di
Salvatore Claudio Sgroi
1. L'evento
Ieri,
venerdì 15 maggio, alle 11h30 abbiamo ascoltato l'assai istruttivo programma di
RAI-3 "Tutta salute", Speciale Fake News, condotto da Michele
Mirabella e Pier Luigi Spada, che si sono avvalsi per problemi linguistici della
consulenza dello storico della lingua Giuseppe Patota, con riferimento in
particolare all'influenza del coronavirus sulla lingua italiana. Un'occasione,
invero, per sentire, "fake-news" e "approssimazioni" giusto
sulla lingua nazionale, a partire dal pur bravo conduttore M.
Mirabella.
1.1.
"Allucinazione visiva"
Il
quale ha debuttato con l'identificazione (invero "allucinazione", mispercezione") di
una "Storia della letteratura italiana" nella scaffalatura della
ricca biblioteca di Giuseppe Patota, ripreso nel proprio studio. Non una storia
letteraria, ma piuttosto il "Grande
dizionario [storico] della lingua
italiana" di S. Battaglia e G. Bàrberi Squarotti" (Utet 1961-2009,
24 voll.) faceva bella mostra di sé tra i libri di Patota con sulla destra
(dello spettatore) anche il GRADIT ovvero "Grande dizionario italiano dell’uso" di T. De
Mauro (Utet 2007, 8 voll.).
1.2. Pronuncia
vera, ed etimologia di pandemìa.
Ma
a parte l'abbaglio visivo, Mirabella ha creduto opportuno di intervenire sulla
pronuncia della parola "pandemìa", che a suo giudizio andrebbe
correttamente pronunciata (trisillabicamente) Pandèmia, perché di origine greca. Ora l'etimologia risale al
francese pandémie, con l'accento
tonico sull'ultima sillaba /pade'mi/ trattandosi di un franco-latinismo. E
quindi la pronuncia corretta anche etimologicamente è quella corrente
quadrisillabica pandemìa. Se poi
l'etimo fosse stato il greco, la pronuncia quadrisillabica: -- pandemìa -- era ineccepibile. Ma il greco
è da escludere perché in greco πανδημία pandemia significa solo
"tutto il popolo" senz'alcun cenno all'idea, centrale, di 'malattia'
(come abbiamo cercato di chiarire nell'intervento n. 64 del 28 aprile). E sorvoliamo sul fatto che pandèmia,
trisillabico è agg. letterario, questo sì greco-latinismo, con tutt'altro
significato, per es. in Venere pandemia
('prostituta'), o casa pandemia
(dantescamente 'bordello'), come indicato nell'intervento n. 61 del 25 aprile.
1.3. "Straniamento"
o "frequenza" covid-ica?
Richiesto di
evidenziare l'impatto del coronavirus sulla lingua italiana, Patota ha voluto indicare col termine letterario "straniamento" un effetto della presenza del
virus sulla lingua italiana, esemplificato con ess. quali "persona positiva/negativa" e "tamponamento".
Una persona positiva ha una valenza negativa (ha sottolineato Patota) indicando qualcuno che presenta la patologia
ricercata mediante un esame o analisi, che è quindi risultato "positivo" a tale test. Tale fenomeno
non è invero un effetto di "straniamento" causato dal covid. In
realtà, in italiano il termine positivo presenta già (1) la valenza
comune ('favorevole', 'valida') dell'agg., accanto (2) alla valenza propria del
linguaggio settoriale della medicina e della biologia. E tale valenza tecnica
in seguito al covid, è diventata certamente molto frequente, diffondendosi
nell'uso comune. Lo stesso vale per negativo detto nel linguaggio
biol. e medico di "paziente, in cui non si riscontra la patologia
ricercata", fortunatamente; mentre una persona
negativa nel linguaggio comune indica 'chi non è positivo; o è incline al
pessimismo'.
Analogamente, il tamponamento in quanto
termine settoriale del linguaggio medico, già codificato, per indicare l'applicazione di un tampone/batuffolo per es. nel naso o nella bocca dell'uomo per rilevare la presenza o meno di un coronavirus, è diventato molto frequente nell'uso comune in questi tre mesi di
pandemia covidica. E non si tratta di un fenomeno di "(e)straniamento"
rispetto al non-tecnico tamponamento
in quanto "urto di un veicolo contro la parte posteriore di un altro
che lo precede".
1.4.
Anglicismi integrali o 'crudi'
La pandemia del coronavirus/covid-19 ha
comportato, come avevamo indicato (in "Anglicismi à gogo", intervento n. 52 del
4 aprile) una diffusione (per Mirabella "esagerazione",
"sudditanza pigra" e per Patota "provinciale") di
anglicismi integrali, legati al fenomeno e al prestigio culturale
dell'inglese/anglo americano. Non poteva quindi mancare un accenno al lockdown, giudicato
"clamoroso", ma ormai diffusissimo, di cui nella logica neopuristica
del cruscante Patota sono stati proposti traducenti quali
"isolamento", "blocco", "chiusura".
E così anche per "fake news", diffusissime lessicalmente e (ahimè)
referenzialmente, si è ricordato il traducente (romanesco) 'bufala', mentre in
TV apparivano i messaggi "Attenzione alle false notizie" e "A
caccia di fake news".
Patota non si è lasciato sfuggire il "recovery fund" --
pronunciato /faʊnd/ come se fosse stato "recovery found" con il sost.
fund /fᴧnd/ confuso da tanti parlanti colti non anglofoni con il part. pass. found /faʊnd/
'trovato', -- per il quale ha proposto il traducente "fondo per la
ripresa, fondo di recupero".
Ha ricordato ancora il composto covid manager, usato a Milano
con riferimento ai mercati comunali, anglicizzante per via dell'ordine dei due
costituenti, in luogo di 'manager del covid'.
E dinanzi al jogging, sfuggito a Mirabella, ha riproposto il termine il
"trotterello" indicato a suo tempo da A. Castellani, ma ignorato
anche nel Garzanti-Patota (2013) e nel Devoto-Oli-Serianni-Trifone 2019, che pure
nella apposita rubrica "Per dirlo in italiano" non manca di indicare
l'equivalente italiano per altri stranierismi.
1.5 Tolleranza "neopuristica" per gli adattamenti
1.5 Tolleranza "neopuristica" per gli adattamenti
Invece, nei riguardi di monitorare e fittare
'adattare' (< ingl. to fit), detto delle mascherine filtranti
facciali, perfettamente aderenti al viso, ricordati l'uno dal conduttore P.L. Spada (e accolto dai dizionari, il Garzanti-Patota
incluso) e il secondo dal virologo ospite della trasmissione Nicola Petrosillo (neologismo,
decisamente più recente, in attesa di essere codificato nei dizionari), -- il "neopurista"
(non "purista") Patota è stato più tollerante dinanzi a voci
"diventate italiane", ovvero anglicismi sì ma adattatti
fonologicamente e graficamente alla struttura dell'italiano.
Sommario
1. L'evento
1.1. "Allucinazione visiva"
1.2. Pronuncia vera, ed etimologia di pandemìa
1.3. "Straniamento" o "frequenza" covid-ica?
Sommario
1. L'evento
1.1. "Allucinazione visiva"
1.2. Pronuncia vera, ed etimologia di pandemìa
1.3. "Straniamento" o "frequenza" covid-ica?
1.4. Anglicismi integrali o
'crudi'
3 commenti:
Intervento interessantissimo. Da osservatore che il prof. Sgroi definirebbe "laico", alcune osservazioni:
1) Non sono convinto che bufala e fake news siano equivalenti. Bufala mi fa pensare ad una notizia nata falsa per caso. Fake news mi fa pensare all'opera "inquinante" di menti raffinate che creano quelle notizie a tavolino per uno scopo preciso e strutturandole in modo da nascondersi bene tra le notizie vere.
2) Proprio oggi Claudio Pagliara (corrispondente Rai da New York) ha twittato: "New York in confinamento, sofferenza e solidarietà i due voli della città che non dorme mai costretta dal virus ad un lungo sonno" e io, che pure sono consapevole della discussione in corso, ho dovuto fermarmi per una frazione di secondo per poi riemergere vittorioso dai miei pensieri: "Ah! Lockdown!" Insomma, temo che su lockdown i dotti cruscanti si debbano arrendere. Oramai è come wifi. Va preso così. Del resto, "clausura" mi fa venire in mente la monaca di Monza (anche se un libro intitolato "The Lockdown Nun" potrebbe rivelarsi un bestseller se affidato a Dan Brown).
3) La confusione fund/found potrebbe essere rivelatrice di un aspetto interessante: i professor(on)i tuonano un giorno sì e l'altro pure contro l'inglese, ma siamo sicuri che loro l'inglese lo conoscano? Lo chiedo perché la mia personale opinione è che un uomo di scienza oggigiorno non possa esimersi da una discreta conoscenza dell'inglese quantomeno scritta.
Saluti a tutti
Il rilievo del dr. Passani riguardo alla dubbia 'equivalenza' semantica "fake news = bufala", tutta giocata sul significato referenziale, si potrebbe contestare sulla scorta per es. del Diz. del De Mauro (2000) che definisce bufala (a) "notizia, affermazione falsa, spec. nel linguaggio giornalistico", la cui intenzionalità è invero implicita. Ma lo stesso De Mauro segnala (b) una seconda accezione del termine, quando indica "svista, errore grossolano", quindi non volontario, dando così ragione al dr. Passani.
Più in generale il fatto è che le lingue non sono, come si dice, "isomorfe". E i significati delle parole sono tra di loro in intersezione, il che rende sempre possibili le traduzioni inter-linguistiche, ma inevitabilmente in maniera approssimativa e perfettibile (all'infinito).
L'es. più in generale dimostra che il rifiutare (neo)puristicamente i termini (o 'doni') stranieri in base alla teoria primo-novecentesca secondo cui, se esiste già un termine italiano, è inutile accogliere uno stranierismo, è in realtà frutto di una posizione logicistica. Che non tiene conto del fatto che, da un lato la coincidenza semantica di due termini senza sbavature è del tutto astratta, ma dall'altro accanto al significato referenziale, oggettivo di un termine, c'è sempre una "connotazione", ovvero un quid che rende unico quel termine.
Nel caso specifico, "la bufala", come ricorda lo stesso De Mauro, è etimologicamente un "dialettalismo" ovvero un "Re[gionalismo]" del "roman.[esco]", mentre "la/le fake news" godono del “prestigio”, del “potere evocativo”, della “potenza espressiva” dell’anglo-americano, indirettamente riconosciuti dallo stesso Devoto-Oli-Serianni-Trifone 2019, che non osa proporre alcun sostituto come invece fa per altri stranierismi nella rubrica (neopuristica) "Per dirlo in italiano".
S.Claudio Sgroi
La “Commissione d’arricchimento della lingua francese” ha deciso che in Francia al posto di “fake news” si dirà “infox”, neologismo creato a partire da “information” e “intoxication”. Le Monde prevede che questo termine avrà successo. Ci rende inoltre noto che la traduzione di « fake news » col termine« infox » s’imporrà a tutte le autorità amministrative francesi.
Noi abbiamo il termine “disinformazione” (i francesi hanno “désinformation”) che nessuno pero’ usa. Forse la Crusca dovrebbe formalmente « proibirlo », e allora si’ che « disinformazione » diverrebbe popolare…
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