giovedì 18 maggio 2023

"Chiacchieratelle linguistiche" (3)


 Le congiunzioni perché e poiché pur introducendo entrambe una proposizione causale con il verbo all’indicativo, a nostro modo di vedere, non si possono usare indifferentemente. La prima (perché) indica una causa che si suppone l'interlocutore non conosca: non posso venire conte te, perché debbo tornare in ufficio; la seconda (con un significato più preciso: dal momento che; dato che; visto che; siccome e simili) indica un/il motivo che si suppone l'interlocutore sia a conoscenza: poiché (visto che, dal momento che ecc.) mi costringi, ti dirò la verità. È solo una nostra pedanteria? Può darsi.

Sperando di non cadere nella pedanteria ci piace spendere due parole, due, su un aggettivo che, a nostro modesto avviso, andrebbe adoperato solo in senso proprio (anche se i vocabolari ci danno... torto): squallido.
Le cronache dei giornali sono un esempio lampante dell’uso improprio dell’aggettivo su menzionato. Il vocabolo, dunque, significa rozzo, sudicio e simili essendo tratto dal latino 'squalidus', dal verbo 'squalere' (essere aspro, ruvido).
È adoperato correttamente, quindi, in frasi tipo è proprio una casa squallida, cioè misera, rozza, arredata con mezzi di fortuna.
La stampa, ma non solo, ne fa un uso metaforico adoperandolo, a ogni piè sospinto, con considerazioni morali: «il delitto è maturato nello squallido ambiente della prostituzione; l’imputato ha svolto un ruolo di primo piano in quella squallida vicenda».
Squallido, è bene precisarlo, è tutto ciò «che si trova in uno stato d’abbandono e di miseria, tale da infondere tristezza»; l’uso eccessivo in senso metaforico ha reso quest’aggettivo... squallido. Non sarebbe il caso di adoperare, volendo fare un apprezzamento morale, i più appropriati sostituti avvilente e deprimente? «Una vicenda avvilente, un ambiente deprimente». Sappiamo benissimo di... predicare al vento. Non si sa mai, però...

Due parole, due, sul pronome riflessivo perché non sempre è adoperato correttamente.
Innanzi tutto si scrive sempre con l’accento, anche quando è seguito da stesso o da medesimo e si riferisce solo al soggetto (sia singolare sia plurale) della proposizione.
Quando non è riferibile al soggetto va sostituito con lui, lei, loro, secondo i casi; diremo o scriveremo, quindi che «il bambino già si veste da sé» e che «la mamma ha voluto che i figlioli andassero con lei».
Quando il soggetto è plurale, secondo alcune grammatiche, il può essere sostituito con loro; lo deve essere sempre, invece, quando si vuole indicare un’azione reciproca.
Sono errate, per tanto, alcune frasi che abbiamo estrapolato dalla stampa: «Il cantante, attesissimo, non sapeva che tutti parlavano di sé»; «Il mondo andrebbe meglio se gli uomini si amassero e parlassero di più tra sé».

Probabilmente poche persone sanno che il verbo irridere può essere sia transitivo sia intransitivo; tutti i vocabolari — tra quelli che abbiamo consultato — attestano solo la transitività.
Questo verbo, dunque, è transitivo quando sta per deridere, schernire e simili, e si costruisce, quindi, con il complemento oggetto: lo irrisero tutti; è intransitivo, invece, quando si adopera con il significato di mostrare disprezzo: gli astanti irrisero alla sua bontà.


 

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)


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