Il demotico gianese indica sia l'abitante di Giano dell'Umbria (PG) sia quello di Giano Vetusto (CE). Come facciamo a disambiguare? Come facciamo, insomma, senza un contesto, a sapere ─ quando si parla ─ di quale gianese si tratta? Sembra che il comune campano abbia assunto la specificazione Vetusto (antico) nel 1863, dopo l'unità d'Italia, per distinguerlo dal comune umbro; il demotico gianese, però, è rimasto per ambe (sic!) le località. Proponiamo, quindi, agli addetti alla coniazione degli etnici, di lasciare il demotico gianese per l'abitante della località umbra e (ri)denominare "gianvetustano" l'abitante del paese campano. Il toponimo di quest'ultimo sembra derivi da un tempio dedicato a Giano.
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È corretto apostrofare il pronome personale “ci” davanti al verbo avere? Molto spesso ci capita di leggere, sulla stampa, frasi tipo “c’hanno detto che...”. Insomma, ci hanno o c’hanno?
Nessuna legge grammaticale vieta di apostrofare la particella pronominale ci
e l’omonimo avverbio di luogo davanti a parole che cominciano con le vocali e
e i: c’entra, c' invitò. Alcuni linguisti ammettono l’apostrofo anche
davanti ad altre vocali. Ci sembra un uso scorretto e da condannare.
L’elisione è corretta solo se, come dicevamo, la parola che segue la particella comincia con una e o con una i al fine di conservare alla consonante c il suono palatale.
Davanti alle altre vocali la c acquisterebbe un suono gutturale: ci approvò e
non c’approvò; ci andrei e non c’andrei, ché si leggerebbero rispettivamente capprovò
e candrei.
Per lo stesso motivo bisogna scrivere ci hanno e non c’hanno in quanto si
leggerebbe canno.
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La recensione del prof. Aldo Onorati, dantista, pubblicata su "Pagine della Dante"
Il sottotitolo di questo libro “necessario” è Primo soccorso linguistico. Gli autori: Carlo Picozza, Fausto Raso, Santo Strati. Ci sono illustrazioni simpaticissime di Massimo Bucchi. Ed. Media&Books, pp. 304. € 18,00.
Chi sono i “soccorritori”? Carlo Picozza è giornalista professionista (Il Messaggero, Affari & Finanza, Repubblica); Fausto Raso, battagliero difensore del nostro idioma, ha scritto, fra l’altro, 'Un tesoro di lingua'; Santo Strati, anch' egli giornalista professionista, ha lavorato per la RAI e dirige il quotidiano digitale e online Calabria.live. Tre firme sicure, instancabili. Quotidianamente mi giunge “Lo SciacquaLingua” curato da Fausto Raso, ed è la prima cosa, nel computer, che leggo la mattina. Ora, piluccando nel “vocabolario” di soccorso alla nave linguistica che sta affondando nel Tirreno, nell’ Adriatico e in altri 'maricciuoli' nostri, imparo, mi diverto e rifletto – anche con amarezza – sull’inutile fatica del nostro padre Dante, del raffinatissimo Petrarca, dell’ipotattico Boccaccio, del dittatore della lingua Pietro Bembo, del mite Manzoni che ha risciacquato i suoi panni in Arno, e di tutti coloro i quali si sono sforzati di migliorare un dettato bellissimo: l’idioma cantabile per eccellenza. Perché mi viene tale scoramento?
Lasciamo da parte le intrusioni violente dell’inglese, che fa da padrone in terra altrui (tanto che pure i termini latini vengono pronunciati come fossimo in Inghilterra, es.: media, tutor, trasformati in midia, tiutor) e che viene scritto com’ è, senza alcuna assimilazione all’italiano; il peggio è che la stampa, mamma tv (seguita da decine di milioni di esseri linguisticamente indifesi), i libri – che dovrebbero essere l’abbecedario primo – insegnano a disimparare la lingua madre. Sto ruzzolando anch’io nel burrone, ma lo faccio per fini gnomici. A dare il colpo di grazia a un essere morente, c’è l’uso generalizzato dei quiz. La formulazione di un concetto non è più ammessa, come quando dall’alto mossero guerra alla memoria. Il libro è complesso, ma di stimolante lettura. Le prime trecento pagine (circa) riportano gli errori e gli orrori del giornalismo, spiegano i lemmi della tecnologia, chiariscono gli acronimi “acrobatici”.
La tecnica è quella dell’ordine alfabetico per ogni argomento: pillole antinfluenzali da prendere ogni qualvolta si hanno dei dubbi (e quanti ce ne sono nella nostra mente intossicata da giornali, libri strampalati pur di stare alla moda, discorsi e peggio conferenze interminabili dove scappa non solo l’ errore, ma l’orrore linguistico). Insomma, è veramente un’ancora di salvataggio immediato questo libro che assolve la funzione delle medicine salvavita nell’ambito della grammatica, della sintassi, della scrittura e della parlata d’una malata al cui capezzale stanno pronti in agguato altri idiomi che la porteranno a morte per sostituirla!
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico,
quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)
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