venerdì 15 maggio 2020

Tutto: aggettivo quantitativo?


Alcune grammatiche sogliono classificare l'aggettivo "tutto" tra quelli indefiniti quantitativi (poco, parecchio, abbastanza, tanto, troppo, molto, alquanto) ma  — a ben vedere — l'aggettivo in questione non "rivela"  una determinata quantità come  — per esempio  — "poco" (quantità ridotta), "troppo" (quantità eccessiva), "abbastanza" (quantità sufficiente) ma "rinvia" a questa.  Se diciamo, infatti, "pochi uomini" non conosciamo con esattezza la loro consistenza numerica ma il "valore", sia pure indefinito, della loro quantità. 
    Quando diciamo, invece, "tutti gli uomini" abbiamo assoluto bisogno di qualche altra informazione per avere un'idea un po' meno approssimativa della loro consistenza numerica. "Tutto", insomma, si può classificare tra gli aggettivi indefiniti, non quantitativi, con valore collettivo. Si distingue, inoltre, dagli altri aggettivi quantitativi per una sua particolarità: è posto non solo prima del nome ma anche prima dell'articolo o dell'aggettivo determinativo che lo accompagna. Quindi: tutto un mese; tutte le volte; tutti questi sprechi ecc.

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La parola proposta da questo portale: percúpere. Verbo aulico di origine latina: desiderare ardentemente. È pari pari il latino "percupere", composto con il prefisso intensivo "per-" e "cupere" (desiderare, bramare).


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Sarebbe veramente interessante se qualche linguista ci spiegasse, cortesemente, perché la quarta e la quinta persona del congiuntivo presente del verbo "alleviare" perdono la "i" del tema (che noi alleviamo; che voi alleviate) e la conserva, invece, la sesta (che essi alleviino). Le desinenze non sono "-iamo", "-iate", "-ino"?  Perché, dunque, questa "discriminazione"?


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