martedì 14 maggio 2019

Denigrare e insultare

Quando denigriamo una persona sappiamo benissimo - "per pratica" - che il suddetto verbo significa diffamare, screditare, togliere ad altri il buon nome con volontaria malizia. Quando denigriamo qualcuno, dunque, gli "togliamo il buon nome". Ma come? Tingendolo di nero.
     Il verbo in questione, infatti, vale - propriamente - "tingere di nero" venendo pari pari dal latino denigrare, composto con la particella intensiva de e il sostantivo niger, nigri, nero. È un verbo denominale, quindi. Adoperato estensivamente nel senso di "annerire il buon nome" il verbo in oggetto ha acquisito, in lingua volgare (l'italiano), l'accezione figurata di diffamare tingendo di nero, per l'appunto, il (buon) nome di una persona.
    Quando, invece, insultiamo qualcuno, vale a dire l'ingiuriamo, l'oltraggiamo, figuratamente gli "saltiamo sopra". Anche questo verbo è pari pari il latino insultare, forma intensiva di insilire, "saltar su", composto con la particella in (su, sopra, contro) e salire, saltare. Non diciamo, infatti, sempre in senso figurato, che «quella persona mi è saltata addosso»? Vale a dire mi ha offeso, ingiuriato.
     E a proposito di ingiuria, cioè di offesa, quando la "mettiamo in atto" non facciamo altro che una "cosa ingiusta" ledendo il diritto di una persona. Questo termine, infatti, è un derivato del latino iniurius, ingiusto, formato con il prefisso in negativo (che toglie) e ius, iuris, diritto. L'ingiuria, per tanto, è «tutto ciò che è fatto in onta al diritto di qualcuno». L'ingiuria, insomma, è ogni fatto detto o scritto dolosamente allo scopo di "togliere il buon nome" a una persona ed è affine, quindi, ma non "uguale", alla denigrazione.

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