di Salvatore Claudio Sgroi
1. Evento
editoriale
Un testo di godibilissima lettura, di notevole
divulgazione scientifica e di novità etimologiche pure per gli specialisti,
opera di un provetto dialettologo con sensibilità teorica, è il volume di Alfio Lanaia La Sicilia dei cento dialetti (Nero su bianco ed., Biancavilla
2022), con una brillante presentazione di Iride Valenti, dedicato al dialetto siciliano e al suo
lessico, con riverberi sull’italiano regionale letterario di Sicilia,
ammiccante nel titolo alle Cento Sicilie. Testimonianze per un ritratto di Gesualdo Bufalino - Nunzio Zago (Bompiani 2008).
Come tutti i testi scientifici è
corredato da una bibliografia istituzionale e da un elenco dei testi letterari citati
(circa 60 scrittori siciliani italografi e dialettografi, contemporanei e non
solo), e un indice delle voci dialettali (circa 3000 parole), ma stranamente
privo dei regionalismi letterari (cfr. sotto). Ci si augura che in una riedizione
il testo si arricchisca anche di un indice dei tecnicismi, senza escludere pur
selettivamente i nomi di studiosi, autori e scrittori citati.
2.
Struttura del testo
Il testo è organizzato in 80 ricchi “pacchetti
lessicali” strutturati onomasiologicamente, distribuiti tematicamente in 16
capitoli relativi a cibo e bevande, uomo e piante, tipi umani, affezioni del
corpo e dell’anima, santi, movimento, latino e cultismi, pseudo-etimi
greco-latini, il Natale, natura e territorio, nomi e soprannomi, toponimi,
giochi e passatempi, americanismi, strumenti, ricorrenze, ognuno dei quali
passibile di lettura autonoma, a piacere del lettore.
L’approccio è descrittivo, attentissimo
sul piano geografico ai vari dialetti siciliani, non meno che storico e
comparativo con altri dialetti italiani, ed etimologico con, come accennato,
varie nuove proposte etimologiche.
3.
Una esemplificazione
A questo punto c’è solo l’imbarazzo
della scelta nella esemplificazione delle agguerrite analisi dell’Autore.
3.1.
Una voce culinaria
La nota pasta alla norma, ovvero al pomodoro con le
melanzane e la ricotta salata, non ha niente a che vedere con la norma di G.
Bellini, ma vale ‘pasta con la paga’, con riferimento al salario degli operai
che la domenica poteva prevedere «un piatto di pasta cc’a norma, con l’aggiunta cioè di un po’ di ricotta salata
grattugiata o [...] di una fetta di melanzana».
3.2.
Voci sciasciane
Da cassaro
Lanaia ricorda anche il suffissato “cassariamento
di travagli” nel calabrese G. Occhiato 2007 e cassariota ‘prostituta’
(lett. ‘abitante del cassaro’ con
suffisso greco -ota ‘abitante’) in V.
Consolo 1987 e – aggiungiamo – ancor prima in L. Sciascia Il consiglio d’Egitto 1963:
«Hanno
sentimento le ‘cassariote’, i cornuti, gli sbirri, il boia, il marchese di
Santa Croce e i ladri di passo» (cfr. S. C. Sgroi
Un trittico sciasciano con ‘giallo’. Quaquaraquaà, mafia, pizzo, Utet
2021 p. 50).
Non meno intrigante è l’analisi del
sintagma scialare intorno ‘girare
intorno’ in un racconto del 1949 di L. Sciascia Paese con figure: «tutti i giovani del paese gli scialavano
intorno, lo stuzzicavano, si fingevano come lui increduli e indignati»
derivante dal sic. scialari ‘ballare,
*girare intorno’, attestato a Bompensiere (CL).
Lanaia si sofferma anche sul derivato schiticchiata (dal sic. schiticchiata) a) ‘bisboccia’, b) ‘scampagnata’,
c) ‘divertimento tra amici’, con vari
usi letterari, spesso chiarito dall’accostamento a traducenti italiani: «una
schiticchiata rimasta storica, una gran mangiata e bevuta» (A. Camilleri 1984);
«andare a fare una schiticchiata (mangiata in compagnia)» (V. Piazza 1997); «gli
piacevano le schiticchiate a base di carne arrosto e vino» (P. Di Cara 2005); «andare
in campagna per fare una schiticchiata – salsiccia alla brace, costatine di
castrato, vino rosso...» (G. Savatteri 2008).
E ricorda anche il sin. schiticchio ‘mangiata succulenta tra amici’ (dal sic. schitìcchiu, deverbale di
schiticchiari dal lat. volg. *ex-queticulare
dal lat. tardo quetus, lat. class. quietus, quietare ‘dare riposo a qn.’),
anch’esso adottato nell’italiano letterario della Sicilia: «finisce a
schiticchio, nella taverna di Catena, una gran mangiata con i soldi di Vito»
(Camilleri 1978); «Si varavano le barche e via per lo schiticchio nella baia»
(D. Cacopardo 2005); «e poi finisce sempre a schiticchio: una bella mangiata»
(G. Savatteri 2018); «Magari sarà stata invitata allo schiticchio di Ferragosto
da qualche parente» (G. Torregrossa 2018). A cui è da aggiungere l’es. di L.
Sciascia (1976): «Dal momento in cui
Orazio Mattania stabilisce con Cipri un rapporto di confidenza, entriamo come
in un vortice di nomi, di incontri, di ‘schiticchi’
(cioè di quelle mangiate improvvisate
e stuzzicanti al vino), di gite fuori porta e nei paesi vicini, di appuntamenti
spesso rimandati o, per il Mattania, di inutile attesa» (I pugnalatori) (cfr. S. C. Sgroi Un trittico sciasciano con ‘giallo’, su cit.
p. 55).
Lanaia
menziona per l’agrigentino “col significato di ‘mulo’, ma anche con quello di
asino” il sic. bburduni dal lat. imperiale burdone(m) ‘mulo’. Il
derivato vurdunaru era
stato invece adoperato -- aggiungiamo -- da L. Sciascia ne Le parrocchie di Regalpetra (1956, rist. 19754) non meno di tre
volte: «continuamente gli asini dei vurdunari (approssimativamente:
mulattieri) attraversavano il paese»; «Non ci sono più i vurdunari con
il pettorale di cuoio e il bastone lungo»; «qui si dice asino di vurdunaru per
indicare un simbolo di straziata pazienza» (cfr. S.C.Sgroi, Un trittico sciasciano ‘con giallo’, su
cit. p. 40).
3.3.
Dal siciliano a Dante
Il sic. musìa a CT “donna di rara bellezza ed eleganza”, è collegato
con «musi(v)a (opera), dal latino
imperiale musīvum (opus), cioè ‘mosaico’»,
arte musiva, e non già al greco mouseîon
‘tempio delle muse’.
Al riguardo ci piace ricordare l’opposto
musaico ‘musico musicale’ dell’ “arte musaica” nel Convivio dantesco, rivendicato da Pirandello (1907, 1908): «musaico
vale semplicemente musicale», dal lat. musaicus ‘musicale’ (cfr. S.C. Sgroi,
E Galeotto fu il Dizionario. Tommaseo lo compilò e Pirandello lo compulsava.
Ovvero musaico ‘poetico’
o’ musico/musicale’? Neoformazione o prestito?, in “Siculorum Gymnasium” voll. LVIII-LXI, 2005-2008, vol. IV: 1723-43).
3.4.
Due regionalismi di Catania
Il sic. matèlicu, adattato nell’it. regionale matèlico ‘antipatico’,
es. è un tipo matelico, proprio di
Catania, anziché deonomastico da Matelica,
prov. di Macerata, è spiegato come «derivato per aferesi della sillaba iniziale
di crimatèricu dall’it. climaterico [1608], dal fr. climatérique [1554], dal lat. climaterĭcus, dal gr. κλιμακτηρικός» ‘del
climaterio’.
L’agg. streusu ‘strambo’ adattato nell’it. regionale come streuso in S. La Spina (2001) “comportamento
streuso”, “libri streusi”, L. Romano (2001) “nomi streusi”, è fatto derivare
per via del dittongo /eu/ > lat. /ū/ dal calabrese strèuzu ‘strambo’, dal lat. abstrusus
‘difficile’ pp. di abstrudere, da cui
anche l’it. astruso.
3.5.
Due fonosimbolismi
L’espressione cchi nnicchi nnacchi ‘neanche per idea’, passata nell’italiano
letterario di G. Schilirò (2014): «ma che ‘nicchi-nacchi»,
di S. D’Arrigo (1976): «E che nicchinnacchi» (4 volte); di A. Camilleri (2006):
«Che nicche e nacche?»; di T. Ranno (2019) e L. Cappello Grimaldi (2019): «ma chi
nicchi e nacchi», è ricondotta non al latino (come nec hic nec hoc) ma è spiegata invece come “formazione
fonosimbolica”, «formata sull’alternanza di due sillabe toniche nnic-/nnac».
Per gli occhi che fanno pùpipùpi, pupi pupi con le palpebre cioè che si
aprono e chiudono (in S. Grasso 2005 e Camilleri 1980, 2003) l’A. rimanda non
ai pupi siciliani, ma all’espressione fonosimbolica con alternanza sillabica pu/pi.
3.6.
Un italianismo
Per quanto riguarda p.e. il termine allacatalla,
trasmigrato in più romanzi di S. La Spina (1995): «allora sì che sarà il vero
inferno, la vera allakatalla», chiarito dal vicino sinonimo, Lanaia
fa piazza pulita dell’etimo attribuito ora all’arabo (da I. Fulci 1855 e da A.
Moroldo on line) ora al greco. La presenza di diverse varianti dialettali gli consente
di proporre un prestito dell’italiano ant. e lett. ‘dalle dalle’, dalli dalli’, cfr. romanesco daje!
3.7.
Un ispanismo
Per il (senza) fare musione ‘(senza) fare movimenti’ (in D’Arrigo 1976,
Camilleri 1995), “una musione di danza” (D. Curtò 1976), “musione di sguardo”
(D’Arrigo 1976), lungi dal derivare dall’ingl. motion come suggerito da Camilleri, considerata l’attestazione del
sic. musiòni nel 1645-53, Lanaia ha
proposto il fr. motion ‘movimento’ e
ancor meglio lo sp. mociόn.
3.8.
Un dubbio francesismo
Il sic. gianfùttiri ‘farabutto’ per es. in N. Martoglio (1918): «è un
gianfuttiri cui pari un galantomu», presente come gianfottere ne I Vicerè di
De Roberto (1894): «Questo gianfottere non è poi tanto minchione quanto pare...»,
in S. Strati (1979), ma anche in C. Dossi (1912), e fatto risalire al fr. jean-foutre (1792), è ora retrodatato da
Lanaia dal 1792 al 1661. L’Autore rimanda anche a un testo del 1723 di
Grundlig: «Chan futre quod perperam
nunc scribunt Jean foutre est
Germanorum Hundsfut. Olim enim pro chien dicebant Galli chean». Il che rimette così in
discussione l’etimo fr.
3.9.
Uno strano fungo
Il sintagma cugni di vecchja ‘spugnola (tipo di fungo ascomiceto)’ (1696,
1865), assente nel pur grande Vocabolario
siciliano di G. Piccitto-G.Tropea-S.C.Trovato (1977-2002, 5 voll.), non
vale letteralmente ‘zigomi di vecchia’ ma piuttosto ‘conno, vulva di vecchia’.
3.10.
Un caso di omonimia (e non di polisemia)
Istruttivo è l’esempio di omonimia
sincronica e a un tempo diacronica (e non già di polisemia, data la distanza
semantica tra i due significati) del sic. cassariarisi
1 a CT ‘confondersi’, denominale di cassara ‘perdita’ dall’ar. hasāra ‘perdita’, vs cassariarisi 2 a PA ‘pavoneggiasi’,
denominale da càssaru ‘corso strada
principale’ dall’ar. qasr ‘castello’
dal lat. castrum ‘fortezza’. Sicché cassariarsi nell’es. «si cassariava per i cumplimenti che tutti gli facivano»
(Camilleri 2003) risulta diversamente interpretabile secondo che il lettore sia
catanese (‘si confondeva’) o palermitano (‘si pavoneggiava’).
3.11.
Un congiuntivo nascosto
Il sic. abbeniaggi, es. abbeniaggi
cci vai? ‘bada bene di non andarci’; o in N. Martoglio (1918) ‘puta caso’: «Chi
ci pari, abbeniaggi ca era òpira ‘e pupi?», vale letteralmente ‘bene abbia’,
congiuntivo di aggia ‘abbia’ di aviri < lat. bene habeat.
3.12. I toponimi di Biancavilla
A proposito del toponimo di Biancavilla Pedata di san Placido, l’etimo è
individuato nel lat. prata (pl. di pratum) > sic. pirata, interpretato come ‘pedata’, ‘orma del piede’, alla base
della leggenda dell’impronta miracolosa lasciata da San Placido a Biancavilla.
Assai istruttivo è l’etimo del microtoponimo
Pistacchio in quel di Biancavilla, ricca di
pistacchi (in sic. fastuca), ma nel
sic. del luogo denominato Distaccu,
Ristaccu, che trova una spiegazione nel termine u distaccu/i distacca indicante ‘piccoli poderi frazionati, fuori
dal centro abitato, venduti o dati in affitto o mantenuti dal proprietario’.
3.13.
I composti tautologici
Se a proposito di Mongibello è noto l’etimo del composto tautologico “lat. mons ‘monte + arabo ğabal
‘monte”, invece Linguaglossa
non è formato da “lat. lingua + greco
glossa ‘lingua’”, come ancora
ripetuto da un noto archeologo, ma dal sic. Linguarossa
ovvero “lingua grossa” di lava, legata all’eruzione dell’Etna.
3.14.
Il liotru catanese
Chiudiamo col riferimento al termine liotru (italianizzato in liotro), l’elefante di pietra lavica che troneggia nella piazza Duomo di Catania, simbolo della città, derivante dal nome Eliòdoros leggendario negromante. Al liotru era collegata cinquant’anni fa la consuetudine, durante la festa delle matricole universitarie, di costringere una matricola ad arrampicarsi sulla statua dell’elefante per detergere con una retina “le palle” della statua, se non di baciargli “il culo”, ovvero in sic. vasari u culu ô liotru, insomma un esempio di nonnismo. Due gli ess. letterari: la fiorentina Marcella Olschki: "Chi a Catania vuole andare, in culo a u' liotro deve vasare..." (Oh America, Sellerio 1996), e nella variante Diotru, il messinese Turi Vasile: "Paliddu aveva ormai perso la speranza di andare a baciare il sedere al Diotru - il che voleva dire rendere omaggio al simbolo della città: l'elefante di pietra lavica con l'obelisco messo a far da fontana in piazza Duomo" (La valigia di fibra, Sellerio 2002). Lanaia collega questo rituale goliardico, ormai tramontato, con tradizioni di altre città dove c’era l’usanza, per es. a Firenze di far baciare “ai nemici sconfitti in battaglia” il sedere del leone che sosteneva lo scudo gigliato di rosso, e analogamente a Lucca con riferimento alla pantera; ma altrove la stessa usanza aveva valore apotropaico, così in Catalogna si diceva: «Chi bacia il culo della ‘leona’ ritorna a Girona», la Leona essendo una scultura neogotica del XII sec.
4.
La storia continua
Per i lettori non sazi della lettura di
questo testo rimandiamo ad altri due volumi dell’Autore: Parole nella storia (Centro di Studi filologici e linguistici
siciliani 2020), e ‘Di cu ti dìciunu?’
Dizionario dei soprannomi a Biancavilla (2017), ricco di circa 1200 ‘inciurie’,
presso lo stesso editore Nero su Bianco.
Sommario
1. Evento editoriale
2. Struttura del
testo
3. Una
esemplificazione
3.1.
Una voce culinaria
3.2.
Voci sciasciane
3.3.
Dal siciliano a Dante
3.4.
Due regionalismi di Catania
3.5.
Due fonosimbolismi
3.6.
Un italianismo
3.7.
Un ispanismo
3.8.
Un dubbio francesismo
3.9.
Uno strano fungo
3.10.
Un caso di omonimia (e non di polisemia)
3.11.
Un congiuntivo nascosto
3.12. I toponimi di Biancavilla
3.13.
I composti tautologici
3.14.
Il liotru catanese
4. La storia
continua
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