martedì 6 aprile 2021

Un complemento snobbato (da alcuni "sacri testi")


 Abbiamo notato che molti  testi (se non tutti) di lingua, anche quelli di autorevoli esponenti della  “lingua ufficiale”, tralasciano la trattazione del complemento di circostanza. Questo complemento, invece – anche se poco conosciuto, perché  “snobbato” da molti autori, appunto – è importantissimo perché compare di frequente nel quotidiano linguaggio familiare. Va conosciuto, quindi, e adoperato in modo corretto. I complementi, dunque, chiamati anche  “espansioni” o  “determinazioni”, lo dice la stessa parola che viene dal latino  “complère” (completare), servono a "completare", a  “determinare”, a “espandere” in modo piú ricco e dettagliato lo schema-base della frase, costituito dal soggetto e dal predicato (verbo). Quando diciamo, per esempio,  “Franco legge un libro”, con la parola  “libro” completiamo o  “espandiamo” in modo dettagliato lo schema-base della frase  “Franco legge”. In questo caso abbiamo il complemento oggetto (libro). Tra i complementi, dicevamo, bisogna includere quello di  “circostanza” che indica in quali circostanze (temporali, fisiche, ambientali ecc.), appunto, si verifica l’azione espressa dal predicato. Si riconosce facilmente perché risponde alla domanda (sottintesa)  “in quali circostanze?”,  “in quali condizioni?” ed è introdotto dalla preposizione  “con”: ho letto quel libro  “col ” mal di testa. In quali condizioni (ero quando) ho letto il libro?  “Col ” mal di testa (complemento di circostanza).

A questo punto crediamo sia meglio dare la  “parola” la linguista Leo Pestelli, il quale, con somma maestria, farà chiarezza sul sopra citato e  “snobbato” complemento meglio di quanto abbia tentato di fare l’estensore di queste modeste noterelle:

  Della cospicua famiglia dei complementi, quello di circostanza è uno dei minori: ma non perciò vuol essere strapazzato come facciamo. Il complemento di circostanza, anche quando sia significato per mezzo d’una locuzione assoluta articolata, dev’essere in lingua italiana preceduto dalla preposizione  “con”: in lingua italiana, giacché chi parla e scrive una traduzione dal francese la può saltare benissimo. Non dunque:  “Miss Italia, la sciarpa intorno al collo, sorride...”, ma  “con la sciarpa” eccetera. Cosí il Pellico, che scriveva italianamente bene (almeno per i nostri tempi), è ripreso dai grammatici quando in  un luogo del suo capolavoro si fa trovare  “ritto sul finestrone, le braccia tra le sbarre, le mani incrocicchiate”, avendo lasciato sul pancaccio due necessarissimi  “con”. Lodano invece gli stessi grammatici l’insensato  “uomo nudo, ‘con’ le mani in tasca ”. Giacché il  “purus grammaticus” non bada al senso e, come osservava Benedetto Croce, niente trova da dire sulla proposizione: “questa tavola rotonda è quadrata”, la quale per lui sta benissimo.

 Dimenticavamo, per concludere, di raccomandarvi di prestare attenzione al fatto che, a volte, il complemento di circostanza si può confondere con quello di causa, essendo, il primo complemento, affine a quest’ultimo: cammina con la testa bassa (complemento di circostanza); con tutti quegli acciacchi (complemento di causa) non potrà uscire di casa. 

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 È il caso di ricordare agli amatori della lingua, a coloro, cioè, che amano il bel parlare e il bello scrivere, che il verbo alleare (allearsi) si costruisce con la preposizione con (non “a”). Molto spesso si leggono  sulla stampa frasi tipo “Giovanni si è alleato a Mario al fine di aumentare le possibilità di vittoria”. Frasi del genere sono "poco ortodosse" [anche se non mancano esempi di scrittori che fanno seguire il verbo dalla preposizione "a": La severità del fato s’è a tal fine alleata e sottomessa a quella carità dello spirito, suprema, che noi chiamiamo provvidenza divina. (Bacchelli)]. Il verbo alleare pur essendo un barbarismo perché ci è giunto dal francese, ha un’origine latina; l’etimo del vocabolo è, infatti, la preposizione “ad” e il verbo “ligare” (legare insieme). Alla lettera, quindi, alleare significa “legare insieme con...”: Giovanni si è alleato con Mario.

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La parola proposta da questo portale, presa dal Dizionario Italiano Olivetti: rupografia (o ripografia). Sostantivo femminile con il quale si indica una riproduzione pittorica di cose volgari. È composto con le voci greche "rupo(-)" (sporcizia, immondizia) e "grafía" (scrittura, descrizione).








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