venerdì 9 aprile 2021

Qualche errore da evitare

 


Riteniamo di fare cosa utile (e gradita) riportare — così come ci vengono alla mente, senza un nesso logico — alcuni errori di "uso comune" affinché coloro che ci onorano della loro attenzione e che amano il bel parlare e il bello scrivere ne prendano coscienza e li evitino (anche se molti errori hanno il beneplacito delle così dette grandi firme del giornalismo). Vediamo.

Fra, troncamento di frate (fra-te), si scrive senza accento e senza apostrofo: fra Giovanni; fra Cristoforo; fra Galdino. Alcuni vocabolari ammettono l’apostrofo e l'accento (sia pure di uso raso): snobbateli.

Complementarità, senza la e (non complementarietà, quindi), perché deriva da complementare; varietà, con la e, perché viene da vario. Deducete voi, amici, la regola empirica.

Il comparativo di male è peggiore; è errato, per tanto, dire "piú male". Quest’ultima forma (più male) esiste ma si adopera solo quando male è in funzione di sostantivo: ha fatto più male lui all’azienda che non cento impiegati.

Intra-, prefisso di parole composte, non vuole il raddoppio della consonante che segue (al contrario di infra-): intravedere (errato intravvedere, anche se alcuni vocabolari...).

Decina, non diecina, anche se il termine è un derivato di dieci.

Onorificenza, non onoreficenza.

Vicino, si deve far seguire dalla preposizione "a": vicino a Roma.

Tre, nei composti prende, tassativamente, l'accento acuto: ventitré, sessantatré.

Adiacente, si costruisce con la preposizione "a" (non con l'articolo): la campagna adiacente al centro abitato.

Attimo, non si usi mai il diminutivo "attimino" per indicare un piccolissimo lasso di tempo: un attimo è già questo.

E finiamo con terraqueo che non è grafia errata, come molti sostengono, anzi è da preferire a quella ritenuta più corretta, terracqueo, perché riflette la provenienza latina.


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La lingua "biforcuta" della stampa

REGNO UNITO

La Regina affitta i giardini di Buckingham Palace per fare

 pic-nic. Quasi 70mila richieste in un giorno

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Correttamente: picnic (parola unica). Treccani: picnìc s. m. [dall’ingl. picnic ‹pìknik›, che a sua volta è dal fr. pique-nique, comp. di piquer nel senso di «spilluzzicare» e prob. di un ant. nique «piccola cosa di scarso valore»]. DOP (Dizionario di Ortografia e di Pronunzia): 



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 Il diavolo vuol papa Paolo


Questo modo di dire — probabilmente sconosciuto a buona parte dei gentili lettori — dovrebbe esser noto agli amici perugini e a quelli romani, sebbene con qualche sfumatura, in quanto il detto nato in terra d’Umbria è stato "trasportato" nella città dei Cesari. Ma cosa sta a significare? Che nella vita, a volte, per vivere in santa pace è necessario stridere e tacere.

Si dice, dunque, che questa locuzione sia nata a  Perugia sotto il pontificato di Paolo III il quale, per tenere a bada gli abitanti di quella città (che tentavano di ribellarsi), fece edificare un’immensa fortezza che li dominava da tutte le parti: in questo modo ogni tentativo di sommossa era scongiurato.

Così sottomessi i Perugini dicevano a denti stretti: «Giacché così vuò il diavolo, evviva papa Pavolo». Questo detto perugino, divenuto proverbio, arrivò a Roma trasformato in «il diavolo vuol papa Paolo».










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