Chi scrive si meraviglia (ma non troppo) del fatto che ancora oggi a scuola si condanni un particolare uso del che chiamato che temporale.
Il figliolo di un amico prese un voto bassissimo in un tema in classe perché aveva
scritto «era il giorno che mio padre era in ferie».
Secondo l'insegnante quel che andava sostituito con in
cui.
Niente affatto, professore, quel che è correttissimo perché
equivale, appunto, a in cui. È, insomma, un che con
valore temporale. Basti ricordare, in proposito, il celeberrimo verso dantesco:
«Lo dì c'han detto ai dolci amici addio». Diamo un bel 2 anche al divino
Poeta?
Si usi tranquillamente, dunque, il che ogni volta... che
equivale a durante, da che, da quando e simili.
Potrà sembrare inverosimile, ma molti uomini
soffrono di disturbi uterini. Sono quelli affetti da isterismo, che in senso
proprio è una turba provocata da disturbi dell’utero, dal greco hystèra (utero). Ippocrate riteneva,
infatti, che questa malattia di tipo nevrotico, provenisse dall’utero che se
infiammato poteva spostarsi per tutto il corpo e giungere all’altezza della
gola, provocando, in tal modo, un repentino senso di soffocamento con esagitate
reazioni motorie. Il termine, quindi, è entrato nel linguaggio scientifico con
l’accezione a tutti nota.
Molto spesso ci capita di sentire o di leggere
sulla stampa frasi tipo: «Giovanni possiede una piccola casetta in campagna». Una casetta non è una piccola casa? Ci sembra errato, quindi, legare
l’aggettivo piccolo con un sostantivo alterato di forma diminutiva. Quindi: o una piccola casa o una casetta. Lo stesso discorso si può fare per quanto attiene
all’aggettivo grande: «ti mando un grande bacione». Si dirà: un bacione o un
grande bacio. Attendiamo smentite...
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La lingua "biforcuta" della stampa
L'INTERVENTO
Ecco l’ultima frontiera dell’oculistica: invece dei trapianti di cornea c’è il mini-intervento
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Nell'idioma di Dante e di Manzoni i prefissi e i prefissoidi si scrivono "attaccati" alla parola che segue: minintervento. In questo caso si ha anche la crasi. Si veda qui.
1 commento:
Nel celeberrimo verso dantesco: «Lo dì c'han detto ai dolci amici addio», va analizzato il "c´"non con "che", caso diretto contratto di pronome relativo "che" (="il quale" che nel caso indiretto diviene cui), ma bensì´, visto il toscano "madrelingua", con "quando" che i trascrittori ignari del chiorpo vernacolo toscano, avrebbero dovuto scrivere "qu´han detto", mentre, come l´educando erroneamente fece, interpretarono altrettanto falsamente con "che". Questo "che", in Italiano e´solo pronome relativo in caso retto, od apertura di frase oggettiva, e non altro. Infatti "Che fai tu luna in ciel? Dimmi, che fai?" e´poesia, gergo e simili, ma non Italiano "madrelingua", ove esiste soltanto "che cosa" e mai ridotto a Che (Gergo sub Magra-Rubucone) o Cosa (Gergo ad Magra-Rubicone) corrispondenti al ted. = Was, e Lat. =Quod/ Quid?.
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