venerdì 9 luglio 2021

Sgroi - 107 - Perché un "uso" è (giudicato) corretto o scorretto ("abuso")?



 di Salvatore Claudio Sgroi

 1. L'evento del blog

Il lettore P.P. Falcone, dopo aver letto il mio intervento 106. L'algoritmo della Intelligenza Artificiale (I.A), ovvero la Regola della frequenza degli usi, alla base della Norma di Google Docs, del 23 giugno in cui illustravo la posizione di "Google Docs" secondo cui le forme più frequenti, individuate mediante un algoritmo, sono da giudicare corrette rispetto a quelle meno frequenti da ritenere per converso errate, ha preso (come me) le distanze dall'adottare il criterio della maggioranza alla base del giudizio di correttezza linguistica contrapposto a quello della minoranza "colpevole" di essere appunto minoranza.

           2. Ipse dixit

L'alternativa al criterio della maggioranza è stata indicata dallo stesso lettore nel ricorso in caso di dubbi a "un buon dizionario" (quale?), o nel rifarsi ai "testi di grammatica e sintassi del liceo" (ma anche qui: quali?). In tal modo l'A. ha optato per un criterio d'autorità, da ipse dixit. I dizionari e le grammatiche dovrebbero invero a loro volta esplicitare i criteri alla base dei loro giudizi di correttezza. Ma così facendo mi sembra anche che il lettore sia passato dalla padella nella brace. Non è difficile infatti trovare giudizi opposti su uno stesso fenomeno da parte di dizionari diversi. Per es. il verbo redarre rispetto a redigere per il De Mauro (2000) è solo di "Basso Uso", da "evitare" invece per lo Zingarelli (2020).

Per fare un altro es., la cosiddetta "virgola tematica" con "soggetto pesante", per es. Le giornate lunghe e un po' angoscianti dell'isolamento dovuto al coronavirus<,> rattristano molte persone, da uno storico della lingua, accademico della Crusca, come Rosario Coluccia, nel suo Conosciamo l'italiano? (Accademia della Crusca 2021 p. 164), è giudicata normativamente accettabile. E anche dopo il soggetto leggero, es. Carlo<,> mangia. Diversamente invece dal presidente dell'Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, ne L'italiano è meraviglioso (Rizzoli 2018, pp. 183-85) o nell'Elogio dell'italiano (La Repubblica 2019 pp. 39-40).

 3. Un terzo criterio

Sulla base di un terzo criterio, "laico", da me più volte proposto in questa sede e da ultimo proprio nel citato intervento n. 106, ma trascurato dal nostro lettore, una forma è per contro da giudicare errata (i) se tipica dell'italiano popolare dei parlanti semi(n)colti, come il famigerato "se ipotetico col doppio condizionale" (es. se potrei lo farei), non certamente il "se col doppio imperfetto indicativo", es. se lo sapevo lo facevo (cui sembra alludere il nostro lettore) proprio del cosiddetto neo-standard, oppure (ii) se la forma è incomprensibile, prodotta da parlante colto o incolto che sia.



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1 commento:

falcone42 ha detto...

D'accordo: io non sono un esperto di linguistica, quindi non posso competere col prof. Sgroi; non mi resta che fidarmi di qualche "ipse dixit", inclusi quelli del prof. Sgroi, di Fausto Raso, ecc. So che non tutti i dizionari sono d'accordo (lo leggo spesso anche su questo blog), ma mi fido più di un dizionario o di un competente che di un mezzo busto della TV (es.: "La fossa delle Marianne è profonda 11.000 chilometri". Stupidaggine, benché espressa in buon italiano).
Una sola piccola precisazione. Il prof. Sgroi scrive: "... non certamente il "se col doppio imperfetto indicativo", es. se lo sapevo lo facevo (cui sembra alludere il nostro lettore) ...". Non alludevo a questa espressione, ma ad altre, quali "Penso che faceva bene a dire così". Credo che sia più opportuno sostituirla con "Penso che abbia fatto bene ...".
P.P. Falcone