lunedì 3 aprile 2017

Una squallida vicenda


Molto spesso, nelle nostre noterelle, portiamo all'attenzione dei  lettori un termine relegato nella "soffitta della lingua", che vorremmo "rispolverato" e rimesso a lemma nei vocabolari dell'uso. Questa volta, invece, proponiamo il contrario. Releghiamo nella soffitta l'aggettivo "squallido" perché consunto dall'uso improprio/errato che ne fa la stampa a ogni piè sospinto. Squallido etimologicamente vale "rozzo", "sudicio" e simili provenendo dal verbo latino "squalere" (esser ruvido, aspro) ed è bene adoperato solo in senso proprio: una stanza squallida, vale a dire misera, rozza, arredata con mezzi di fortuna. Molto spesso (per non dire sempre) i giornali ne fanno un uso metaforico (con considerazioni morali): il delitto è maturato nello 'squallido' ambiente della prostituzione; oppure: l'imputato ha svolto un ruolo di primo piano in quella 'squallida' vicenda. Squallido, è bene ripeterlo, è tutto ciò "che si trova in uno stato d'abbandono e miseria, tale da infondere tristezza"; l'eccessivo uso metaforico ha reso quest'aggettivo... "squallido". Non sarebbe bene, quindi, relegarlo in soffitta e adoperare, volendo fare un apprezzamento morale, i piú appropriati "sostituti" come avvilente, deprimente e simili? Diremo, quindi, un ambiente deprimente, una vicenda avvilente. Sappiamo benissimo di "predicare al vento". Però, non si sa mai...
Vediamo, in proposito, ciò che dice il Pianigiani, anche se non è ritenuto molto credibile.
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L'aggettivo unionale  ha ricevuto la benedizione dell'Accademia della Crusca.

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