Ecco un termine che si potrebbe definire “polisemico-metaplastico” (due significati e cambio di genere): pianeta. Questo lessema, dunque, può essere maschile e femminile e nella forma plurale segue la normale “legge” della formazione del plurale (desinenza “-i” per il maschile ed “-e” per il femminile). Il maschile indica il globo terracqueo, chiamato pianeta, dal greco antico “planetes” (vagabondo, errante) in quanto, nei tempi andati (secoli e secoli fa), gli studiosi di astronomia avevano notato che alcuni corpi celesti si muovevano (erranti) rispetto alle stelle fisse. Il globo terreste (terra), dunque, è chiamato pianeta perché come gli altri “vagabondi”, “erranti” corpi celesti orbita attorno al Sole. La pianeta, il paramento liturgico indossato dai sacerdoti durante la celebrazione della messa viene, invece, dal latino tardo “planeta(m)” e in origine designava un mantello (per la pioggia) chiuso da tutte le parti ad eccezione della sommità per permettere il passaggio della testa. In seguito fu accorciato, tagliato ai fianchi fino ad assumere la forma di uno scapolare.
***
La lingua “biforcuta” della stampa
Dalila Di Lazzaro: «La mia prima volta rimasi incinta. I miei genitori mi cacciarono di casa. Mio figlio morto a 22 anni è stata la cosa più bella che ho avuto»
------------------
La cosa più bella il figlio morto? Non sarebbe stato il caso, per evitare fraintendimenti o ambiguità, di mettere “morto a 22 anni” fra due virgole? Mio figlio, morto a 22 anni, è stata la cosa più bella che ho avuto. Ma tant’è.
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
Nessun commento:
Posta un commento