di Salvatore Claudio Sgroi
1. Il futuro interdetto al siciliano?
Nel libro-inchiesta La Sicilia come metafora. Intervista di Marcelle Padovani, L. Sciascia (1979) stabiliva una (invero assurda) correlazione tra la mancanza di ottimismo quale tratto della psicologia dei siciliani (in primo luogo) e (in secondo luogo) la (presunta) mancanza del futuro grammaticale nel dialetto siciliano:
“la paura del domani e l’insicurezza qui da noi sono tali, che si ignora la forma futura dei verbi. Non si dice mai: ‘Domani andrò in campagna’, ma dumani, vaju in campagna ‘domani vado in campagna’. Si parla del futuro solo al presente” (p. 45).
Questa riflessione pseudo-scientifica è avanzata stabilendo una pseudo-circolarità psico-linguistica tra (in primo luogo) mancanza di ottimismo e (in secondo luogo) presunta mancanza del futuro grammaticale in siciliano:
“Così, quando mi si interroga sull’originario pessimismo dei siciliani mi vien voglia di rispondere: ‘Come volete non essere pessimista in un paese dove il verbo al futuro non esiste?’”(ibid.).
1.1. Sciascia (1982, 19841, 1990)
Tale concezione viene ribadita da Sciascia in Kermesse (1982 sub ’nguliari p. 46) e in Occhio di capra (1984 pp. 85-86):
“‘ti ’ngulìu’, ti farò addolcire la gola (qui e da osservare che nel dialetto siciliano i verbi, le azioni, non sono mai al futuro; fatto linguistico-esistenziale di grande rilevanza; uno di quei fatti che dice tutto” (ried. 1990 pp. 102-103; ried. in Opere a c. di P. Squillacioti, Adelphi 2013, vol. II, t. I, pp. 1999-2000, ma senz’alcun commento nelle “Note” pp. 1419-31).
2. Denis Mack Smith (1970)
Di credere in questo presunto “fatto linguistico-esistenziale di grande rilevanza”, Sciascia era però solo indiretto responsabile, in quanto non faceva che riprendere tacitamente tale suggestione dalla Storia della Sicilia medievale e moderna di Denis Mack Smith (Laterza 1970), non sapremmo dire da chi a sua volta ispirata:
“In un’economia in cui tutto era precario, un comune lavoratore della terra non poteva mai fare programmi per l’avvenire, neanche a breve scadenza. Forse la mancanza del futuro nel dialetto siciliano era espressione di questa difficoltà a pensare al domani” (p. 424).
3. Guy Deutscher (2010)
Leggendo ora il volume di Guy Deutscher La lingua colora il mondo. Come le parole deformano la realtà (2010), ritroviamo la stessa idea, senz’alcuna fonte bibliografica, pur essendo il testo corredato di una ricca bibliografia internazionale (pp. 301-27):
“Alcune lingue non hanno neppure il futuro grammaticale, sicché coloro che le parlano per forza di cose non hanno la cognizione del futuro” (tr. it. Bollati 2013 p. 7).
4. Il siciliano senza “futuro grammaticale”?
Riguardo al problema del futuro, com’è noto, in italiano si può dire (i) io parto (ora) (pres.) vs (ii) io parto domani (pres. con avv. “indicante un futuro non lontano”, futuro lessicale) vs (iii) io partirò (futuro sintetico, tout court) vs (iv) devo partire (presente deontico).
Nel sic. moderno si può dire invece (i) ju partu (pres.) ‘io parto’ vs (ii) ju partu dumani ‘parto domani’ (pres. + avv. futuro, futuro lessicale) vs (iii) ju aj’a partiri lett. ‘io ho a/da partire; devo partire’ ovvero un “futuro-deontico, di necessità, perifrastico, analitico”.
Se dal confronto dell’it. col sic. ci si aspetta di trovare in sic. il “futuro sintetico”, si potrebbe dedurre che nel sic. manca “il futuro”. Ma la presenza del “futuro perifrastico” non può in realtà autorizzare a sostenere che in sic. manca il futuro. Invero, sia l’italiano che il sic. hanno un diverso futuro: sintetico quello dell’italiano, e analitico/perifrastico quello del siciliano. Nel siciliano il futuro quindi esiste ed è ben vitale. La correlazione di tale presunta mancanza morfologica col pessimismo dei siciliani è solo fantasmatica, indimostrabile da ogni punto di vista.
5. Il futuro in latino e in italiano
Com’è noto, nel lat. classico il futuro morfologico, per es. am/abo, può essere definito – in termini sincronici – di tipo «sintetico», esattamente come in it. am/erò. Nel lat. parlato dell’epoca imperiale, e nel VI e VII sec., esisteva anche la forma cantare habeo, venio ad cantare, habeo ad cantare «largamente usata nel parlato, anche se evitata nella scrittura». Che è un «tipo di futuro», perifrastico, analitico.
Se sincronicamente l’it. amer-ò è un futuro sintetico, diacronicamente però si spiega a partire dalla forma perifrastica, analitica lat. «amare + habeo» > amer-ò.
6. Diacronia del futuro in siciliano
La forma perifrastica latina «habeo ad cantare» > sic. aju a cantari è una «forma analitica» ed è «un tipo di futuro caratteristico del mezzogiorno». Semanticamente, precisa G. Rohlfs nella sua Grammatica storica, «si tratta d’una sorta di futuro in cui ancora si sottintende un poco l’idea di necessità». Geograficamente, continua Rohlfs, «i suoi centri di diffusione sono la Sicilia, la Puglia, la Lucania e l’Abruzzo»; «Al di fuori del Meridione, questo tipo di futuro si trova nel fiorentino popolare»; «inoltre in Corsica»; «Infine, questo tipo di futuro è affatto normale in Sardegna».
Riservare l’etichetta di «futuro» solo al tipo sintetico lat. class. am/abo, it. am/erò e non al tipo analitico, perifrastico «aju a cantari» e affermare quindi (con Sciascia) che nel sic. manca il futuro grammaticale, non è sostenibile in termini di teoria grammaticale.
L’equivoco dell’affermazione sciasciana nasce anche dall’es. che lui fa: «Non si dice mai: ‘Domani andrò in campagna’, ma dumani, vaju in campagna ‘domani vado in campagna’» (p. 26), quasi censurando i dati (dumani aj’a-gghiri n campagna) per una tesi aprioristica.
Là dove le forme del futuro sintetico compaiono in testi siciliani antichi, si tratta invece d’influssi letterari.
Sommario
1. Il futuro interdetto al siciliano?
1.1..Sciascia (1982, 19841, 1990)
2. Denis Mack Smith (1970)
3. Guy Deutscher (2010)
4. Il siciliano senza “futuro grammaticale”?
5. Il futuro in latino e in italiano
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
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