venerdì 4 gennaio 2019

Due aggettivi adoperati, "abusivamente", in funzione avverbiale

Riproponiamo un nostro intervento sull'uso corretto degli aggettivi previo e salvo perché la "macchina burocratica" li adopera - ancora - con funzioni improprie, per non dire errate.

Riteniamo importante spendere due parole sull’uso distorto – e, quindi, ‘raddrizzarlo’ – di due aggettivi tanto cari ai nostri burocrati: previo e salvo.
Previo e salvo sono, come dicevamo, due aggettivi e in quanto tali concordano nel genere e nel numero con il sostantivo cui si riferiscono. Ci capita sovente di leggere in documenti ufficiali – quelli redatti dalla ‘macchina burocratica’ - frasi tipo “la documentazione richiesta sarà rilasciata previo domanda scritta”; oppure “l’ufficio si riserva il diritto di decidere in merito, salvo eccezioni previste dalla legge”. Bene. Anzi male, malissimo. Quel ‘previo’ e quel ‘salvo’ sono maledettamente errati perché non sono avverbi – che rimangono, ovviamente, invariati – ma aggettivi, di conseguenza devono concordare con il sostantivo. La forma corretta deve essere, per tanto, previa domanda scritta e salve eccezioni. Previo, insomma, dal latino ‘prae’ (prima) e ‘via’ (strada), significa ‘inviato prima’, quindi ‘che precede’, ‘precedente’. Precedente (o previo), dunque, non è un aggettivo? Per quale motivo debba essere considerato alla stregua di un avverbio resta un mistero eleusino*. Qualcuno obietterà: non ci sono aggettivi adoperati con valore avverbiale? Certamente, ma "modificano" o "precisano" un verbo, non un sostantivo: Mario legge lento (lentamente).  Confidiamo in qualche solone della lingua: che ci illumini in merito. Noi, piú modestamente, consigliamo agli amanti del bel parlare e del bello scrivere – per non sbagliare – di non scomodare questo nobile aggettivo in locuzioni assolute tipo ‘previo avviso’ e simili. Discorso pressoché identico per quanto attiene all’aggettivo ‘salvo’. Questo vocabolo – che è un aggettivo, ripetiamo – adoperato in costruzione assoluta è forma ellittica e sta per a condizione che sia salvo. Va da sé, dunque, che deve prendere il genere e il numero del sostantivo che lo segue. In base a questa ‘legge linguistica’ occorre dire – per tornare all’esempio sopra citato - [fatte] salve [le] eccezioni previste dalla legge perché è la forma ellittica di [a condizione che siano] salve [le] eccezioni. Pedanteria? No, a nostro modo di vedere: uso corretto della lingua di Dante.

* Qui

***
La parola proposta da questo portale e non a lemma nei vocabolari dell'uso: appancacciarsi. Verbo denominale parasintetico* tratto da "panca": oziare seduto comodamente su una panchina.

* Qui

-------------------

Nota


Il cortese lettore Gualberto  Alvino ci ha fatto notare - nei commenti - che «"salvo", con valore di preposizione, è invariabile ed equivale a "tranne", "fuorché". Digitando in Google Libri la stringa "salvo le" si ottengono 200.000 risultati». Ne prendiamo atto, e lo ringraziamo. Il vocabolario Treccani in rete riporta, infatti, alla voce in oggettoCon valore di prep., invar., eccetto, fuorché, tranne: sono stati promossi tutti, salvo due o tresiamo d’accordo su ogni punto salvo la cifra (o anchesalvo che sulla cifra)». 

----------------

Non si pubblicano commenti anonimi



2 commenti:

Anonimo ha detto...

D'accordo quanto a "previo", ma "salvo", con valore di preposizione, è invariabile ed equivale a "tranne", "fuorché". Digitando in Google Libri la stringa "salvo le" si ottengono 200.000 risultati.
Gualberto Alvino

Fausto Raso ha detto...

Cortese Gualberto,
ne prendo atto e la ringrazio.
FR