domenica 15 settembre 2019

Dispensare...

Breve viaggio alla scoperta di parole omofone - parole che hanno la medesima grafia, quindi il medesimo “suono” - ma di significato completamente diverso, di cui il nostro idioma è ricchissimo. Queste parole le adoperiamo nel parlare quotidiano con la massima indifferenza, inconsciamente, senza renderci conto del fatto che uno stesso termine può assumere, appunto, significati diversi.
     Quante volte ci capita di dire frasi del tipo “apri la dispensa e prendi il pane” oppure “è arrivata la dispensa di storia dell’arte” o, ancora, “siamo in attesa della dispensa ministeriale per quanto concerne quell’affare”. Nel primo caso per dispensa si intende un locale (o un mobile) dove vengono riposte le riserve alimentari che giornalmente dovranno essere consumate. Nel secondo caso, invece, il termine indica un numero determinato di fogli di un’opera che si pubblica periodicamente. Nel terzo caso, infine, per dispensa si intende l’esonero, l’esenzione da un determinato obbligo.
     Vediamo, quindi, come si è giunti alle varie accezioni. Tutte e tre le “dispense” hanno il medesimo “padre”: il verbo latino “dispensare”, composto del prefisso “dis-” (che indica “distribuzione”) e il verbo “pensare”, intensivo di “pendere” (pesare) con il significato traslato di “pagare”, quindi “distribuire”, “concedere”, “dividere”, “somministrare”.
     La dispensa, vale a dire il locale o il mobile che contiene i generi alimentari, è così chiamata perché vi si custodiscono gli alimenti che quotidianamente verranno, per l’appunto, “dispensati”, cioè “distribuiti”. La raccolta di una varia disciplina, di un’arte, di una scienza - i fascicoli che vediamo nelle edicole, insomma - prende lo stesso nome perché anche questa ‘dispensa’ viene “distribuita” periodicamente. E veniamo alla terza accezione.
    Dal significato originario del verbo “dispensare”, cioè “concedere”, “dare” è nato quello di “esonerare”, vale a dire ” ‘concedere’ la facoltà di non fare una cosa”, “sciogliere” da un obbligo. La dispensa ministeriale di cui parlavamo ci “concede”, quindi, la possibilità di non sottostare a un determinato dovere. Il verbo dispensare, infine, ha generato altri figli. Vediamone qualcuno.

     Dispensario: istituto ospedaliero dove si “distribuiscono” medicamenti gratuiti; dispensiere: colui che ha la cura e la sorveglianza della dispensa; dispensatore: colui che ha la facoltà di “distribuire” o di “esonerare”. Da una cosa nessuno - e lo vogliamo mettere bene in evidenza - potrà mai essere “dispensato”, cioè esonerato, soprattutto i “dispensatori” di… cultura, gli operatori dell’informazione: dallo scrivere rispettando le leggi che regolano la nostra lingua.

 
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A coloro che amano il bel parlare e il bello scrivere ricordiamo che la preposizione “su” si costruisce direttamente senza l’ausilio della sorella “di”, tranne che con i pronomi personali dove la preposizione “di” può essere o no espressa (dipende dal gusto personale). Scriveremo e diremo, quindi: il pappagallino è stato ritrovato “su” una casa diroccata (non: su di una casa); faccio affidamento “su di” te (ma anche: su te).

1 commento:

Silvano C. ha detto...

Superlativo! Dott. Raso
Grazie
Silvano (Perugia)