di Salvatore Claudio Sgroi
1. Assioma
Muoviamo dell'assioma secondo cui la
morfologia di una lingua è strutturalmente neutra rispetto all'uso
"ideologico" che di essa possono fare per ragioni diverse, anche
legittimamente, i parlanti.
Nel caso che ora ci riguarda la presenza
del genere grammaticale (maschile e femminile) in italiano non è legata alla
funzione di segnalare il sesso biologico/naturale degli esseri animati, umani o
anche non-umani. Ovvero il genere grammaticale maschile di un sostantivo come uomo non ha il ruolo, malgrado le apparenze,
di indicare un individuo sessualmente / biologicamente maschio, né il genere
grammaticale femminile del sost. donna
è da collegare con un individuo umano sessualmente / biologicamente femmina. O
per fare un esempio di lessema non-umano, il genere maschile di serpente non indica il sesso biologico
maschio del serpente, né il genere
grammaticale femminile di balena
indica il sesso biologico femmina del cetaceo.
La funzione in prima istanza del genere
grammaticale è in realtà quella di consentire la coesione morfo-sintattica
di un testo ai fini di una migliore comprensione, così nell'es. È una bella donna e
non già *è un bello donna;
La casa è proprio bella
e non *la casa è proprio
bello.
La riprova di questa presunta
corrispondenza "genere grammaticale = sesso biologico (genere
naturale)", eredità della grammatica latina, è dimostrabile a più livelli.
In italiano la classe dei nomi "promiscui" rimanda
a un tempo a referenti maschi o femmine. Per es. il lessema genitore sost. maschile può riferirsi
sia alla madre che al padre; la star s.f. può avere come referente sia
un maschio che una femmina; la spia
s.f. può essere sia uomo che donna; la guida
s.f. ha referente maschio o femmina; persona
s.f. indica un maschio o una femmina, ecc.
La situazione non cambia con i nomi
animati non-umani, ovvero la cosiddetta classe dei nomi "promiscui" o "epiceni"., così la gatta s.f. può indicare sia una femmina
che un maschio ('il gatto'); e così nel caso del s.f. iena o del s.m. leopardo,
ecc.
Nel caso poi dei nomi al plurale come i figli, i nipoti, gli zii, i parenti, gli
amici, i candidati, ecc. il
riferimento è inclusivo, ovvero può riguardare sia i maschi che le femmine ('le
figlie', 'le nipoti', 'le zie', 'le amiche', 'le candidate').
Il mancato parallelismo "genere
grammaticale = sesso biologico" appare nettamente nella classe dei pronomi
personali "promiscui" come io,
loro, gli 'a lui, a lei, a loro' e gli allocutivi "tu (personale o anche generalizzato per
es. nei messaggi pubblicitari) vs lei
(transazionale) vs voi1 sing.
it. meridionale 'lei', vs voi2 pl.
Infatti il pronome di prima persona Io può avere referenti sia maschi, sia
femmine, es. Io [= parlante Maria]
non ero potuta venire VS Io [= parlante Mario] non ero potuto venire; Loro [= i ragazzi] dove sono andati?,
Loro [= le ragazze] dove sono andate; il clitico gli vale 'a lui, a lei, a loro'
nell'italiano medio o neostandard, es. ho
incontrato mia sorella (o mio
fratello, o i miei amici) e gli ho
detto che li avrei invitati; non diversamente in glielo es. glielo dirò, a mia
sorella, a mio fratello, ai miei amici.
Allocutivi: Tu (= interlocutore Paolo) non sei venuto VS Tu
(= interlocutore Paola) non sei venuta; Tu pubblicitario: "sgroi tutto incluso da 19,90 Euro: anche la
SERIE A! Affrettati"; Lei, cara professoressa, non l'ho
proprio vista VS Lei,
caro professore, non l'ho proprio vista (e informalmente visto); Caro Professore, la vedo stanco (o stanca); Voi ragazzi dove siete stati?, Voi ragazze dove siete state?; it. merid. Caro Professore, voi non siete venuto?.
Con riferimento a individui a) non-etero (con pulsioni sessuali cioè verso
individui dello stesso sesso) ovvero omosessuale
s.m. e f., gay s.m. e f., queer s.m. e f., -- b) non-binari
ossia "gender fluid" (con pulsioni sessuali verso persone a un tempo
dello stesso o diverso sesso, ossia di qualunque sesso), ovvero bisessuale (s.m. e f.) e pansessuale (s.m. e f.); in inglese i
non-binari vengono spesso indicati non con i pronomi "he masch. 'lui', she femm. 'lei' o neutro it" ma con "they sing"; e -- c) trans(essuali) (persone che in seguito a
interventi chirurgici hanno cambiato sesso biologico, passando da uomo a (>)
donna, o da donna a (>) uomo), -- variamente accomunati nelle sigle LGBT "Lesbiche, Gay,
Bisessuali e Transgender"; -- LGBTQI+ "Lesbiche, Gay,
Bisessuali, Transgender, Queer, Intersessuali
e affini" (entrambe riportate nello Zingarelli 2021 p. 2663; cfr.
anche in Wikipedia) -- c'è da
osservare che la lingua dovrebbe disporre di almeno altri tre generi
grammaticali. Si ricorre invece a lessemi come i citati omo(sessuale) s.m. e s.f.; o gay
s.m. e s.f, queer s.m. e f., e trans- con genere oscillante (s.m.
oppure indifferentemente s.f.) con referenti diversi relativi al "maschio
> femmina", o alla "femmina > maschio".
Il plurale comunque di questi lessemi --
gli omosessuali, i gay, i diversi, i queer,
i bisessuali, i pansessuali, i trans(essuali)(maschio> femmina, e viceversa), tutti s.m.pl. -- è inclusivo, ovvero pluri-referenziale
(maschi e femmine).
Muovendo da questa così variegata realtà
sessuale, si è anche sentito il bisogno di un anglicismo come cisgender s.m. e f. (uomo e donna) per
sottolineare chi invece accetta il suo genere naturale, biologico, senza alcun
problema di identità.
Ma l'argomentazione più forte contro il (presunto) parallelismo "genere grammaticale = sesso biologico (o genere naturale)" è costituita dalla presenza delle migliaia di nomi non-animati, ovviamente a-sessuati, il cui genere grammaticale è scopertamente "arbitrario" e la cui funzione -- unica -- è quella di consentire la coesione testuale morfo-sintattica, es. è una bella casa, la cui violazione *è un bello casa sarebbe decisamente a-grammaticale.
3. Il genere
grammaticale sessuale fossilizzato
A
parte i cosiddetti nomi
"indipendenti" o "eteronomi",
ovvero lessemi etimologicamente diversi, es. padre s.m. vs madre s.f.
o bue s.m. vs vacca s.f. indicanti col genere maschile un maschio e col genere femminile
una femmina, nella lingua si ritrovano anche i nomi "mobili" il cui genere grammaticale maschile
si oppone a quello femminile per indicare un individuo (o un essere animato)
sessualmente maschio rispetto alla femmina, per es. maestro sost. maschile ('maschio') vs maestra sost. femminile ('femmina'), signore s.m. ('maschio') vs signora
s.f. ('femmina'), prostituta s.f. vs prostituto s.m. 'gigolò', mamma s.f. vs mammo s.m., oppure leone
sost. maschile ('maschio') vs leonessa
sost. femminile ('femmina').
In
questi casi i parlanti hanno voluto sottolineare con mezzi lessicali (nel caso
dei nomi "indipendenti") o con mezzi morfologici (nel caso dei nomi
"mobili") il ruolo legato al sesso, e questo potrebbe apparentemente giustificare
il ruolo "sessista", morfologico, della lingua. Non va però
dimenticato che il ruolo fondamentale, prioritario, in prima istanza del genere
grammaticale, comune ai nomi animati (umani e non-umani) e ai nomi non-animati,
è quello di permettere la coesione morfo-sintattica,
sì da favorire anche formalmente la comprensione di un testo. Quindi quella ragazza è proprio carina
e non già *quello ragazza
è proprio carino.
4. Scelta "laica"
L'indicazione
del sesso naturale, biologico (maschio/femmina) resta invero il più delle volte
facoltativo, libero, dipendendo dalla scelta ideologica del parlante. L'es. il direttore del dipartimento può
infatti essere riferito sia a una donna che a un uomo. Il parlante non è
infatti obbligato a dire la direttrice
del dipartimento, specialmente poi quando l'interessata vuole essere
assolutamente indicata o interloquita col sost. maschile direttore; e così nel caso di il direttore d'orchestra voluto da Beatrice Venezi (su cui cfr. i
precedenti interventi n. 100. "Il
direttore d'orchestra" e/a Sanremo mercoledì 17 marzo; n. 101.
La femminilizzazione dei nomi e le regole
della lingua italiana. A proposito di "direttore/direttrice
d'orchestra", sabato 20 marzo);
non diversamente nel caso de il
presidente della società di linguistica (o della Camera) riferito a una donna, a meno che l'interessata non
voglia essere designata come la presidente della società di linguistica
(o della Camera).
Attualmente,
come è noto, non pochi nomi di professione, sost. maschili, mobili (-o/-a) e "ambigeneri" (con
l'art. il) con referenti
tradizionalmente maschi sono stati oggetto di critica da parte dei movimenti
femministi, inizialmente negli USA, in quanto dovrebbero essere rimpiazzati da
lessemi femminili designanti donne (per es. notaio/a,
avvocato/a, magistrato/a; ministro/a, sindaco/a, il/la dirigente, il/la preside,
ecc.) per sottolineare il ruolo assunto dalle donne nella nostra società. Un
scelta lessicale "ideologica" naturalmente di tutto rispetto, che
però non può essere imposta -- in una prospettiva "laica" -- a chi
invece, senza misconoscere il nuovo ruolo delle donne o essere anti-femminista,
parlando non vuole enfatizzare l'aspetto sessuale ma vuole solo indicare il
ruolo indicato dal lessema indipendentemente da chi (maschio o femmina) lo
esercita, ben consapevole che la funzione prioritaria del genere grammaticale è
quella di creare la coesione morfo-testuale normativamente da non violare (il preside non è venuto; *il
preside non è venuta).
Chi,
lasciando sullo sfondo la più volte ribadita funzione primaria di coesione
morfo-sintattica del genere grammaticale, sottolinea il ruolo secondario della
indicazione del sesso biologico (genere naturale) ha fatto ricorso a più soluzioni
grafiche.
Da
un lato opta per coppie lessicali tradizionali con anteposizione del sost.
femm., per es. "Signore e Signori",
"Care amiche e cari amici";
oppure sceglie la variante brachilogica isolando il morfema grammaticale di
genere mediante ricorso alla sbarra obliqua es. "Carissime/i". Una terza possibilità, brachilogica, ma uscendo
dai simboli alfabetici, è il ricorso all'asterisco, per es. Carissim*, Car* tutt*. Il morfema del plurale maschile e femminile è qui
indicato con un segno non-alfabetico, ovvero con un ideogramma (o logogramma),
costituito cioè da un disegno a stella (*), ovvero da un significante
non-sonoro che rimanda a un significato grammaticale multiplo (genere e
numero), analogo per intenderci ai numerali come "1" che indica il
valore di una cifra ma non trascrive la pronuncia /uno/.
Più
di recente, sono invece prevalse, con varia fortuna, due ulteriori soluzioni,
singolari se non eccentriche. Il ricorso al grafo <u> col valore di morfema del plurale maschile e femminile, per
es. Carissimu, Caru tuttu. Un inconveniente invero non piccolo, data la omografia
tra la lettera <u>
dell'alfabeto, fonologicamente /u/, e tale <morfo-grafo>.
Una
ulteriore proposta, avanzata da Vera Gheno (in questa sede già criticamente
analizzata (cfr. Sgroi n. 78. La "terza via" dell'anti-sessismo linguistico di Vera Gheno, venerdì 25 sett. 2020) e occasione di
garbata ironia su "Linkiesta.it", prevede il ricorso allo schwa,
ovvero al simbolo dell'alfabeto fonetico internazionale <ə> , ess. Carissimə, Carə tuttə. Qui
l'inconveniente è quello di introdurre un simbolo che rinvia a un suono-fonema inesistente
in italiano (comune invece in francese), che va quindi decisamente contro la
struttura fonologica dell'italiano. L'innovazione grafica è stata adottata da
Michela Murgia. Come informa Aldo Grasso (La
lingua e il (difficile) salto nell’inclusività, in "Corriere.it, 22
agosto 2021), "durante la rassegna stampa di Radio Radicale, Flavia
Fratello, giornalista de La7, ha tentato di leggere un pezzo di Michela Murgia",
"ma il vero problema è stato formale, meglio orale. Fratello calca un po’ la mano (la
voce) ma l’effetto è esilarante".
Il
côté paradossale di quest'ultima proposta è costituito dal suo successo, adottata
com'è stata anche da una casa editrice e addirittura da una pubblica
amministrazione emiliano-romagnola.
Non
sembrano invece aver avuto molta fortuna altre "originali" proposte
grafiche, con la chiocciola es. Car@, col
cancelletto es. Car#, o col punto interrogativo es. Car?, o ancora <car>, <carx>, <cary>.
Alla
fine, "laicamente" ogni scelta è a mio giudizio lecita. Il lettore si
comporterà come meglio riterrà opportuno.
Concludendo,
alla luce di quanto sopra, -- sottolineando sempre la funzione prioritaria di
coesione morfo-sintattica del genere grammaticale, -- non si può non
condividere l'analisi equilibrata e ampiamente descrittiva degli usi su visti,
non meno che critica verso le ultime due proposte, avanzata da Paolo D'Achille Un asterisco sul genere come risposta (ben
10 pp.) ai "Quesiti" posti dai lettori nella rubrica "Consulenze
linguistiche" della Crusca, ora in rete in "Italiano digitale"
XVIII, 2021/3 (luglio settembre).
Sommario
1.
Assioma
2.
Funzione prioritaria del genere grammaticale
2.1. "Genere grammaticale = sesso
biologico (genere naturale)"?
2.2. I pronomi personali e allocutivi "promiscui"
2.3. Gli individui non-etero, non-binari
("gender-fluid") e trans
2.4. La coesione morfo-sintattica dei
nomi non-animati
3.
Il genere grammaticale sessuale fossilizzato
4.
Scelta "laica"
5.
Il morfema di genere e scelte grafiche
5.1. Due proposte eccentriche
6.
Benedizione "laica"
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