sabato 16 maggio 2020

Sgroi - 66 - "Fakes news" televisive sul coronavirus


di Salvatore Claudio Sgroi

1. L'evento
Ieri, venerdì 15 maggio, alle 11h30 abbiamo ascoltato l'assai istruttivo programma di RAI-3 "Tutta salute", Speciale Fake News, condotto da Michele Mirabella e Pier Luigi Spada, che si sono avvalsi per problemi linguistici della consulenza dello storico della lingua Giuseppe Patota, con riferimento in particolare all'influenza del coronavirus sulla lingua italiana. Un'occasione, invero, per sentire, "fake-news" e "approssimazioni" giusto sulla lingua nazionale, a partire dal pur bravo conduttore M. Mirabella.

1.1. "Allucinazione visiva"
Il quale ha debuttato con l'identificazione (invero "allucinazione", mispercezione") di una "Storia della letteratura italiana" nella scaffalatura della ricca biblioteca di Giuseppe Patota, ripreso nel proprio studio. Non una storia letteraria, ma piuttosto il "Grande dizionario [storico] della lingua italiana" di S. Battaglia e G. Bàrberi Squarotti" (Utet 1961-2009, 24 voll.) faceva bella mostra di sé tra i libri di Patota con sulla destra (dello spettatore) anche il GRADIT ovvero "Grande dizionario italiano dell’uso" di T. De Mauro (Utet 2007, 8 voll.).

1.2. Pronuncia vera, ed etimologia di pandemìa.
Ma a parte l'abbaglio visivo, Mirabella ha creduto opportuno di intervenire sulla pronuncia della parola "pandemìa", che a suo giudizio andrebbe correttamente pronunciata (trisillabicamente) Pandèmia, perché di origine greca. Ora l'etimologia risale al francese pandémie, con l'accento tonico sull'ultima sillaba /pade'mi/ trattandosi di un franco-latinismo. E quindi la pronuncia corretta anche etimologicamente è quella corrente quadrisillabica pandemìa. Se poi l'etimo fosse stato il greco, la pronuncia quadrisillabica: -- pandemìa -- era ineccepibile. Ma il greco è da escludere perché in greco πανδημία pandemia significa solo "tutto il popolo" senz'alcun cenno all'idea, centrale, di 'malattia' (come abbiamo cercato di chiarire nell'intervento n. 64 del 28 aprile). E sorvoliamo sul fatto che pandèmia, trisillabico è agg. letterario, questo sì greco-latinismo, con tutt'altro significato, per es. in Venere pandemia ('prostituta'), o casa pandemia (dantescamente 'bordello'), come indicato nell'intervento n. 61 del 25 aprile.


 1.3. "Straniamento" o "frequenza" covid-ica?
Richiesto di evidenziare l'impatto del coronavirus sulla lingua italiana, Patota ha voluto indicare col termine letterario "straniamento" un effetto della presenza del virus sulla lingua italiana, esemplificato con ess. quali "persona positiva/negativa" e "tamponamento".
Una persona positiva ha una valenza negativa (ha sottolineato Patota) indicando qualcuno che presenta la patologia ricercata mediante un esame o analisi, che è quindi risultato "positivo" a tale test. Tale fenomeno non è invero un effetto di "straniamento" causato dal covid. In realtà, in italiano il termine positivo presenta già (1) la valenza comune ('favorevole', 'valida') dell'agg., accanto (2) alla valenza propria del linguaggio settoriale della medicina e della biologia. E tale valenza tecnica in seguito al covid, è diventata certamente molto frequente, diffondendosi nell'uso comune. Lo stesso vale per negativo detto nel linguaggio biol. e medico di "paziente, in cui non si riscontra la patologia ricercata", fortunatamente; mentre una persona negativa nel linguaggio comune indica 'chi non è positivo; o è incline al pessimismo'.
Analogamente, il tamponamento in quanto termine settoriale del linguaggio medico, già codificato, per indicare l'applicazione di  un tampone/batuffolo per es. nel naso o nella bocca dell'uomo per rilevare la presenza o meno di un coronavirus, è diventato molto frequente nell'uso comune in questi tre mesi di pandemia covidica. E non si tratta di un fenomeno di "(e)straniamento" rispetto al non-tecnico tamponamento in quanto "urto di un veicolo contro la parte posteriore di un altro che lo precede".

1.4. Anglicismi integrali o 'crudi' 
La pandemia del coronavirus/covid-19 ha comportato, come avevamo indicato (in "Anglicismi à gogo", intervento n. 52 del 4 aprile) una diffusione (per Mirabella "esagerazione", "sudditanza pigra" e per Patota "provinciale") di anglicismi integrali, legati al fenomeno e al prestigio culturale dell'inglese/anglo americano. Non poteva quindi mancare un accenno al lockdown, giudicato "clamoroso", ma ormai diffusissimo, di cui nella logica neopuristica del cruscante Patota sono stati proposti traducenti quali "isolamento", "blocco", "chiusura".
E così anche per "fake news", diffusissime lessicalmente e (ahimè) referenzialmente, si è ricordato il traducente (romanesco) 'bufala', mentre in TV apparivano i messaggi "Attenzione alle false notizie" e "A caccia di fake news".
Patota non si è lasciato sfuggire il "recovery fund" -- pronunciato /faʊnd/ come se fosse stato "recovery found" con il sost. fund /fnd/ confuso da tanti parlanti colti non anglofoni con il part. pass. found /faʊnd/ 'trovato', -- per il quale ha proposto il traducente "fondo per la ripresa, fondo di recupero".
Ha ricordato ancora il composto covid manager, usato a Milano con riferimento ai mercati comunali, anglicizzante per via dell'ordine dei due costituenti, in luogo di 'manager del covid'.
E dinanzi al jogging, sfuggito a Mirabella, ha riproposto il termine il "trotterello" indicato a suo tempo da A. Castellani, ma ignorato anche nel Garzanti-Patota (2013) e nel Devoto-Oli-Serianni-Trifone 2019, che pure nella apposita rubrica "Per dirlo in italiano" non manca di indicare l'equivalente italiano per altri stranierismi. 

      1.5 Tolleranza "neopuristica" per gli adattamenti
Invece, nei riguardi di monitorare e fittare 'adattare' (< ingl. to fit), detto delle mascherine filtranti facciali, perfettamente aderenti al viso, ricordati l'uno dal conduttore P.L. Spada (e accolto dai dizionari, il Garzanti-Patota incluso) e il secondo dal virologo ospite della trasmissione Nicola Petrosillo (neologismo, decisamente più recente, in attesa di essere codificato nei dizionari), -- il "neopurista" (non "purista") Patota è stato più tollerante dinanzi a voci "diventate italiane", ovvero anglicismi sì ma adattatti fonologicamente e graficamente alla struttura dell'italiano.

        Sommario
          1. L'evento
          1.1. "Allucinazione visiva"
          1.2. Pronuncia vera, ed etimologia di pandemìa
          1.3. "Straniamento" o "frequenza" covid-ica?

1.4. Anglicismi integrali o 'crudi' 
1.5. Tolleranza "neopuristica" per gli adattamenti















3 commenti:

Luca ha detto...

Intervento interessantissimo. Da osservatore che il prof. Sgroi definirebbe "laico", alcune osservazioni:

1) Non sono convinto che bufala e fake news siano equivalenti. Bufala mi fa pensare ad una notizia nata falsa per caso. Fake news mi fa pensare all'opera "inquinante" di menti raffinate che creano quelle notizie a tavolino per uno scopo preciso e strutturandole in modo da nascondersi bene tra le notizie vere.

2) Proprio oggi Claudio Pagliara (corrispondente Rai da New York) ha twittato: "New York in confinamento, sofferenza e solidarietà i due voli della città che non dorme mai costretta dal virus ad un lungo sonno" e io, che pure sono consapevole della discussione in corso, ho dovuto fermarmi per una frazione di secondo per poi riemergere vittorioso dai miei pensieri: "Ah! Lockdown!" Insomma, temo che su lockdown i dotti cruscanti si debbano arrendere. Oramai è come wifi. Va preso così. Del resto, "clausura" mi fa venire in mente la monaca di Monza (anche se un libro intitolato "The Lockdown Nun" potrebbe rivelarsi un bestseller se affidato a Dan Brown).

3) La confusione fund/found potrebbe essere rivelatrice di un aspetto interessante: i professor(on)i tuonano un giorno sì e l'altro pure contro l'inglese, ma siamo sicuri che loro l'inglese lo conoscano? Lo chiedo perché la mia personale opinione è che un uomo di scienza oggigiorno non possa esimersi da una discreta conoscenza dell'inglese quantomeno scritta.

Saluti a tutti

S. Claudio Sgroi ha detto...

Il rilievo del dr. Passani riguardo alla dubbia 'equivalenza' semantica "fake news = bufala", tutta giocata sul significato referenziale, si potrebbe contestare sulla scorta per es. del Diz. del De Mauro (2000) che definisce bufala (a) "notizia, affermazione falsa, spec. nel linguaggio giornalistico", la cui intenzionalità è invero implicita. Ma lo stesso De Mauro segnala (b) una seconda accezione del termine, quando indica "svista, errore grossolano", quindi non volontario, dando così ragione al dr. Passani.
Più in generale il fatto è che le lingue non sono, come si dice, "isomorfe". E i significati delle parole sono tra di loro in intersezione, il che rende sempre possibili le traduzioni inter-linguistiche, ma inevitabilmente in maniera approssimativa e perfettibile (all'infinito).
L'es. più in generale dimostra che il rifiutare (neo)puristicamente i termini (o 'doni') stranieri in base alla teoria primo-novecentesca secondo cui, se esiste già un termine italiano, è inutile accogliere uno stranierismo, è in realtà frutto di una posizione logicistica. Che non tiene conto del fatto che, da un lato la coincidenza semantica di due termini senza sbavature è del tutto astratta, ma dall'altro accanto al significato referenziale, oggettivo di un termine, c'è sempre una "connotazione", ovvero un quid che rende unico quel termine.
Nel caso specifico, "la bufala", come ricorda lo stesso De Mauro, è etimologicamente un "dialettalismo" ovvero un "Re[gionalismo]" del "roman.[esco]", mentre "la/le fake news" godono del “prestigio”, del “potere evocativo”, della “potenza espressiva” dell’anglo-americano, indirettamente riconosciuti dallo stesso Devoto-Oli-Serianni-Trifone 2019, che non osa proporre alcun sostituto come invece fa per altri stranierismi nella rubrica (neopuristica) "Per dirlo in italiano".
S.Claudio Sgroi

Claudio Antonelli (Montréal) ha detto...

La “Commissione d’arricchimento della lingua francese” ha deciso che in Francia al posto di “fake news” si dirà “infox”, neologismo creato a partire da “information” e “intoxication”. Le Monde prevede che questo termine avrà successo. Ci rende inoltre noto che la traduzione di « fake news » col termine« infox » s’imporrà a tutte le autorità amministrative francesi.
Noi abbiamo il termine “disinformazione” (i francesi hanno “désinformation”) che nessuno pero’ usa. Forse la Crusca dovrebbe formalmente « proibirlo », e allora si’ che « disinformazione » diverrebbe popolare…