Dal dr Claudio Antonelli riceviamo e pubblichiamo
La settimana della lingua italiana andrebbe ribattezzata “Italian language week”, o meglio ancora “Italian language seven days”, perché ci sono poche altre parole che godano in Italia altrettante simpatie quanto il termine “day”.
Il “click day” è forse l’ultimo in ordine di tempo di una sfilza di “day” che non sembra aver mai fine.
Io non so quale
fu il primo avvenimento a venir designato in Italia con un titolo composto con
la desinenza “day”, suscitatrice di grandi entusiasmi presso l’intellighenzia e
il popolo della penisola. Da allora, questo fortunato anglicismo ha fatto
“carne di porco” ; è proprio il caso di dire così, visti i tanti
“porchetta-day” che si sono da allora succeduti. Molti ormai chiamano cosi’ le
sagre paesane all’insegna della porchetta. Un’altra porcata linguistica,
insomma…
Mi azzardo a dire che la popolarità di “day” è forse dovuta all’assonanza che
“day” ha con “gay”, parola nobilitante che ha rimpiazzato gli insultanti
termini di un tempo come “fro…”, “chec…”, “culat…” finiti fortunatamente al
macero. Oso poi a dire che nel subcosciente di noi Italiani, figli della
Liberazione, agisca il mitico “D-Day” dello sbarco degli Alleati in Normandia,
e del precedente sbarco in Sicilia che installò da noi, insieme con le basi
militari americane, anche la passione per la lingua pseudo inglese.
Da allora gli italiani tutti, e non solo i filoamericani ma anche gli
antiamericani, non smettono mai con i loro “days”.
Oltre all'“Election Day”, legge del parlamento italiano, vi
sono stati il “Family day”, lo “Young day” (sic), voluto da Alfonso
Pecoraro-Scanio per rimettere al centro il problema dei giovani e del
precariato, i “Referendum days” dei radicali, il “Maiale day” dei leghisti
contro la costruzione di una moschea, il “No tax day” del Pdl contro il sindaco
di Milano Pisapia, il “No porcellum day”, il “No Berlusconi Day”, il “No
Salvini Day”, il “No Renzi Day”… E
tanti altri “day” che sarebbe troppo lungo menzionare, o di cui si è persa la
memoria.
Alcuni “day” sono durati solo qualche giorno, altri sono durati molto di più
rendendo molto bene. L'”Election Day”, ad esempio, ha avuto gran successo per
diversi politici, tra cui una sfilza di nostri primi ministri, compreso
l’attuale, divenuti tali senza essere mai stati eletti. È dunque vero: perché
una legge abbia successo in Italia occorre darle un titolo inglese. Vedi la
legge sullo stalking che ha dato origine a moltissimi procedimenti penali. Io
proporrei oggi, invece, una legge contro i personaggi che ci perseguitano in Tv
nei quotidiani “talk show”, veri “stalker show”.
Lo slogan della campagna di reclutamento della marina militare italiana di un
paio di anni fa – “Be cool and join the Navy” – non ebbe gran successo, benché
il marziale invito fosse stato rivolto agli italiani interamente nella magica
parlata inglese. Ma il messaggio non conteneva il fatidico, imprescindibile
“day”. Fu un errore imperdonabile.
Nell’attuale periodo, in cui l’indice di riproduzione da coronavirus (Rt) desta
ancora qualche preoccupazione, il mio pensiero va al “Fertility Day” – lanciato
nel 2016 dal ministro della salute Beatrice Lorenzin. Un “Fertility Day” che purtroppo partori’ solo
polemiche; tra cui quella innescata da Roberto Saviano, secondo il quale
“Fertility Day” era “un insulto a chi non riesce a procreare e anche a chi
vorrebbe ma non ha lavoro”.
È doveroso anche ricordare il glorioso “Vaffa… day” di Beppe Grillo contro i
politici italiani. A suo tempo, a dire il vero, io proposi un “F… off
day” o “F… you day” o “Go f… yourself day”, secondo i gusti, per tutti i
ridicoli scimmiottatori della parlata americana, legioni nella Belpaese. Ma la mia richiesta non fu accolta, e per
me quello fu un “dies” – pardon: un “day” “nigro signanda lapillo”.
Claudio Antonelli (Montréal)
1 commento:
Dottor Antonelli, non tutti gli Italiani si comportano come li descrive Lei.
Ci sono anche Italiani, schifati da questa manovra di sostituzione del vocabolario nostrano con altro estraneo, che si ostinano irremovibili ad usare parole italiane, costi quel che costi.
Cordiali saluti
Renato P.
Posta un commento