Riproponiamo un vecchio intervento in risposta a un cortese lettore che ─ con una squisita lettera ─ desidera sapere se il dialetto e il gergo sono l'uno sinonimo dell'altro.
Abbiamo,
cosí, il gergo burocratico, il gergo diplomatico, il gergo giornalistico,
quello radiotelevisivo, quello sindacale, curialesco e via dicendo. Come diceva
Voltaire, insomma, “ogni scienza, ogni disciplina ha il suo gergo
incomprensibile, che sembra inventato solo per tenere alla larga i profani”.
Sotto l’aspetto “storico” l’esigenza di un ‘parlare nascosto’ è
antica quanto l’uomo: le pagine della storia sono “zeppe” di codici e cifrari
destinati esclusivamente agli addetti ai lavori. La nascita ufficiale di questa
lingua (il gergo) si può datare, però, dal Medio Evo. In quel periodo, infatti,
ebbe la massima fortuna. Perché? È presto detto. Il mondo dell’epoca era
popolato di ladri, vagabondi, ciarlatani, giocolieri, bari, soldati, guaritori,
indovini ecc., che girovagavano da un luogo all’altro in cerca
di “fortuna” o, meglio, cercando di... campare alle spalle degli
altri. Tutti questi personaggi, dunque, per difendersi dagli intrusi che
incontravano nel loro vagabondare si servivano ciascuno del proprio linguaggio
corporativo o, se preferite, “settoriale”, fatto di allusioni o di parole
convenzionali; parlavano, insomma, il “linguaggio degli uccelli”,
cioè il gergo, incomprensibile, per tanto, agli estranei.
Antonio
Broccardo, vissuto a metà del XVI secolo, aveva addirittura compilato un
“vocabolario” del gergo del tempo. Possiamo cosí apprendere, per esempio, che
“fortoso” indicava l’aceto; “chiaro” il vino; “pelosa” la... barba; “ruspante”
il pollo. Ogni tempo, insomma, ha il suo gergo. Nel Risorgimento abbiamo i
Carbonari e le Vendite, vale a dire le loro sezioni, mentre le “baracche”
indicavano i luoghi d’incontro.
Le
persone non piú molto giovani ricorderanno il gergo adoperato nell’ultimo
conflitto mondiale: il “violino”, vale a dire il prosciutto; la “roba nera”,
cioè il caffè; il “tabacco chinato”, ovverosia le cicche perché per
raccoglierle da terra bisognava chinarsi; la “roba bianca”, la
farina, lo zucchero e il burro. E concludiamo con alcune voci gergali dei
giovani di oggi: le “care salme”, i genitori; la “gigia”, la zia;
il “caricone”, l’insegnante che dà molti compiti per casa, quindi...
“carica”; il “mammut”, la mamma; il “secondino”, la
moglie; il “biodegradabile”, colui che è molto facile alle cotte;
“lui”, il padre; il “gong”, l’intervallo scolastico e altri che ora
non ci sovvengono. Come si può notare è una “lingua” il piú delle
volte dissacrante ma ricca di immagini e molto critica nei confronti della nostra
società.
Due
parole, infine, sul dialetto il cui significato è noto: “linguaggio particolare
di un ambito culturale e geografico ristretto, con variazioni non sostanziali
nei confronti della lingua nazionale”. È “cosa” ben
diversa, quindi, dal gergo. Il dialetto, quindi, si può definire
una “lingua indigena”, vale a dire una lingua locale, nel nostro
caso regionale.
L’etimologia
è chiarissima essendo il latino “dialectus”, tratto dal greco
“diàlektos”, ‘conversazione’, quindi... dialetto, cioè “modo di parlare
(locale)”. A questo punto è necessario ricordare che il vernacolo non è – come
molti ritengono – un sinonimo del dialetto ma una “particolarità”
dello stesso. È, infatti, una “parlata di un determinato luogo che
si differenzia per alcune ‘particolarità’ dal dialetto della zona piú vasta
alla quale quel luogo appartiene”.
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La lingua "biforcuta" della stampa
“Sparate a Salvini”: scritta contro il leader della Lega nel varesotto
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Correttamente: Varesotto (V maiuscola). Quando gli operatori dell'informazione "impareranno" che i nomi che indicano un'area geografica si scrivono tassativamente con l'iniziale maiuscola?
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LEOPOLI
Statue e monumenti vengono protette in vista dei bombardamenti
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Correttamente: protetti. Oppure: monumenti e statue vengono protette (in questo caso si chiama "accordo per attrazione").
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La carica delle dottoresse: negli ospedali più donne medico, ma non fanno carriera
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Correttamente: donne mediche. "Sapere.it" (De Agostini): Il femminile regolare di medico è medica,
e così si può chiamare una donna che eserciti il mestiere di medico. Alcuni
preferiscono però chiamare anche una donna medico, al maschile. Si
tratta di una scelta che non ha basi linguistiche, ma sociologiche, e che
comunque può creare, nel discorso, qualche problema per le concordanze.
Ordine Nazionale dei Giornalisti
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico,
quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)
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