Riproponiamo un nostro intervento sull'uso
corretto degli aggettivi previo e salvo perché la "macchina burocratica" li adopera - ancora - con funzioni
improprie, per non dire errate.
Riteniamo importante spendere due parole sull’uso distorto –
e, quindi, ‘raddrizzarlo’ – di due aggettivi tanto cari ai nostri burocrati: previo e salvo.
Previo e salvo sono, come dicevamo, due aggettivi e in quanto
tali concordano nel genere e nel numero con il sostantivo cui si riferiscono. Ci capita sovente di leggere in documenti ufficiali – quelli redatti
dalla ‘macchina burocratica’ - frasi tipo “la documentazione richiesta sarà
rilasciata previo domanda scritta”; oppure “l’ufficio si riserva il diritto di
decidere in merito, salvo eccezioni previste dalla legge”. Bene. Anzi male,
malissimo. Quel ‘previo’ e quel ‘salvo’ sono maledettamente errati perché non
sono avverbi – che rimangono, ovviamente, invariati – ma aggettivi, di
conseguenza devono concordare con il sostantivo. La forma corretta deve essere,
per tanto, previa domanda scritta e salve eccezioni. Previo, insomma,
dal latino ‘prae’ (prima) e ‘via’ (strada), significa ‘inviato prima’, quindi
‘che precede’, ‘precedente’. Precedente (o previo), dunque, non è un aggettivo?
Per quale motivo debba essere considerato alla stregua di un avverbio resta un
mistero eleusino*. Qualcuno obietterà: non ci sono aggettivi adoperati con
valore avverbiale? Certamente, ma "modificano" o "precisano" un verbo,
non un sostantivo: Mario legge lento
(lentamente). Confidiamo in qualche
solone della lingua: che ci illumini in merito. Noi, piú modestamente,
consigliamo agli amanti del bel parlare e del bello scrivere – per non
sbagliare – di non scomodare questo nobile aggettivo in locuzioni assolute tipo
‘previo avviso’ e simili. Discorso pressoché identico per quanto attiene all’aggettivo
‘salvo’. Questo vocabolo – che è un aggettivo, ripetiamo – adoperato in
costruzione assoluta è forma ellittica e sta per a condizione che sia salvo. Va da sé, dunque,
che deve prendere il genere e il numero del sostantivo che lo segue. In base a
questa ‘legge linguistica’ occorre dire – per tornare all’esempio sopra citato
- [fatte] salve [le] eccezioni
previste dalla legge perché è la
forma ellittica di [a condizione che siano] salve [le]
eccezioni. Pedanteria? No, a nostro modo di vedere: uso corretto della lingua
di Dante.
* Qui
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La parola proposta da questo portale e non a lemma nei
vocabolari dell'uso: appancacciarsi.
Verbo denominale parasintetico* tratto da "panca": oziare seduto
comodamente su una panchina.
* Qui
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Nota
* Qui
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Nota
Il cortese lettore Gualberto
Alvino ci ha fatto notare - nei commenti - che «"salvo", con valore di preposizione, è invariabile
ed equivale a "tranne", "fuorché". Digitando in Google
Libri la stringa "salvo le" si ottengono 200.000 risultati». Ne
prendiamo atto, e lo ringraziamo. Il vocabolario Treccani in rete riporta,
infatti, alla voce in oggetto:«Con valore di prep., invar., eccetto,
fuorché, tranne: sono stati promossi tutti, salvo due o tre; siamo d’accordo su ogni punto salvo la cifra (o anche: salvo che sulla cifra)».
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2 commenti:
D'accordo quanto a "previo", ma "salvo", con valore di preposizione, è invariabile ed equivale a "tranne", "fuorché". Digitando in Google Libri la stringa "salvo le" si ottengono 200.000 risultati.
Gualberto Alvino
Cortese Gualberto,
ne prendo atto e la ringrazio.
FR
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