Riproponiamo un nostro vecchio intervento perché i massinforma (operatori dell'informazione) continuano, imperterriti...
Pregiatissimo Direttore del portale,
approfitto della sua consueta e cortese disponibilità per
chiederle di pubblicare sul suo sito — che risulta essere abbastanza seguito —
una lettera aperta indirizzata ai lettori amanti della lingua. L'argomento —
fritto e rifritto, come usa dire — è di capitale importanza per me in quanto
causa di notti trascorse totalmente in bianco. Mi presento e mi spiego.
Il mio nome richiama alla mente, per assonanza, la città del
Poverello: Assisi. Al contrario del santo, però, non perdono se prima non
giudico. Sono, infatti, la corte d'Assise e, più in generale, le assise nel
significato di adunanza, assemblea, consesso e simili.
Come tutte le persone che si rispettano tengo moltissimo
alla mia identità (e personalità): sono un sostantivo femminile esclusivamente
plurale. E le notti in bianco che cosa c'entrano? Vi starete domandando.
C'entrano eccome! I così detti mezzi di comunicazione di massa —
radiotelevisioni e giornali — mi adoperano in modo orrendamente errato: mi
singolarizzano; ciò è lesivo della mia personalità e turba i miei sonni.
Ho deciso, quindi, di narrarvi la mia origine — e il perché
del solo plurale — anche se, credo, i più la conoscano e volutamente la
ignorino e anche se so di già che per alcune cosí dette grandi firme del
giornalismo sarà come parlare al vento. Però... chissà. I Latini dicevano...
Vediamo, dunque. Alcuni mi fanno derivare dal sostantivo femminile singolare assisa che significa seduta (attenzione:
assisa ha anche l'accezione di divisa, uniforme perché è un così detto
sostantivo polisemico) derivante a sua volta dal verbo assidersi.
Il mio uso, però, è giunto a voi — che mi fruite — dalla
lingua francese nella forma plurale: les
assises. Perché plurale? È presto detto. Il termine assises indicava le sedute di un'assemblea nel loro complesso. La
corte d'Assise che cosa indica se non le sedute di un'assemblea di giudici?
Le parole, si sa, corrono di bocca in bocca, dal colto
all'ignorante, e molto spesso finiscono con l'essere storpiate, come nel mio
caso. Una mattina, gentili amici, rimasi di stucco sentendo un giornalista del
Gr annunciare che «le corti d'Assisi di Roma e di Milano si contendono il
processo». Ma non è finita.
Un altro giorno, non ricordo su quale quotidiano, lessi che
«l'assise del partito è cominciata questa mattina». Confesso che il mio cuore
non resse: dovetti prendere un cardiotonico. Sì, la mia personalità — o, se
preferite, identità — fu completamente calpestata. Nel primo caso mi hanno
pluralizzato senza alcun motivo essendo già plurale; nel secondo caso, invece,
da plurale, quale orgogliosamente sono, mi hanno barbaramente singolarizzato.
Morale: in entrambi i casi la mia personalità è stata
selvaggiamente violentata. Il sostantivo assise, insomma, è solo plurale. Così
sono nato e così voglio restare.
Cortesi amici, io non sono come il patrono d'Italia che
cristianamente perdona senza giudicare, io giudico, eccome! e le persone le
giudico secondo l'uso che fanno di me. Se volete che non vi giudichi
negativamente, quindi, e tenete alla mia amicizia, non continuate a usarmi violenza:
lasciatemi sempre plurale. Così facendo io dormirò sonni tranquilli e voi non
sarete tacciati di ignoranza linguistica.
Grazie, signor Direttore.
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La lingua "biforcuta" della stampa
CULTURA
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L'enigma Frà Diavolo a 250 anni dalla
nascita
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Correttamente: Fra Diavolo (senza accento sulla "a"). Fra è troncamento di fra(te). Le parole "troncate" non si apostrofano e non si accentano (salvo qualche rara eccezione).
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