1. La voce del
neopurismo
A
proposito della frase di papa Francesco E
io vorrei che tutti la salutiamo adesso, riferita alla "Santa
Madre di Dio", detta, anzi letta, in occasione della 52a "Giornata
della Pace", analizzata nell' intervento del 2 scorso, il prof. G. Alvino ha
voluto nel suo commento insistere con più argomenti sull'erroneità riguardo
alla mancata consecutio temporum, in
luogo di "vorrei che tutti la salutassimo".
Quanto
alla diffusione di tale uso, ha infatti dichiarato sulla scorta della propria
pluriennale invidiabilissima esperienza di lettore, non proprio comune:
"non ho mai incontrato nelle mie letture
(leggo un libro al giorno da oltre 40 anni) frasi del tipo 'Vorrei che tu legga'".
E a livello metalinguistico ha
dichiarato anche che da una sua "inchiesta svolta in Facebook risulta che
la totalità dei [suoi] contatti ritiene erroneo il congiuntivo presente".
Infine, sul piano normativo, ha citato L.
Serianni che, ritornando a distanza di dieci anni dalla sua Grammatica (1997) sul problema nella Prima lezione di grammatica (Laterza
2006 p. 63), si è espresso in termini prescrittivi:
"Il condizionale di 'volere' e di
altri verbi indicanti un desiderio, un'aspirazione, una necessità richiede la
reggenza tipica dei verbi al passato", con l'es. Vorrei che tu studiassi.
Serianni asterisca infatti l'es. *vorrei che studi per indicarne la
"non grammaticalità" (p. 5 n. 1), ovvero l'erroneità.
Nella sua precedente Grammatica istituzionale,
dopo aver ricordato la regola della "consecutio temporum" della
contemporaneità tra proposizione reggente e proposizione oggettiva con l'es.
"(condiz. pres.) Immaginerei che
(cong. pres.) egli faccia bene"
(§ XIV.57), fa presente, descrittivamente e più realisticamente, che con i
verbi di volontà, desiderio come volere,
desiderare "la dipendente si
costruisce col congiuntivo imperfetto più spesso che col congiuntivo
presente" (§ XIV.58.e), sottoparagrafo, quest'ultimo, assente nella I ed.
del 1988, e inserito nella riedizione del 1997.
2.
Usi (e giudizi) di "vorrei +
cong. presente"
Vorrei ora citare la voce di un purista
consenziente con G. Alvino, ovvero Euclide Milano, che in Il correttore degli errori più comuni di grammatica e di lingua
(SEI 19361, 19633) tra gli errori nella
"correlazione dei tempi" cita un es. con desidererei:
"Desidererei
che, nella difficile impresa a cui m'accingo, tu mi porga [Corr.: mi porgessi] il valido aiuto del tuo
bell'ingegno" (p. 77).
Non
proprio "errore" ma "stonatura estetica" si coglie invece nella
frase di papa Francesco per un lettore linguista romagnolo (e-mail privata):
"Avevo
percepito in diretta (dall’autoradio mentre ero in viaggio) l’errore, che in
effetti non è errore ma solo stonatura estetica".
Per
contro, il purista G.L. Messina nel Dizionario
dei neologismi, dei barbarismi e delle sigle (A. Signorelli 1983) sub volére chiosa il costrutto "vorrei finita questa vicenda" con
la normale frase "vorrei che questa vicenda finisca",
senz'alcun particolare commento.
E poi c'è un bell'es. letterario in un
romanzo di E. Rea, La dismissione
2002, che Alvino (che è anche scrittore) magari avrà letto, ma gli è sfuggito
il tempo incriminato:
"Ammesso che questo accadrà, vorrei
che io e i pochi altri che abbiamo partecipato all'impresa si possa
essere ricordati, se non con simpatia e gratitudine, con rispetto, come
coloro che eseguirono al meglio, a regola d'arte, il compito ricevuto in
sorte" (p. 272, nel Primo tesoro
della lingua letteraria italiana del Novecento, a cura di T. De Mauro 2007)).
Quanto all'inchiesta in Facebook, l'unanimità
dei giudizi di erroneità, sottolineata da Alvino, non stupisce certamente. Dimostra
solo la diffusione di un (pre)giudizio metalinguistico scolastico.
Per conto mio, potrei citare il giudizio
di cinque colleghi che in e-mail private si sono espressi favorevolmente sulla
correttezza della frase e sulla mia analisi:
(i)
"Non ho nessun dubbio sulla liceità del costrutto. (...) Di fronte a un
"vorrei che ne parliate"
nessuno si scandalizzerebbe" (linguista romano).
(ii) "A me la frase suona bene, ma
solo per via di adesso"
(linguista dell'Emilia-Romagna).
(iii) "Tutto convincente"
(linguista romano).
(iv) "Convincente certo!"
(letterato siciliano).
(v) "Tu sei sempre
convincente" (filosofo lombardo).
Segnalo ancora l'osservazione di un
purista come Luciano Satta che, in Ma che modo Uso e abusi del congiuntivo
(Bompiani 1994), oltre a mettere in dubbio il giudizio di erroneità della
frase, avanza per la transizione dei tempi una spiegazione del cong. pres. (al
posto dell'imperf.) con l'equivalenza semantica di vorrei con 'voglio':
"siccome
questo vorrei è un voglio di cortesia ed equivale a desidero, non si può dire errata la
concordanza di tempi vorrei che non
manchiate; ma l'uso e l'orecchio suggeriscono altrimenti" (p. 162).
3.
Un supplemento di esempi
Chiudo, infine, con alcuni ess. in cui
il pres. cong., indicante un'azione contemporanea a quella della reggente,
'suona' (almeno a me) più che normale:
1) Vorrei
che tu sia qui di ritorno domani
2) Vorrei
che tu faccia silenzio
3) Vorrei
che ciò sia chiaro
4) Vorrei
che venga anche tu
5) Vorrei
che tu non vada più a lavorare
6) Voi
non vorreste che gli altri si divertano
7) Cosa
vorresti che io ti dica (ora)?
8) Non
vorrei che ci trovi qui
9) Vorrei
che non venga ora ma dopo.
4 commenti:
Caro Salvatore, non credo tu possa tacciare di neopurismo anche L. Lepschy e G. Lepschy, i quali affermano quanto segue: «[quando la frase reggente ha il condizionale presente] la dipendente ha un congiuntivo imperfetto per azione contemporanea o posteriore in frasi come 'vorrei che tu fossi qui'; 'vorrei che tu venissi presto'» ("La lingua italiana. Storia, varietà dell'uso, grammatica", Milano, RCS Libri, 1994/2002, ed. Tascabili Bompiani, p. 207).
Gualberto Alvino
Caro Gualberto,
premesso che per me il termine "neopurismo" (con "neopurista") è un'etichetta descrittiva, -- ricorderai Bruno Migliorini il glottoplaste del neopurismo ("scuola linguistica italiana di tendenza puristica, che accetta il neologismo purché risponda a un'effettiva esigenza e si concili con le strutture tradizionali della lingua", nel Diz. di De Mauro 2000), -- e non un termine per "imputare di una colpa, di un vizio" qn. (vedi tacciare nello stesso De Mauro 2000), naturalmente i coniugi Lepschy nella loro gramm. (fin dalla I ediz. in ingl. 1977 p. 231) non sono neopuristi, caso mai la loro gramm., qui, come per altri aspetti, è selettiva.
Se tu mi appari come "neopurista" è perché ritieni a) "errato" (con gli intervistati in Facebook), se non addirittura inesistente tale tipo di frase in oltre 14.600 volumi (stando al tuo 'outing' di lettore: "non ho mai incontrato nelle mie letture (leggo un libro al giorno da oltre 40 anni) frasi del tipo 'Vorrei che tu legga'").
Non solo a) "errato" ma b) senza esplicitare i criteri per giudicare "errato" un uso qualsiasi, solitamente tale per te se non rispettoso dell'etimologia, o se non garantito, codificato, dall'autorità di un grammatico, oppure se uso "minoritario". Per me, invece, criteri quali (i) l'uso letterario (qui E. Rea) o di parlanti 'istituzionali' come un ministro della P.I. o il Papa, o altri parlanti colti, ma anche un purista (nello specifico il Messina), e (ii) la non-equivocità semantica garantiscono la correttezza linguistica. A questo punto, però, non vorrei rischiare di farla lunga e di stancare un pò tutti.
Un sincero augurio per un sereno 2019.
Salvatore Claudio Sgroi
Caro Gualberto,
premesso che per me il termine "neopurismo" (con "neopurista") è un'etichetta descrittiva, -- ricorderai Bruno Migliorini il glottoplaste del neopurismo ("scuola linguistica italiana di tendenza puristica, che accetta il neologismo purché risponda a un'effettiva esigenza e si concili con le strutture tradizionali della lingua", nel Diz. di De Mauro 2000), -- e non un termine per "imputare di una colpa, di un vizio" qn. (vedi tacciare nello stesso De Mauro 2000), naturalmente i coniugi Lepschy nella loro gramm. (fin dalla I ediz. in ingl. 1977 p. 231) non sono neopuristi, caso mai la loro gramm., qui, come per altri aspetti, è selettiva.
Se tu mi appari come "neopurista" è perché ritieni a) "errato" (con gli intervistati in Facebook), se non addirittura inesistente tale tipo di frase in oltre 14.600 volumi (stando al tuo 'outing' di lettore: "non ho mai incontrato nelle mie letture (leggo un libro al giorno da oltre 40 anni) frasi del tipo 'Vorrei che tu legga'").
Non solo a) "errato" ma b) senza esplicitare i criteri per giudicare "errato" un uso qualsiasi, solitamente tale per te se non rispettoso dell'etimologia, o se non garantito, codificato, dall'autorità di un grammatico, oppure se uso "minoritario". Per me, invece, criteri quali (i) l'uso letterario (qui E. Rea) o di parlanti 'istituzionali' come un ministro della P.I. o il Papa, o altri parlanti colti, ma anche un purista (nello specifico il Messina), e (ii) la non-equivocità semantica garantiscono la correttezza linguistica. A questo punto, però, non vorrei rischiare di farla lunga e di stancare un pò tutti.
Un sincero augurio per un sereno 2019.
Salvatore Claudio Sgroi
Caro Salvatore,
perché mi attribuisci sentenze che non ho mai irrogato? Ho mai parlato di "errore" o di "etimologia"? Mi sono limitato a concordare con quanto affermano i Lepschy, Serianni e le centinaia - se non migliaia - di autori da me letti nel corso degli anni (nessuno dei quali ha mai scritto frasi del tipo "Vorrei che tu legga").
Rea costituisce un'eccezione; il ministro e il papa idem (quest'ultimo, poi, non è italiano, come sai). Basare le proprie teorie linguistiche su un numero irrisorio d'esempi è pericolosissimo.
Buon anno anche a te.
Gualberto
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