
di Salvatore Claudio Sgroi
1. Un rilievo
Un caro amico e
collega, con riferimento al mio precedente intervento (164. “Papa Francesco
‘non suona il violino’” di giovedì 18 gennaio), con riferimento a Perdonatore, “adoperato due volte nella
sua intervista – avevo scritto – sottolineando l’origine spagnola (“come
diciamo noi”)”, ha osservato che “è registrato anche
nel GDLI [= Grande Dizionario della
lingua italiana del Battaglia] e, se pure con l'etichetta B(asso)U(so), nel
GRADIT; quindi è parola italiana a tutti gli effetti”.
La mia risposta è stata: “Avessi aperto anche il DeMauro scolastico
avrei visto che PERDONATORE è voce del '300 e quindi etimologicamente italiana.
L'ispanismo scatta probabilmente a livello di frequenza BU (per DeMauro e per
me che non l'ho mai usata) ma non in spagnolo”.
2. Vitalità di perdonador
La
vitalità in spagnolo di perdonador è
infatti dimostrata dalla presenza del terrmine nel Diccionario del español della Real Academia Española (anche in
rete), nel Diccionario de uso del
español di María Moliner
(Gredos 1967, 2 voll.), nel Larousse.
Gran diccionario de la lengua española
(20073) e nel Diccionario del
español actual di M.
Seco – O. Andrés – G. Ramos (Aguilar 19991, 20112) 2
voll.), che sotto personador cita due
ess. del 1967: “En Salomón no encontraremos…al hombre de corazón generoso y perdonador,
al estilo de David” e del 1974: “dejaron en la mano de la perdonadora un
rastro difícil de borrar”.
3. Rarità di perdonatore
La rarità in it.
di perdonatore è invece confermata
dall’assenza nella
vocabolaristica scolastica quali il Treccani-Simone 2005, il Sabatini-Coletti
2007-2008, il Garzanti 2017, il Devoto-Oli 2023 (con l’eccezione del DeMauro
2000 e dello Zingarelli 2023, oltre che del su ricordato Battaglia e,
aggiungiamo, del Treccani-Duro 1991 che lo etichetta significativamente come
“ant.”).
La scarsa
vitalità di perdonatore in italiano affiora
ancora a livello d’uso, con un’unica attestazione nel Primo tesoro della lingua letteraria italiana del Novecento 2007 (100 testi del Premio Strega
del cinquantennio 1947-2003), quella di U. Eco Il
nome della rosa 1981:
“falsari di bolle e
sigilli papali, venditori di indulgenze, falsi paralitici che si sdraiavano
alle porte delle chiese, vaganti in fuga dai conventi, venditori di
reliquie, perdonatori, indovini e chiromanti, negromanti, guaritori,
falsi questuanti, e fornicatori di ogni risma, corruttori di monache e di
fanciulle con inganni e violenze”.
E
un’unica attestazione nel “Sole 24 Ore”, “venticinque anni di idee” (1985-2008)
e nessuna
nell’archivio del 2009 e 2010:
“In
questa maratona di santità si è registrata finora una sola falsa partenza,
quella di Silvio Berlusconi, che pure è un gran perdonatore, ne sa qualcosa il
suo staff di ministri” (Ludovico
Besozzi, 28.4.2002). |
La
rarità dell’it. perdonatore rispetto
allo sp. perdonador è ancor più dimostrata,
oltre che dall’assenza nel Grande dizionario
di spagnolo della Zanichelli (2012) e nel Grande dizionario Hoepli spagnolo di L. Tam (III ed.) nelle due
sezioni bilingui, anche –
da tre punti di vista – dal
bilingue Garzanti Spagnolo (2009), che
a) nella sez. It.-sp. omette il
lessema perdonatore, ma b) nella sez. Sp.-it. lemmatizza lo sp. perdonador, ra s.m.,f. rendendolo c) non col traducente perdonatore ma con la perifrasi “persona
(f.) che perdona”.
4. Ispanismo “risuscitato”
In
conclusione quindi se perdonatore è –
etimologicamente – di origine italiana, a livello d’uso – sincronicamente – si
rivela un lessema italiano raro/antico “risuscitato” come “ispanismo” da Papa
Francesco, che lo ha riportato per così dire in “in vita”.
Sommario
1.Un rilievo
2. Vitalità di perdonador
3. Rarità di perdonatore
4.
Ispanismo “risuscitato”
(Le
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"Munirsi di...?" No, fornirsi, dotarsi e simili
Ancora un verbo adoperato -- a nostro modo di vedere -- impropriamente, se non erroneamente: munire (o munirsi). In questo caso qualche vocabolario è dalla nostra parte. E veniamo al dunque. Quasi tutti i mezzi di trasporto pubblico che circolano nelle nostre città recano la scritta «munirsi di biglietto prima di salire in vettura». Viene spontaneo domandarsi: da chi dobbiamo difenderci? Dall’assalto del conduttore o da quello del controllore? Munirsi sta a indicare una difesa: ci si munisce sempre di qualcosa contro qualcuno o contro qualche altra cosa. Nel caso dei mezzi di trasporto da chi dobbiamo difenderci, appunto? Dal conducente o dal controllore?
Munirsi, infatti, viene dal latino munire che significa proteggere, difendere, fortificare. Il termine munizioni non vi dice nulla? Cosa sta a significare, infatti, se non tutto ciò che serve per caricare un’arma da fuoco?
Crediamo, forse, che se i responsabili delle aziende di trasporto avessero fatto scrivere «fornirsi di biglietto», il viaggiatore sprovveduto in fatto di lingua sarebbe andato dal... fornaio a comprare una pagnotta. Diamo la "parola" a Ottorino Pianigiani, anche se non gode della fiducia (linguistica) di buona parte dei glottologi:
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La lingua "biforcuta" della stampa
Somala pestata da branco nell'Ennese: insulti razziali durante aggressione
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Correttamente: insulti razzisti.
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Bomba geologica italiana: il vulcano attivo più pericoloso del mondo si trova nel nostro paese
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Quanto è pericoloso il mondo? La P di paese va 'maiuscolata", trattandosi di una nazione e non di un... paese.
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Rischiano la vita ogni giorno: i tragitti casa-scuola più pericolosi del mondo
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Anche in questo caso: quanto è pericoloso il mondo?
*
Il luogo più ventoso del mondo: ti sfidiamo ad andarci!
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Speriamo che un giorno, non troppo lontano, i "massinformisti" capiranno che il mondo non può essere preso come termine di paragone.
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lunedì 22 gennaio 2024
Una "falsità linguistica"
Gli amici della carta stampata e no ci perdoneranno se, di tanto in tanto, censuriamo il loro linguaggio perché, come andiamo ripetendo da tempo, i giornali entrano (o dovrebbero entrare) in tutte le case, vengono letti anche da persone che non sempre sono in grado di discernere una "verità linguistica" da una... "falsa". E certi cronisti dispensano -- nei loro servizi -- solo "falsità linguistiche". Tali falsità vengono "assimilate" dagli studenti che le riportano nei loro componimenti con conseguenze facilmente immaginabili (se i loro scritti vengono vagliati da docenti degni di tale nome; oggi, purtroppo...). Perché questo preambolo? Perché abbiamo letto su un giornale, che non citiamo per carità di patria, che "Caio Sempronio detiene il primato in quella disciplina". Come si fa a detenere un primato? Ecco, dunque, una "falsità linguistica". Il verbo "detenere" è il latino 'detinere', trattenere, e il significato proprio del verbo è "tenere presso di sé con la forza", "tenere prigioniero" (i "detenuti" nelle carceri non vi dicono nulla?). Non si adoperi, pertanto, il predetto verbo nella locuzione "detenere un primato" e simili. Ci sono altri verbi che fanno alla bisogna. Dimenticavamo: siamo smentiti dai vocabolari, ma la cosa non ci turba minimamente, convinti della bontà della nostra tesi.
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domenica 21 gennaio 2024
Pedissequo: voce aulica o spregiativa?
Un'interessante dissertazione dell'Accademia della Crusca sull'origine e sul significato del sostantivo-aggettivo pedissequo.
***
Sul verbo "alleviare"
Si presti attenzione al congiuntivo presente di questo verbo, perché non tutti
i vocabolari concordano.
Alcuni mettono la doppia i, una della radice e una della desinenza:
che essi alleviino; altri una
sola i: che essi allevino.
Si segua questa semplice regola: i verbi con la prima persona singolare del
presente indicativo in -io con la i non
accentata perdono la i della radice davanti a desinenze che
cominciano con “i": graffiare, che
io graffi (non graffi-i); studiare, che io studi (non studi-i), che essi studino
(non studi-ino), alleviare, che io allevi (non allevi-i), che essi allevino
(non allevi-ino).
***
La lingua "biforcuta" della stampa
Mariella Russo, la vice questore condannata a 2 anni per la richiesta fasulla di 11 certificati penali
------------------
In buona lingua: vicequestora. Il confisso "vice-" si 'attacca' alla parola che segue. Quanto al femminile questora si veda qui.
*
GENOVA
Ha provato a depilarsi tutto il corpo, ma il pelo sfuggito gli costa la divisa da poliziotto: “Trovate tracce di cocaina”
-------------------
Correttamente: divisa DI poliziotto (è un normale complemento di specificazione). Si veda qui, al punto 2.a.
(Le
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sabato 20 gennaio 2024
Due verbi adoperati impropriamente: mancare e dismettere
Ci sono due verbi, nel nostro lessico, che vengono usati in modo improprio, se non "calpestati", dalla maggior parte dei fruitori della lingua e, soprattutto, dagli operatori dell'informazione (che dovrebbero "informare" dispensando la lingua corretta): mancare e dismettere. Il primo, dunque, contrariamente a quanto attestano quasi tutti i vocabolari (ahinoi!) è solo intransitivo e con due accezioni distinte: sbagliare e morire. Nel primo significato si coniuga con l'ausiliare avere: in quell'occasione, caro amico, hai mancato (sbagliato) gravemente; nella seconda accezione richiede l'ausiliare essere: ieri è mancato all'affetto dei suoi cari il ragionier Giorgini. Oggi, chissà perché, è invalso l'uso ("benedetto" dai dizionari) di "transitivizzarlo" dandogli l'accezione (che in buona lingua non ha) di "non raggiungere un obiettivo", "fallire uno scopo". Le cronache sportive sono un esempio lampante; si legge sempre che quel giocatore "ha mancato" il gol. Mancare, insomma, non è un sinonimo di "fallire" o, addirittura, di "mantenere". Non diremo, pertanto, "hai mancato la promessa" ma, correttamente, "non hai mantenuto la promessa".
E veniamo al verbo dismettere che, alla lettera, significa "non-mettere". Dismettere, dunque, vale "non mettere più", "non usare più". Dismettere un abito, per esempio; oppure dismettere un appartamento vendendolo o, comunque, dando via tutto ciò che vi è dentro. Non riteniamo appropriato, oseremmo dire errato, l'uso del verbo in questione riferito a un oggetto: dismettere il televisore. Tempo fa un quotidiano -- uno di quelli che, si dice, "fa opinione" -- titolava: "In regalo alle scuole i nostri personal computer dismessi". I personal computer (computieri) si dismettono? Poveri "massinformisti", chissà per quanto tempo hanno dovuto indossarli! Quanta fatica hanno dovuto sopportare! E poveri Dante e Manzoni, si saranno rivoltati nella tomba.
Se saremo contestati dai soliti "linguisti d'assalto" e ci arriveranno i loro strali ci faremo scudo con il vocabolario di Ferdinando Palazzi: "(mancare) essendo intransitivo è errore usarlo col complemento oggetto; perciò non dirai mancare il colpo, ma fallirlo; mancare lo scopo, ma non riuscire allo scopo; mancare una promessa, ma venir meno alla promessa, mancare alla promessa; mancare una speranza, deluderla ll N. trasgredire, diminuire, difettare, fallire, far difetto, scarseggiare, scemare, non frequentare, marinare, disertare, tradire, sbagliare".
E con il “Dizionario grammaticale” (per il buon uso della lingua italiana) di Vincenzo Ceppellini:"(mancare) verbo intransitivo. Quando significa ‘commettere mancanza o sbagliare’ si coniuga con avere; quando invece significa ‘venir meno, morire, spegnersi’ si coniuga con l’ausiliare essere. (…) Si noti poi che è scorretto l’uso di questo verbo transitivamente (…)".
***
La lingua "biforcuta" della stampa
Rimpatri e nazionalità: Berlino acellera
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Senza parole!
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La Crusca "benedice" il termine ecovandalo, ma senza trattino. Qui,
(Le
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giovedì 18 gennaio 2024
Sgroi - 164 - Papa Francesco “non suona il violino”
di Salvatore Claudio Sgroi
1. Evento televisivo
Decisamente un evento l’intervista a Papa Francesco di Fabio Fazio a “Che Tempo che fa”, nel canale “9”, di domenica 14 gennaio, ora comodamente leggibile anche in Internet, dove si sono affrontati non pochi aspetti della difficile realtà che stiamo attraversando.
2. L’“escalation
bellica”
A un certo punto parlando delle guerre nel mondo, ovvero
della “escalation bellica”, “dall’Ucraina a Israele e Gaza
fino allo Yemen e tutte le guerre dimenticate”,
Papa Francesco ha detto:
“Dietro le guerre, diciamolo, con un po’ di vergogna,
c’è il commercio delle armi. Diceva un
economo che in questo momento gli investimenti che danno, interessi, più
soldi sono le fabbriche delle armi. Investire
per uccidere. Questa è una realtà, io non suono il violino, questa è realtà.”
Confesso di non aver mai sentito tale espressione, ignota
anche a quattro colleghi (due piemontesi, un veneto ed uno emiliano), il cui possibile
significato in quel contesto è “la mia non è una stonatura”, “non dico
assurdità”.
2.1. Origine piemontese?
C’è allora da chiedere da dove Papa Francesco abbia tratto
tale espressione. Verso la fine dell’intervista il pontefice ha ricordato che
“I nonni abitavano a
40 metri, la nonna veniva al mattino, mi portava a casa sua, passavo tutto il
mattino, pranzavo con loro e poi mi riportava a casa. Questo è un bel ricordo e
questo è il motivo per cui la mia prima lingua non è stato lo spagnolo ma il
piemontese, perché loro parlavano piemontese”.
Il che suggerisce la
possibilità di una traduzione dal dialetto piemontese. Ma la ricerca non è
stata confermata dai dizionari dialettali, in primis il Gran dizionario piemontese-italiano di Sant’Albino del 1859, né da
colleghi piemontesofoni, anche se il grande Dizionario
dei modi di dire del compianto Ottavio Lurati (Garzanti 2001) ricorda che è
presente “nell’Italia settentrionale, fa
la viola, e fa l violin nel senso
di far rumore, provocare una stonatura, un rumore sgradevole” (p. 1025).
2.2. Origine spagnola?
L’altra possibilità per dar conto di tale uso è stata allora
di sospettare lo zampino dello spagnolo del Papa argentino. In realtà, un
rapido controllo nei dizionari bilingui, come Il grande dizionario di spagnolo della Zanichelli (2012), ha
consentito di verificare che l’espressione tocar
el violín ha solo significato letterale. È invece alla voce violón s.m. ‘contrabbasso’ che si trova
l’espressione “tocar el v. (fam.)
parlare a sproposito”, che è il senso che si addice perfettamente al contesto
di cui sopra.
La conferma deriva naturalmente anche dai dizionari monolingui
come il Diccionario de la lengua española
della Real Academia Española (anche in rete), dove si trova: “violón m. contrabajo”, “tocar el v. fr. coloq. Hablar u obrar fuera
de propósito, o confundir las ideas por distracción o embobamiento”.
Il Gran diccionario de
uso del español actual (Sgel 2001), da parte sua, riporta: “loc. tocar el violón, Fig. hablar o actuar
inoportunamente, o fuera de lugar”, con un es. El ejecutivo despedido hablaba sobre los despidos tocando el violón ya
sin el violón, es decir, haciendo el payaso patético”
In maniera non meno autorevole il Diccionario del español actual di M. Seco-O. Andrés-G- Ramos
(Aguilar 19991, 20112) riporta “violón m. Contrabajo” e la “loc. v.” tocar el v. con due significati: a) “col. Hablar fuera de propósito”, con un es. letterario di
Gonzalo Torrente Ballester del 1975: “Decir de Pessoa que fue un pequeño
burgués… es otro modo de tocar el violón” e b)
“Perder el tiempo o actuar sin provecho” con un altro es. letterario.
Papa Francesco ha quindi tradotto il suo “tocar el violón”
con “suonare il violino” anziché “contrabbasso”. Un uso idiolettale che, dato
il prestigio del sommo locutore, potrebbe anche diffondersi in italiano.
3. Perdonatore
Decisamente calco strutturale sullo spagnolo è anche il
sostantivo, semanticamente trasparente, perdonatore, adoperato due volte
nell’intervista, sottolineando l’origine spagnola (“come diciamo noi”):
“il Signore non si stanca di perdonare. Siamo noi a
stancarci di chiedere perdono. Questo non dimentichiamolo mai. […] Lui è il
grande perdonatore, non si stanca
mai.”
“Un grande
confessore, che ho fatto cardinale nell’ultimo concistoro, è un uomo di 94
anni, un frate cappuccino dell’Argentina. E lui è un grande perdonatore, come diciamo noi,
“manica larga”, perdona tutto”.
Il suffissato, deverbale di perdonare, dallo spagnolo
perdonador, è stranamente assente nel citato Grande dizionari o di spagnolo zanichelliano, ma non nei
monolingui, come il Diccionario della
Real Academia Española in quanto “adj,” “Que perdona (remite la deuda, ofensa,
etc.”, ma anche sost.
4. Scarto
e scartati
Parlando
di Gaza, Papa Francesco non ha potuto fare a meno di rilevare
“quanti arabi morti
e quanti israeliani morti, due popoli fratelli che si distruggono a vicenda,
questa è la guerra». Ed è «criminale far perdere ai bambini il sorriso», come
fa la guerra. I bambini muoiono, sono sfruttati, sono scartati. E quando li ritroviamo in carcere dobbiamo pensare
che siamo stati noi, è stata la società a educarli così, li abbiamo messo ai
margini. Lo scarto è una condanna a
morte dei bambini».
Il termine scarto / scartato
riferito ad esseri umani, presente anche in non poche omelie del Papa, è un
calco semantico dello spagn. descarte,
descartados.
5. Economo
Nel § 2 di questo intervento abbiamo riportato la
frase di Papa Francesco che iniziava con
“Diceva un
economo che in questo momento gli investimenti che danno, interessi, più
soldi sono le fabbriche delle armi”.
Il testo riportato on line è stato a volte banalizzato in “un
economista”. Si potrebbe pensare che “economista” in sp. si dica “ecónomo”. Ma non è così, in quanto sia in spagn. che in
italiano per indicare uno “studioso di scienza economica” si utilizza lo stesso
suffissato economista.
In realtà, il sost. economo
usato da Papa Francesco indica, come chiarisce il citato Gran diccionario de uso del español actual, “Persona encargada de
cobrar y administrar las rentas de las parroquias donde no hay sacerdote
permanente”, o anche “Persona que se cuida de la administración del dinero de
una comunidad”, come l’italiano economo
s.m.“chi amministra le spese di un ente, una comunità, un
collegio e sim.” (Diz. di De Mauro
2000, anche in rete), mentre l’it.
economo agg. nel significato di
‘parsimonioso’ è reso in spagn. con “ahorrador”.
Sommario
1. Evento televisivo
2. L’“escalation
bellica”
2.1. Origine piemontese?
2.2. Origine spagnola?
3. Perdonatore
4. Scarto,
scartati
5. Economo
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