Le consonanti "c" e "q" sono sempre causa di dubbi sul loro corretto uso, anche in persone la cui "cultura linguistica" dovrebbe essere insospettabile, come si può vedere cliccando su questo collegamento. Siamo rimasti allibiti, infatti, leggendo "uno *squoiato" in diverse pubblicazioni. Cugino o qugino? quoco o cuoco? quaderno o cuaderno? iniquo o inicuo? Come facciamo, dunque, a dissipare i dubbi sull'uso corretto di ambe (sic!) le consonanti quando non abbiamo a portata di mano un buon vocabolario di lingua italiana? Insomma: quando "qu" e quando "cu"? Si può stabilire una "regola". All'inizio di parola sempre la consonante "q" (se dopo la "u" c'è una vocale): quando, quaderno, quintetto, quota, qualora, tranne, tassativamente, nei lemmi cui, cuoco, cuocere, cuore, cuoio (che richiedono la "c"). Negli altri casi occorre fare un distinguo: se dopo la vocale "u", sia a inizio di parola sia all'interno, c'è una consonante, sempre "cu": cucina, custode , cubo, cucito, alcuno, documento, lacustre, incuria. Si scriverà "qu", invece, se la "u" è seguita da un'altra vocale: querela, equivoco, equivalente, equino, equinozio, ventriloquo, ovunque. Si dirà: perché innocuo e proficuo prendono la "c" se dopo la "u" c'è una vocale? La risposta va ricercata nell'etimologia dei termini. Entrambi provengono dal latino: innocuus e proficuus (dove è presente, come si può vedere, la "c").
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La lingua "biforcuta" della stampa
IL CASO
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