Dalla dott.ssa Ines Desideri riceviamo e volentieri
pubblichiamo.
“… come labirinti,
con una porta sola e mille ambagi” (“Laudi del cielo del mare della terra e
degli eroi”, G. D’annunzio).
“… né per ambage, in che la gente folle già s’inviscava”
(XVII Canto, “Paradiso”, D. Alighieri)
Il vocabolo “ambage” - così come viene usato da D’annunzio -
sta per “Giro, Laberinto, Andirivieni”. Proviene dal latino “ambages da ‘amb’,
attorno e perciò da una parte e dall’altra e ‘agere’, spingere, condurre. […]
ma oggi si usa solo figurat. Per Lungo e intricato giro di parole, di pensieri,
che oscura il senso, anziché spiegarlo” (O. Pianigiani).
È infatti nel senso
figurato del termine che troviamo un illustre esempio nei versi di Dante.
“… ma oggi si usa solo figur.”, scriveva il Pianigiani. A
dire il vero il vocabolo “ambage” non si usa più: è stato relegato in soffitta,
insieme ai numerosi termini dal gusto aulico, di cui il nostro dottor Raso è
uno zelante ricercatore.
Al contrario, è quanto mai attuale dire o parlare “per
ambagi”, purtroppo: basti, a mo’ di esempio, il linguaggio della politica.
“Dire” e “parlare” non sono sinonimi: si è detto e ripetuto
molte volte, forse vanamente.
Vorrei sottolineare
la caratteristica che principalmente differenzia i due vocaboli, ossia
l’estensione temporale dell’azione: “dire” ha un’estensione temporale molto
breve (una frase, una risposta), mentre “parlare” si riferisce a un
eloquio che si prolunga nel tempo, il
tempo che - seppur limitato talvolta a pochi minuti – è necessario per
argomentare, narrare, descrivere,…
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