domenica 19 febbraio 2023

Intravvedere, insomma, è voce corretta o no?

 


Abbiamo inviato questa elettroposta (posta elettronica) a "Domande e risposte" del sito Treccani.

Dal vocabolario Treccani in rete:

Intravedére (meno com. intravvedére, per analogia con avvedere) […]. A mio giudizio INTRAVVEDERE non è "meno comune", ma errato. Il prefisso "intra-", al contrario di "infra-", non è geminante, non richiede i.e. il raddoppiamento fonosintattico. Quindi: inframmettere, ma intravedere. Il DOP sembra darmi ragione.

Questa la risposta:

Nulla da obiettare sullo smontaggio etimologico-sintattico. Il sostegno del DOP è importante, specialmente quando si tratti di questioni di pronunzia (forma meno comune di pronuncia). Dall’altra parte, però, c’è l’uso. E anche l’uso conta. Contava molto, fino a qualche tempo fa, anche l’uso delle parole da parte di persone colte e in particolare degli scrittori.

 Intravvedere è variante ben documentata in molti autori di romanzi vincitori del premio Strega, tra i quali Italo Calvino, Alberto Moravia, Mario Soldati, Elsa Morante, Giovanni Arpino, Primo Levi, Umberto Eco, Claudio Magris, Giuseppe Pontiggia, Paolo Volponi, Alessandro Barbero, Dacia Maraini, Ernesto Ferrero. Certamente intravvedere è forma meno usata di intravedere, anche se in letteratura è ben attestata. Come tante altre forme coniate per analogia regolarizzante, anche intravvedere, a nostro avviso, si può accogliere e di fatto è accolta nella nostra lingua.

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Ci permettiamo di dissentire totalmente. La ‘variante’ intravvedere anche se immortalata nelle opere di scrittori e vincitori di vari premi (Strega) cozza contro la grammatica perché -- come scritto -- il prefisso "intra-" non richiede il raddoppiamento della consonante della parola che segue. Per assurdo (ma non molto), se qualche scrittore un bel mattino si alza e decide di scrivere direzzione, propio, ho partito, leggittimo, sono camminato, e altri lo seguono a ruota, questi orrori, entrando nell’uso, non sono più orrori? Leopardi scrisse IL zappatore, se qualche studente, seguendo l’esempio leopardiano scrive IL zaino, IL zinco, IL zoccolo, non commette alcun errore?

Sempre a proposito dell’uso che conta. Uso “immortalato” dagli scrittori.

Oggi diciamo correttamente lo ziouno spergiurogli stemmigli zeffirigli zainiuno iettatore ecc., ma alcuni scrittori ci hanno tramandato: il zio (Cesari), un spergiuro (Berchet), i stemmii zeffiri (Foscolo), i zainiun iettatore (D’Annunzio). 

Se, dunque, seguiamo l’esempio dei suddetti scrittori non commettiamo alcun errore?

Possiamo i.e. scrivere (e dire) indifferentemente un stemma o uno stemma; un spergiuro o uno spergiuro ecc., ritenendo gli articoli un e uno, il e lo, i e gli uno variante dell’altro?


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La lingua "biforcuta" della stampa

Genova

Falso dentista scoperto dai Nas. I clienti: "È bravissimo e costa poco"

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Chi va dal dentista (o da un qualunque medico) è un cliente o un paziente? Questo il dilemma!

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I tre figli (uno rapper), il saluto a Romano: qui Casa La Russa, storia della dinasty siculo-milanese

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Correttamente: dynasty. Vogliono usare i barbarismi, ma li sbagliano.

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Servizi sanitari

Accordo con il “Bambin Gesu”, al via a Catanzaro l’ambulatorio di Dermatologia pediatrica

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Correttamente: Bambino Gesù.  




 






(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)

4 commenti:

Gianpiero G. ha detto...

Troppo intelligente il redattore della nota qua sopra per non capire che il numero delle attestazioni conta, oltreché il peso. E che quel numero si rafforza tanto più se cospicuo in diacronia, ancor più se suffragato dall'uso in sincronia, in basso come in alto. Un autore singolo, di norma, non fa ammissibilità; più autori, assieme all'uso, già è più probabile.
Infine, malgrado i crucci dei normativi, infine la farà sempre da padrone l'uso. E la norma, inesorabile, si accoderà.

Otto ha detto...

Dissento totalmente da quanto scritto da Gianpiero (?). A mio parere, la formuletta che “l’uso fa la regola” è ridicola e da rifiutare in pieno. Troppo comodo ragionare così! E’ questa la scappatoia di chi non ha voglia di studiare la grammatica. Un errore, per quanto diffuso, resterà sempre tale. Naturalmente, gli sprovveduti si giustificheranno dicendo che “così fan tutti” e magari si appelleranno ai giornalisti che di grammatica sanno meno di zero. E ce lo dimostra quotidianamente il dott. Raso. E non si dimentichi che anche i grandi scrittori non erano (e non sono) linguisti.
In conclusione, ognuno è libero di pensarla come vuole, anche perché i problemi della vita sono altri, ma non si tiri in ballo per giustificare gli errori il “numero delle attestazioni”, perché in tal modo non si farebbe altro che documentare l’ignoranza generale.
Un cordiale saluto.
Otto

falcone42 ha detto...

Non so se convenga sempre fare riferimento all'uso e alla frequenza delle attestazioni. Faccio un esempio: lunedì scorso, commentando l'esito delle elezioni regionali in Lazio e Lombardia, Barbara Palombelli ha affermato che il Centrosinistra non avrebbe vinto manco facendo la "somma algebrica" dei voti delle varie liste. Martedì ho ritrovato la baggianata della "somma algebrica" in altri servizi giornalistici, scritti e parlati. Evidentemente lo sproloquio della Palombelli aveva fatto scuola (magari lei, a sua volta, aveva copiato da qualcun altro).
Che senso ha parlare di "somma algebrica", visto che nei voti NON ci sono numeri negativi? Non bastava parlare di "somma aritmetica", o più semplicemente di "somma"? Tutti capiscono che si tratta di quella che, alle elementari, chiamavamo "la più".
Tornando alla letteratura, molti scrittori sono ben noti per ciò che scrivono. Il che non significa che debbano essere presi ad esempio per come scrivono.

Anonimo ha detto...

Concordo pienamente sia con Otto sia con Falcone42.
Osvaldo da Cesena