domenica 3 maggio 2020

Parlo in qualità di...

Il linguaggio burocratico (che, ricordiamolo, non fa la lingua) ci ha abituati a frasi del tipo parlo in qualità di, nella qualità di ecc. In molte lettere di assunzione si può, infatti, leggere: «Siamo lieti di comunicarle che dal giorno (...) Lei sarà alle dipendenze della nostra Società in qualità di...».
      È un'espressione, questa, da evitare se si vuole scrivere e parlare in buona lingua italiana, anche se la  locuzione è immortalata in alcune pubblicazioni. Qualità, in casi del genere, si può sostituire con come, con l'incarico di, con il grado di e simili: sarà assunto con l'incarico di segretario.
      È, altresì, da evitare — sempre che si voglia parlare e scrivere bene — l'espressione di qualità nel significato di buona, ottima qualità: è un libro di qualità; uno spettacolo di qualità.
      A questo proposito il linguista Rigutini — non l'illustre sconosciuto, estensore di queste noterelle — fa notare che si tratta del solito francesismo: dare un senso determinato a parole che hanno bisogno di una determinazione; una qualità può essere anche cattiva, mediocre e pessima oltre che buona.
Oggi tale locuzione è largamente adoperata tanto che nell'uso comune si sente dire stoffa di qualità volendo significare stoffa di buona, ottima qualità.
      Gli amatori del bel parlare e del bello scrivere aborriscano da questo gallicismo. La qualità di qualcosa deve sempre essere seguita dalla sua determinazione: buona, ottima, cattiva, pessima, mediocre e via dicendo.



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L' Accademia della Crusca boccia l’utilizzo della parola Revenge Porn.  Qui
Probabilmente, anzi senza dubbio, numerosi linguisti dissentiranno ma — a nostro modo di vedere — la Crusca ha abdicato al suo ruolo di "difensora della lingua italiana". Dovrebbe condannare tutti i termini stranieri anche se, come sostengono i "linguisti d'assalto", arricchiscono il nostro idioma. I giovani studenti di oggi — grazie alla stampa e alla stessa Accademia della Crusca — conoscono meglio la lingua di Albione che quella di Dante e di Manzoni.

1 commento:

Teo ha detto...

Due rilievi:
1) In questo caso l'Accademia della Crusca fa proprio quello che lei e altri puristi giustamente auspicano, ossia "boccia l’utilizzo della locuzione Revenge Porn". Quindi, soprattutto a partire dalla presidenza di Claudio Marazzini, non mi sembra che la Crusca voglia più abdicare al suo ruolo di "difensora della lingua italiana". Forse non arriva a condannare tutti i termini stranieri ma ormai, giustamente, ne propone dei sostituenti acconci.
2) Insisto: vorrei che lei mi spiegasse una volta per tutte perché continua ad accanirsi e a censurare pure i francesismi perfettamente adattati e acclimatati nella lingua italiana. Una locuzione come "in qualità di" o l'espressione "di qualità" nel significato di "di buona, ottima qualità" si trovano nella nostra migliore tradizione letteraria. Secondo il Grande Dizionario storico della lingua italiana di Battaglia e Bàrberi Squarotti, la locuzione "in qualità di" si riscontra in Cesarotti e Carducci. "Di qualità" come sinonimo di "di buona qualità" in Guicciardini, Birago, Assarino, Mazzini Ojetti e ANCHE Manzoni.
Che poi lei citi il linguista Rigutini, vuol dire solo che assume come autorità nel 2020 uno studioso di rilievo certo, ma morto nel 1903 e che con Fanfani e Arlia era esponente di un purismo nazional-sentimentale già all'epoca ritenuto eccessivo da altri studiosi.
Quindi ne viene fuori che lei non giudicherebbe "amatori del bel parlare e del bello scrivere" neppure persone come Guicciardini e Manzoni, preferendo loro Fanfani, Arlia, Rigutini e Gabrielli. Mi sembra una posizione non solo anacronistica, ma del tutto difforme dal neopurismo scientifico di Migliorini e Castellani, che accettavano di buon grado i forestierismi adattati quando non confliggevano con le norme fonotattiche della lingua italiana e con la semantica abituale. E con queste espressioni ricavate da "qualità" non mi sembra esserci conflitto. Ché poi: a giudicare dai commenti all'articolo di Luca Antonelli, la massima preoccupazione che oggi sembra caratterizzare gli "amatori del bel parlare" è quella di espungere gli anglicismi non adattati (spending review, lockdown, welfare, part time, ecc.), non certo quello di censurare i francesismi adattati e acclimatati: anche perché il francese è una lingua neolatina e massimamente affine alla nostra, sicché recepire da essa locuzioni adattandole all'italiano è un'operazione che non snatura la nostra lingua, ma anzi la migliora e la arricchisce. E poi attardarsi in posizioni come quelle di Rigutini e Fanfani di 140 anni fa rischia appunto di distogliere l'attenzione dagli anglicismi non adattati: non sarebbe meglio se lei stesso dedicasse il suo ingegno e la sua perizia linguistica a reperire acconci sostituenti per audience, austerity, authority, background, backstage, badge, band, benefit, box, brand, budget, business, cameraman, ecc., anziché levare alti lai contro i francesismi, che non saranno mai ascoltati da nessuno e che vanno addirittura contro l'uso di Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi?