Quel giorno Paolino non vedeva l’ora di tornare a casa da
scuola: doveva comunicare al padre una bella
notizia. Il componimento di italiano che aveva svolto in classe aveva ottenuto
un successo straordinario; la maestra si era congratulata: «Bravo Paolino, il
tuo tema è meraviglioso, un fiasco completo, complimenti». Non sapeva, il
fanciullo, che l’insegnante voleva intendere tutto il contrario: quel “fiasco”
stava a significare, appunto, uno sfacelo completo. Il modo di dire “far fiasco” si adopera – come tutti
dovrebbero sapere – quando si vuole mettere in evidenza l’insuccesso di
qualcuno in un determinato campo. La locuzione potrebbe essere nata – secondo un
fatterello raccontato da alcuni autori – da una disavventura occorsa all’Arlecchino
bolognese, Domenico Biancolelli. Questi improvvisò un monologo intorno a un
fiasco che aveva tra le mani, il pubblico, però, non rise. Il Biancolelli, non
celando un certo disappunto, imputò la colpa del suo insuccesso al fiasco, «è tutta colpa tua», urlò, e gettò il fiasco
dietro le spalle. Da allora l’espressione si adopera per indicare l’insuccesso
di uno spettacolo teatrale e, per estensione, l’insuccesso di un qualunque
lavoro. Altri autori, invece, farebbero derivare la locuzione dal gergo dei soffiatori di
vetro. Quando sbagliano nel “comporre” un recipiente al quale volevano dare una
forma particolare finiscono con il trovarsi fra le mani una grossa bolla di
vetro simile a un… fiasco. Di qui la metafora, appunto. Noi ci auguriamo di non
far fiasco in queste modeste noterelle che, speriamo, abbiano sempre il gradimento dei nostri
gentili lettori.
***
La parola che proponiamo oggi è: ingubbiare. Sta per “mangiare avidamente”.
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