In piena civiltà industriale – come usa dire – adoperiamo termini che, senza rendercene conto, sono nati durante l’operosa vita del comune rustico. La lingua porta numerosi segni del periodo in cui l’occupazione primaria dell’uomo era l’agricoltura, e le città non avevano, rispetto alle campagne, posizione di assoluta preminenza.
Nella Roma repubblicana dapprima e nel declinare dell’impero
successivamente – nell’operosa vita contadina – sono nate innumerevoli
espressioni che ancor oggi adoperiamo. Talvolta esse sono trasparenti nel
significato, basta che su queste fermiamo la nostra attenzione; talvolta,
invece, è necessario ricorrere a confronti e riscontri per riconoscere o meglio
per capire che esse sono nate in ambienti agricoli.
Dal mondo contadino, infatti, da una delle colture più
importanti, quelle della vite, si sono tratte moltissime parole. Innanzi tutto
la vite metallica, che nella sua forma riproduce i viticci attorcigliati.
Poi il foruncolo. Il termine, in latino, è un diminutivo di
fur, ladro e vuol dire, per l’appunto, ladroncello. Vediamo, per sommi capi,
che cosa ha in comune con il mondo agricolo questo noiosissimo e fastidioso
tumoretto della pelle. Occorre tornare indietro, alla lingua latina, appunto,
perché il termine discende dritto dritto dal latino furunculus, tratto da fur –
come abbiamo visto – con il significato di ladruncolo.
Così chiamavano – i contadini romani – i rami secondari che
rubavano inutilmente la linfa ai rami principali delle viti, rendendoli gracili
e malaticci. Con il trascorrere del tempo, il furunculus, dal significato di
tralcio secondario di pianta, passò a indicare, nell’uso contadino, qualunque
nodo superfluo, qualunque protuberanza cresciuta sul tronco principale, e
infine ogni singola gemma.
A questo punto, è intuitivo, il vocabolo passò dal campo
botanico a quello zoologico; e fu detta furunculus ogni fastidiosa protuberanza
della pelle. Ma non è ancora finito. Quel primitivo fur ha dato origine anche a
una famiglia di parole poco raccomandabili: furto, furfante e refurtiva. Ma non
deviamo e torniamo a scoprire termini che – sia pure lontanamente – ci
riportano alla vita rurale dalla quale provengono.
Un tempo, come si sa, gli animali avevano un’importanza
primaria nel mondo contadino, essi aiutavano l’agricoltore nei lavori pesanti
come i buoi, per esempio, che instancabilmente trainavano l’aratro. Queste
povere bestie, molto spesso, erano punte dai tàfani (insetto dei ditteri, molto
simile alla vespa; le loro femmine si attaccavano ai bovini e ai cavalli per
succhiare il sangue lasciando nella piaga, da esse prodotta, molti germi di
malattie parassitarie, NdR) e il nome del piccolo animale, che i Latini
chiamavano asilus, rimane nel nostro assillo.
Una persona assillante, quindi, si comporta come i tàfani,
non dà tregua. I Greci davano allo stesso insetto il nome di estro. In senso
figurato una persona estrosa è presa da furore provocato da una puntura di un
estro. Questo vocabolo, è bene sottolinearlo, ha avuto miglior fortuna del suo
collega latino asilus essendo passato a indicare non più il furore che prendeva
le bestie tormentate (dall’estro, appunto) ma il sacro furore dei poeti.
E le persone ammalate che molto spesso delirano non ci
riportano alla campagna? In senso metaforico, ovviamente. Presso i Romani
coloro che non rigavano dritti e si allontanavano dal solco, in latino lira,
deliravano. In senso figurato, per tanto, chi delira si allontana dalla realtà.
I vocaboli agricoli più numerosi, comunque, sono quelli
tratti dagli alberi. Vediamo assieme i più comuni e, quindi, i più conosciuti.
Quando chiamiamo il nostro corpo tronco umano confrontiamo la struttura di
quest’ultimo con quella di un albero. Quando descriviamo i rapporti di parentela
parliamo di radice, di ramo, di ceppo e un po’ scherzosamente di rampolli.
Dimenticavamo di parlare della cultura che non è altro che
la coltura, vale a dire la coltivazione: una persona si dice colta perché
coltiva, appunto, l’animo, lo spirito.
E per finire vediamo un termine agricolo che ricorre di
frequente, purtroppo, in fatti di sangue: crivellato. Si legge spessissimo
sulla stampa, infatti, che il bandito è stato crivellato di colpi dalla
polizia. Il crivello, come si sa, è uno strumento nel quale si vaglia il grano.
Crivellare di colpi vuol dire, letteralmente, fare tanti buchi quanti se ne
possono vedere in un crivello.
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La lingua "biforcuta" della stampa
Il funerale è stato trasmesso in tv in Italia. una diretta seguitissima e fra queste
quella di Canale 5. "Mi sembra più incurvata", ha affermato Antonio Caprarica durante la diretta del Tg 5, riferendosi alla Regina Elisabetta. Il giornalista, esperto
di Royal Family, di fronte a Cesara Buonamici guarda le immagini e fa notare questo dettaglio nel
corso della diretta tv nella quale Sua Maestà è
apparsa distrutta per la moglie del marito.
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Non abbiamo piú alcun dubbio. L'ultimo rigo ci dà la certezza: i
"massinforma" (operatori dell'informazione) non rileggono ciò che scrivono e se lo rileggono
sono "sicuri" di quello che
hanno scritto.
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