Riproponiamo un nostro vecchio intervento sull'uso corretto del verbo "(ri)appropriare" perché gli operatori dell'informazione - ma anche "gente di cultura" - continuano a... "calpestarlo".
I pochi amatori
della lingua strabuzzeranno gli occhi e penseranno che apparteniamo alla
schiera di persone che “predicano bene e razzolano male”: riappropriamoci il nostro idioma? No, cortesi amici, abbiamo predicato bene (ci sia consentito un pizzico
di immodestia); si deve dire, correttamente, appropriarsi “una” cosa, non “di”
una cosa.
L’imbastardimento del
nostro soave idioma è da attribuire – in buona parte – agli organi d’informazione (ma anche a "gente di cultura") che fanno a gara nello scrivere marronate contribuendo, in tal modo, a
confondere le idee (linguistiche) a coloro che della lingua non conoscono l’uso
corretto. Ma gli “addetti ai lavori” lo conoscono, appunto? Si leggono molto spesso
sulla stampa articoli di cronaca dai quali si apprende che “i ladri si sono
appropriati di cinquanta pezzi di argenteria”; oppure che “i banditi si sono
appropriati dell’auto del rapinato”. Bene. Anzi male, malissimo. Il verbo
“appropriarsi” è transitivo e tale deve rimanere; deve essere seguito, cioè,
dal complemento oggetto. Appropriarsi significa, infatti, “rendere propria” una
determinata cosa; si dirà, quindi, che i ladri si sono appropriati cinquanta
pezzi, non “di” cinquanta pezzi di argenteria.
Molti credono – probabilmente
– che appropriarsi sia un verbo riflessivo come pettinarsi; no, non lo è, o
meglio, è usato in senso riflessivo in un solo caso, quando ha il significato
di “convenire”, “adattare”: è un vestito che ben si appropria alla tua persona.
Riprendiamoci, per tanto, ciò che ci è stato inopinatamente tolto da alcuni
“pennaioli” della carta stampata e no: riappropriamoci la lingua! Cominciamo
con lo scrivere “crac” (senza “k”) per indicare un fallimento, un crollo
finanziario; “ciac” (e non “ciak” o “ciack”) per designare la tavoletta
cinematografica; “cric” (non “crik”) per indicare il martinetto. Accentiamo
tutti i numeri composti con il tre: ventitré; cinquantatré; ottantatré.
Accentiamo il tre anche se la parola che precede non è un numerale: Raitré. Accentiamo
i giorni della settimana: lunedì, martedì, mercoledì, giovedì e venerdì. Quando
occorre “pluralizziamo” il sabato: Ci vediamo tutti i sabati. Non c’è nessuna
norma grammaticale che vieta il plurale. Accentiamo il sé, pronome, sempre: sé stesso, quindi. Mettiamo la "i" nella desinenza della quarta persona del presente indicativo e congiuntivo dei verbi in "-gnare", "-gnere" e "-gnire": noi sogniamo; noi spegniamo; noi grugniamo (borbottiamo). Raddoppiamo la consonante iniziale delle parole composte con la congiunzione "se": sennonché; seppure; semmai. Raddoppiamo anche la consonante iniziale dei vocaboli composti con il prefisso "contra-": contraddetto; contraddizione. Non mettiamo mai l'accento (o l'apostrofo) su fra quando è troncamento di frate: fra Giordano. Dividiamo le ore dai minuti con uno o due punti, non con una virgola: le 13:30. Non raddoppiamo mai la "v" del verbo intravedere. Scriviamo fuorilegge in forma scissa quando il termine non sta per "bandito": i tavoli del bar sono tutti fuori legge. Rispettiamo, o meglio, riappropriamoci
la “transitività” di alcuni verbi come “irridere”, “abboccare”. Si sente dire e
si legge spesso: irridere alla mia richiesta; abboccare all’amo. No, amici
cari, queste frasi sono… errate. Poiché i predetti verbi sono transitivi si
dirà, in forma corretta, irridere “la” mia richiesta e abboccare “l’ ” amo. Ci
sono anche dei casi inversi, però. Alcuni verbi “nati” intransitivi vengono
coniugati in forma transitiva da moltissimi “soloni” della lingua; il caso più
eclatante – si lasci passare questo barbarismo – riguarda il verbo
“presiedere”. Il suddetto verbo significa – alla lettera – “essere a capo di”;
non può essere seguito, quindi, dal complemento oggetto: si presiede “a” un
convegno; si presiede “a” una riunione. Insomma, si è a capo “del” convegno; si
è a capo “della” riunione.
Riteniamo superfluo
ricordare che molti scrittori o presunti tali non si sentono vincolati al
rispetto delle norme grammaticali; molti di questi sedicenti scrittori sono
ritenuti – non si sa bene da chi – i “padri della lingua”, “surclassando” il
“Dante nazionale”. Voi, gentili amici, seguiteli, se volete; sappiate, però,
che la legge grammaticale è incontrovertibile: presiedere è solo intransitivo,
anche se – come il solito – alcuni vocabolari… Ma tant’è.
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La lingua "biforcuta" della stampa
Maresciallo dei carabinieri travolto da una valanga: è in prognosi riservata
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La prognosi non è un reparto ospedaliero, come potrebbe essere ortopedia, maternità, cardiologia ecc., ma una "previsione". Correttamente: prognosi riservata (senza "è in").
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Roma
Travolge due bambini all'uscita da scuola e una donna, poi si schianta contro un'auto in sosta e aggredisce una vigilessa
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Vigilessa!? Crusca, pensaci tu!
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: albatr0s@libero.it)
1 commento:
Sono perfettamente d'accordo, anche se temo sia una battaglia persa in partenza!!!
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