Con “vezzi linguistici” intendiamo gli strafalcioni linguistico- grammaticali che i cosí detti opinionisti della carta stampata e no ci “propinano” a ogni piè sospinto. Non c’è ‘opinionista’ che, invitato nei vari programmi radiotelevisivi, non cada nel vezzo - a suo dire - di adoperare le particelle pronominali “ci si” con alcuni verbi quali rafforzative della coniugazione con soggetto indeterminato: ci si andava; ci si era tutti; ci si era venuti. Altro che vezzo, un vero e proprio orrore linguistico. Le particelle “ci” e “si” unite si possono adoperare - ed è un uso correttissimo - soltanto come forma di soggetto indeterminato con i verbi riflessivi o pronominali: ci si annoiava (noi ci annoiavamo); ci si vergogna (tutti si vergognano o ci vergogniamo); ci si deve lavare (tutti si debbono/ci dobbiamo lavare). Si possono usare accoppiate anche come complemento di reciprocanza (con la forma del soggetto indefinito): ci si vede domani, vale a dire ci vediamo domani; o, ancora, il “ci” unito al “si” è corretto come avverbio di luogo, con il significato, appunto, di “in questo (quel) luogo”: a casa tua ci si sta bene. Non è una smarronata, invece, il “si va”, sebbene sia un toscanismo che in buona lingua è preferibile evitare.
Ma vediamo altri «vezzi linguistici» tra i quali possiamo includere - senza tema di essere smentiti - l’uso improprio che gli ‘opinionisti’ fanno del verbo “elevare” in espressioni in cui il suddetto verbo non ha il significato che gli è proprio, vale a dire “portare in alto”. Cade quindi, in una smarronata (e non in una improprietà, a nostro avviso) colui che dice o scrive, per esempio, «gli inquirenti hanno elevato molti dubbi in proposito». I dubbi - chi può smentirci? - non si “portano in alto”, si suscitano. Altro “vezzo” caro agli opinionisti è l’uso del partitivo con la preposizione “con”: «L’esponente politico è stato inquisito con dei suoi amici». Quel “dei” partitivo deve essere sostituito, in buona lingua italiana e come prescrive la grammatica, con “alcuni”: è stato inquisito con alcuni amici.
Come dicevamo, per gli ‘opinionisti’ è un vezzo, per chi scrive queste modeste noterelle è, invece, uno strafalcione bell’e buono. Potremmo continuare ancora, ma non vogliamo tediarvi oltre misura. Chiudiamo con un pensiero di Giuseppe Giusti, quanto mai attuale e sul quale gli ‘opinionisti’ dovrebbero meditare: «L’avere la lingua familiare sulle labbra non basta: senza accompagnarne, senza rettificarne l’uso con lo studio e la ragione è come uno strumento che si è trovato in casa e che non si sa maneggiare».
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La lingua "biforcuta" della stampa
ULTIMA GENERAZIONE
Van Gogh imbrattato, procura di Roma apre inchiesta: indagate le attiviste. Rischiano fino a 5 anni di condanna
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Forse avrebbero voluto dire/scrivere: 5 anni di carcere.
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1 commento:
Un altro "vezzo linguistico" – non solo degli opinionisti, ma anche di giornalisti della parola stampata e detta, di conferenzieri ed altri parlanti in pubblico – è il doppio complemento “a me mi”; bruttissimo quando “mi” è complemento indiretto (di termine), orribile (= strafalcione) quando “mi” è complemento diretto (oggetto). Esempi: “a me mi colpisce”; “a me mi preoccupa” …
Altro vezzo ancora, che io trovo fastidiosissimo, benché non si tratti di strafalcioni, è l’uso smodato di tropi e di pseudo-sinonimi, al solo scopo di non ripetere – manco dopo cinque minuti – una parola; oppure per mero sfoggio di saccenteria.
Esempi di tropi: il Presidente del Consiglio diventa “palazzo Chigi”; il magistrato diventa “la toga” (se è più alto in grado, “ermellino”); l’arbitro è “il fischietto”; la commissione o il gruppo di lavoro divengono “tavoli”; e così via. Se poi si parla di una questione tra il signor Tizio e il signor Caio, e il primo è un artigiano di ventinove anni e il secondo un pensionato settantenne, i nomi propri scompaiono, sostituiti da frasi quali: “il ventinovenne ha dato un pugno al pensionato, dopo che il settantenne aveva insultato l’artigiano”. Così i protagonisti della vicenda diventano quattro. Ovviamente nella nostra lingua i pronomi non esistono!
Esempi di pseudo-sinonimi se ne trovano a iosa. Mi limito ad alcuni casi di stretta attualità, legati alle navi delle ONG che arrivano in questi giorni nei porti italiani: chi ne parla (anche stamattina alla radio) usa alternativamente i termini “migranti” e “naufraghi”, anche nella stessa frase, come se avessero lo stesso significato. Parlando poi dello sbarco parziale dei passeggeri della Humanity 1, i trentacinque lasciati a bordo sono stati definiti “sopravvissuti”; fortuna loro: mi viene da pensare che quelli sbarcati siano morti!
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