venerdì 27 ottobre 2023

La scranna e lo scanno



Riproponiamo un nostro vecchio intervento sullo "scanno" perché siamo stati corretti da un caro amico il quale sosteneva che la grafia corretta è "scranno", non scanno.

Gli amici lettori che ci onorano della loro attenzione sanno benissimo che non perdiamo occasione per fustigare gli operatori della carta stampata e no, i quali con i loro articoli fanno scempio della nostra bella lingua: abbiamo sempre sostenuto la tesi – e non ci interessa punto se ci ripetiamo – secondo la quale gli addetti all’informazione oltre che informare, appunto, debbono dispensare la cultura linguistica e ciò non avviene quasi mai.

Anzi, fanno di tutto per storpiare la lingua e confondere le idee alle persone sprovvedute, nonostante i reiterati appelli dell’Accademia della Crusca per un uso corretto della lingua di Dante. L’ultima smarronata – ultima si fa per dire – è di qualche giorno fa: «Il deputato regionale Caio Sempronio costretto ad abbandonare lo scranno». Dov’è cotanto errore? si dirà. Nel vocabolo scranno, che in buona lingua italiana non esiste.

Diciamo subito, "per buona pace" dei soliti bastian contrari, che alcuni vocabolari registrano questa voce, ma ciò non toglie che l’uso sia scorretto, quindi  da evitare. La voce corretta è scanno. Lo scanno (senza la r) propriamente vale sgabello, panchetto e discende dal latino "scamnum" (senza la consonante r, come si può ben vedere) divenuto in lingua volgare, l’italiano, scanno, appunto, per l’assimilazione della m e la trasformazione della desinenza -u in -o.

Chi vuol parlare e scrivere correttamente deve rispettare, quindi, l’etimologia del termine e dire scanno. Un esempio stupendo lo abbiamo in alcuni versi di Dante: «così diversi scanni in nostra vita / rendono dolce armonia tra queste rote».

Ma anche nel Muratori, studioso di filologia, abbiamo un bellissimo esempio: «L’ignoranza occupava non solamente i bassi, ma anche i più sublimi scanni». A questo punto cerchiamo di trovare una spiegazione sull’uso scorretto e dilagante, ahinoi, di scranno.

L’unica spiegazione possibile si può far risalire alla corruzione popolare del vocabolo scranna e fatta propria da alcuni dizionari della lingua italiana. La scranna, infatti, è un sinonimo di scanno ma, al contrario di quest’ultimo, è di origine barbara essendo il longobardo skranna (panca).

Originariamente era una sedia dottorale, di legno, con braccioli e con spalliera molto alta. E con questo preciso significato il termine si è mantenuto nella locuzione figurata "sedere a scranna", vale a dire assumere un tono dottorale, ergersi a giudice di qualcuno senza averne l’autorità, ma soprattutto la capacità.

Anche in questo caso abbiamo un esempio eccelso del divin toscano: «Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta di una spanna?».

Concludendo, quindi, diciamo e scriviamo scanno o scranna, lasciando lo scranno solo a color che vogliono… sedere a scranna.

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De Mauro: scanno -1a. CO sedile fornito di schienale e braccioli, per lo più di aspetto imponente, riccamente decorato, riservato a persone autorevoli investite di speciali funzioni: gli scanni del parlamento, lo scanno dell’arcivescovo

1b. LE fig., condizione, grado elevato nella gerarchia sociale; posto di potere o di onore: il valoroso giovane … disideroso di dare a sé e a’ suoi simile scanno … si mise con vigorose forze all’ammirabile impresa (Boccaccio)
2. BU estens., panca, sgabello

scranna1. CO sedia, spec. con braccioli e schienale alto, riservato in passato a personalità importanti, e perciò simbolo di eminenza o del luogo in cui è posta o della funzione che vi si esercita
2. RE centrosett., sedia, panca 

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Interessante l'etimologia del comune abruzzese Scanno. Si rifà, infatti, al latino "scamnum".


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Metterci una croce sopra

Chi adopera, ovviamente in senso figurato, il modo di dire in oggetto? Colui che considera chiuso un argomento e non vuole (o non può) tornarci piú sopra. Questa locuzione, dunque, è nota a tutti. Pochi però, forse, sanno che l’espressione è presa in prestito dai registri contabili.

Un tempo – sui registri della contabilità – le partite e i crediti non esigibili venivano segnati con una… croce a margine. Da registrare anche l’ipotesi che fanno alcuni autori secondo i quali l’espressione richiama il segno della croce che fanno i sacerdoti quando danno l’estremo saluto a un defunto. Di significato affine e di origine intuitiva la locuzione “metterci una pietra sopra”: fa pensare, naturalmente, a una pietra con la quale si chiude definitivamente un sepolcro.



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauraso@hotmail.it)


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