martedì 17 marzo 2020

“Smart working”, “lavoro agile” all’italiana


Dal dott. Claudio Antonelli riceviamo e pubblichiamo

Dai giornali: “Lo smart working deve diventare la regola…”. Ma cos’è questo “smart working”? Per gli italiani è il “telelavoro” ovvero il “lavoro da casa”, il “lavoro a distanza” reso possibile dalla telecomunicazione. Sempre dai giornali: “Smart working obbligatorio per tutti ma a 11 milioni di italiani manca la connessione”.  Io non vedo come uno spazzino potrà da casa sua, servendosi del computer, spazzare strade e piazze. Ma il magico inglese maccheronico degli italiani sembra rendere tutto possibile. La produttività in Italia non ha fatto che declinare in questi ultimi lustri? In Italia si pensa che adottando lo “smart working” il lavoratore della penisola riuscirà a recuperare, rimanendo a casa, il tempo fin qui da lui perduto sul posto di lavoro.
In realtà, “smart working” indica nella lingua originaria inglese il semplice lavorare in modo molto razionale in maniera da aumentare i risultati e risparmiare gli sforzi. Certo che la tecnologia è d’aiuto in questi casi, ma persino due taglialegna che sfruttando la coordinazione del proprio lavoro riescono ad abbattere piu’ alberi in meno tempo fanno dello “smart working”. Un altro esempio di “smart working” è quello del “lavoro flessibile”, ossia di un lavoro i cui orari essendo elastici agevolano  gli impegni familiari del lavoratore. Quindi “smart working” ha un significato molto ampio in inglese poiché si riferisce al “lavorare in maniera intelligente”, e non semplicemente al lavorare da casa usando la tecnologia, come intendono gli italiani.
La Crusca propone “lavoro agile” al posto di “smart working”. Ma l’espressione “lavoro agile” appare adatta a descrivere più il lavoro circense o quello dei borseggiatori che il lavoro fatto da casa col computer. Ma cosa volete: “lavoro agile” è la traduzione in italiano sbagliata di un’espressione inglese, “smart working”, intesa anch’essa in senso sbagliato.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: “Lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.
Una definizione di smart working molto più sintetica: “Lavorare da remoto (usando ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).” La perla linguistica “lavorare da remoto” che i nostri burocrati usano al posto di “lavorare da lontano”, “lavoro a distanza”  sembra introdurre la nozione di un “aldilà” lavorativo di cui certo non sospettavamo l’esistenza.
Il vero e proprio lavoro da casa è chiamato dagli anglofoni “work, working from home”, “work-at-home”,“remote working”, “telework”, “teleworking”, “telecommuting”, etc  . I francofoni, da parte loro, usano il termine “télétravail”.
Perché gli italiani non usano allora “telelavoro” oppure “lavoro da casa”, “lavoro a distanza” invece di “smart working”? Per la stessa ragione per cui chiamano “rider” il galoppino o fattorino in bicicletta e “writer” il graffitaro o imbrattamuri: usano un inglese mal masticato e mal inteso che dà loro, pero’, un gran godimento.
A questo punto allora io oserei proporre un  termine inglese molto appropriato: “smart-ass”. Non c’è che dire: gli italiani si rivelano degli “smart-ass” nel loro scimmiottamento della parlata americana. E difatti essi parlano di “flash mob” per designare  il divertente teatrino canoro dalle finestre e dai balconi, che avviene in questi giorni di  forzata reclusione collettiva causata dal coronavirus.
Concludendo su una nota un po’ più ottimistica, osservo con soddisfazione che in questo teatrino improvvisato in cui si suona e si canta, e che non è un “flash mob”, è assente il lugubre “rap”, altra manifestazione della ridicola fregola imitativa che infetta la Penisola.


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