1. Il fatto
Il 1° gennaio di quest'anno papa Francesco ha
celebrato in piazza San Pietro dinanzi a una folla di fedeli (come sì è visto e
sentito in RAI-1, alle 12h) la 52a "Giornata della Pace".
Tema della Giornata: "La Buona politica è al servizio della pace".
"Ci aiuti in questo impegno quotidiano La Santa Madre di Dio", ha
detto Bergoglio (leggendo un testo). E quindi ha così espresso il suo
desiderio:
"E io vorrei che tutti la salutiamo adesso dicendo per tre volte
'Santa Madre di Dio'. Insieme:
'Santa Madre di Dio' (3v)".
2. La frase storica
L'espressione (1) "E io vorrei che
tutti la salutiamo adesso" potrebbe far drizzare le orecchie
all'ascoltatore particolarmente sensibile ai fatti sintattici, per l'uso del salutiamo (indicativo o cong. presente?
peraltro omofoni). E potrebbe indurre alla tentazione di voler correggere la
frase col congiuntivo imperfetto: (2) "E
io vorrei che tutti la salutassimo adesso" in nome di una
scolastica 'consecutio temporum'.
3. Un precedente del 1994
Il precedente storico dell'enunciato del Papa
risale giusto 25 anni fa alla frase "Vorrei
che ne parliamo" di un altro Francesco, l'allora ministro della P.I.,
D'Onofrio, detta nel corso di un'intervista al TG2 il 25 sett. 1994.
Un errore giudicato con
diversa severità sulla stampa e dai neo-puristi, per es. più volte da V. Della
Valle - G. Patota ("Attenzione a non dire mai e poi mai" una simile
frase "senza congiuntivo, incautamente pronunciata davanti alle telecamere"
dal ministro, in Il Salvalingua 1995
p. 44; Viva il congiuntivo! 2009 pp.
13-14; Piuttosto che: "Non fate
come Fr. D'Onofrio" 2013, p. 147).
4. La voce del Grammatico
La grammatica istituzionale dell'italiano,
cioè quella di L. Serianni (1988, 1997), ricorda al riguardo la regola della
"consecutio temporum" della contemporaneità tra proposizione reggente
e proposizione oggettiva con l'es. "(condiz. pres.) Immaginerei che (cong. pres.) egli
faccia bene" (§ XIV.57). Dall'altro fa presente che con i verbi di
volontà, desiderio come volere, desiderare "la dipendente si
costruisce col congiuntivo imperfetto più spesso che col congiuntivo
presente" e cita un es. manzoniano "E che vorrebbe ch'io facessi?" (§ XIV 58.e). Le due regole
(dipendenza al cong. pres. o al cong. imperf.) appaiono così in libera
variazione, senza alcuna differenza di significato.
5. Confronto tra le due frasi al cong. pres. e al cong. imperf.
Tuttavia, se nell'es. del Papa proviamo a sostituire al cong. pres.
l'imperfetto, anzi mettiamo a confronto i due diversi enunciati, risalta una
differenza significativa.
In (1) "Vorrei che la salutiamo adesso" il
cong. pres. sottolinea la netta contemporaneità tra le due frasi. Ovvero il
Papa vorrebbe che il suo desiderio si realizzasse subito, e così avviene, con i
fedeli che ripetono tre volte 'Santa
Madre di Dio'. L'azione della subordinata è contemporanea al momento
dell'enunciazione del Papa, ribadita dall'avverbio adesso.
In (2) "Vorrei che la salutassimo adesso" il
cong. imperf. tende a far perdere tale contemporaneità (malgrado l'adesso). L'azione della subordinata non
è più strettamente contemporanea al momento dell'enunciazione del Papa, ma
diventa successiva a tale enunciazione.
Si tratta della stessa
differenza colta da Giorgio De Rienzo commentando nel blog di Repubblica.it del
21 marzo 2011 la frase del ministro D'Onofrio "Vorrei che ne parliamo":
"Se il suo intento era
di parlarne subito non successivamente
l'uso del tempo presente è corretto".
6. Occhio al Papa
Ancora una volta il linguaggio di papa
Francesco, pur non italo-nativofono, è un'occasione per far riflettere i
nativofoni sulla propria lingua (e arricchire la grammatica teorica). E più in
generale un monito a cercare le ragioni profonde del parlare altrui, spesso
sbrigativamente giudicato "errato" solo perché diverso dal proprio.
2 commenti:
Cito l'intero passo (Serianni, Prima lezione di grammatica, cit.):
"Riprendiamo l’esempio di *vorrei che studi: il condizionale presente, qui oltretutto
proiettato sul futuro, può ben indurre la tentazione di un congiuntivo presente nella
completiva; invece il condizionale di volere e di altri verbi indicanti un desiderio,
un’aspirazione, una necessità richiede la reggenza tipica dei verbi al passato: se usa il condizionale, il parlante mostra di credere poco alla realizzabilità del proprio desiderio, lo dà quasi come se fosse già alle spalle (quindi: «Vorrei che tu studiassi», ma non m’illudo che tu lo faccia; «Voglio che tu studi», e sono convinto che la mia autorità ti costringerà a farlo). Invece, con verbi appartenenti ad altre aree semantiche, l’accordo torna ad essere quello normalmente richiesto: «Direi che a quest’ora si possa (non *si potesse) anche incominciare» (è una semplice opinione, espressa al condizionale per ragioni di cortesia).
Tutto sufficientemente chiaro, dunque. Ma forse non era così qualche anno fa, visto che nel settembre 1994 una frase pronunciata dall’allora ministro della Pubblica istruzione Francesco D’Onofrio in un’intervista televisiva («Vorrei che ne parliamo») alimentò per qualche giorno le cronache dei giornali. La frase era sbagliata; tuttavia il ministro fu attaccato a sproposito: non per il tempo verbale usato, presente invece di imperfetto, ma perché quel parliamo venne preso per un indicativo («Ora abolirà il congiuntivo» titolò un quotidiano riferendosi allo svarione)".
Gualberto Alvino
Il mio primo commento dev'essersi perso nei meandri. Lo riassumo per chiarire il secondo. Dicevo che Serianni, in un libro più recente di quelli citati nell'articolo ("Prima lezione di grammatica", 2006), scrive quanto segue: "Il condizionale di 'volere' e di altri verbi indicanti un desiderio, un'aspirazione, una necessità richiede la reggenza tipica dei verbi al passato".
In ogni caso, non solo non ho mai incontrato nelle mie letture (leggo un libro al giorno da oltre 40 anni) frasi del tipo "Vorrei che tu legga", ma da una mia inchiesta svolta in Facebook risulta che la totalità dei miei contatti ritiene erroneo il congiuntivo presente.
Gualberto Alvino
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