lunedì 17 aprile 2017

Norma ortografica e competenza linguistica. S.C. Sgroi


di Salvatore Claudio Sgroi *

È indubbio che, nella cultura italiana e non solo, un errore ortografico suscita spesso nel lettore una severa censura. E se l'errore può essere giustificato come "lapsus" in uno scrittore, non lo è certamente per il comune scrivente.
Eppure, l'errore di ortografia raramente può compromettere la comprensione di un testo, a differenza di un errore lessicale, o sintattico o testuale con contraddizioni, controsensi, oscurità, salti logici di tipo diverso. Il che dovrebbe far riflettere sull'opportunità di dedurre dal banale errore ortografico la "incompetenza linguistica" tout court. La riprova che l'errore ortografico è in realtà un errore, sì ma "veniale", è fornita proprio dagli scrittori, che non sono esenti da peccati ortografici, magari corretti, tacitamente o meno, da solerti editori.
La esemplificazione è agevole e facilmente arricchibile da parte del lettore.
Nell''800 c'è Verga: «diriggere un giornale» (1882), «diriggere le prove» (1882 e 1885), «diriggere l’esecuzione» (1888), «t’immaggini» (1878), «leggittimo» (1888), «leggittima aspettativa» (1876), «il privileggio» (1882); -- «cominciavo a dubbitare» (1887), «Non dubbiti»; -- «non transiggo» (1888), «Diriggo la presente a Catania» (1902); -- il segnaccento (di frase): «Te ne dò notizia» (1872), «Ti dò ancora a te questo altro incomodo del recapito» (1883); − su «quì» nei "Malavoglia" (1881) e su «quà» nel "Mastro-don Gesualdo 1888"; -- l’omissione del segnaccento sull’avverbio «si» (per ) ancora nel "Mastro".
Non diversamente Luigi Capuana: «esiggere delle migliaia di lire» (1881), «tale presaggio» (1879), «un tubo di latta siggillato» (1883); -- «Io lo esiggo» (1884), «con la salute non transiggo» (1883); -- il segnaccento:  «io non dò un’occhiata al ms!» (1882), «io mi dò di sprone ai fianchi» (1882), «Intanto ti dò una preghiera» (1883).
E pure L. Pirandello: «induggia» (1889?); -- «Non dubbitare, non dubbitiate, miei cari» (1890); -- «malandrini e biricchini» (1886), col derivato «biricchinata»; -- «anzicchè» (1891).
Il suffissato «ingegn-iere» per "ingegnere" è in Capuana: «potresti fare l’ingegniere e arricchirti» (1888). Nel '900 continua con L. Sciascia in "Il signor T protegge il paese" (1947): «un ingegniere francese», «un ingegniere ricco», e ne "La trovatura" (1961): «ingegnieri inglesi», «quell’ignegniere» (puristicamente emendati nella ried. adelphiana del 2010 pp. 209 e 197).
Il «qual'è», si potrebbe dire, è oggetto di continuo "stalking". Ma il qual'è si trova in scritti di due presidenti dell'Accademia della Crusca. G. Nencioni 1945: «Ma cos’è, in concreto la storia d’una lingua? Qual’è [sic!] il suo oggetto, quali i suoi limiti?» (Lezioni di Glottologia, Roma, p. 208). E G. Devoto 1955: «Qual'è la differenza tra dialetto e lingua?» (Il passaggio dal dialetto alla lingua, in "Scuola di base", p. 41). Senza dire dell'es. ne La grammatica degl’Italiani di Trabalza-Allodoli (1934): «l’interpunzione, qual’è stata stabilita» (p. 332), non refuso in quanto ritorna in tutte le riedizioni (fino al 1952).
Negli scrittori del Premio Strega ben 12 sono le occorrenze di «qual'è/qual'era» in 9 autori: da Berto (1947) a Parise (1965), passando per Palazzeschi (1948), Malaparte (1950), Moravia (1952), Calvino (1952), Morante (1957), Tobino (1962), Arpino (1964).
Inevitabilmente, l'apostrofo può "far senso" nell'es. «un'idioma» (col valore di "un'espressione idiomatica"), ripetuto due volte, in un saggio accademico (La linguistica italiana 1997-2010, Bulzoni 2013, p. 871), femminilizzato per (sospetta) influenza dell'87% dei femminili in "-a". Nello stesso scritto appare anche (due volte) «la sessione» del saggio (pp. 860, 861), con estensione semantica, a dir poco "osé(e)", del significato di «sessione» da temporale ("periodo") a spaziale ("sezione, paragrafo, §"). Errore non ortografico (di origine emiliana) ma semantico, decisamente popolareggiante.
Diciamo subito, per tranquillizzare il lettore e fugare il sospetto del "buonismo ortografico", che per conseguire una buona competenza ortografica, la strategia più redditizia sembra essere quella della (banale) abituale lettura. Chi legge poco è più portato a sbagliare la (orto)grafia delle parole. Grazie alle buone letture il parlante si abitua a interiorizzare la corretta corrispondenza "significato"/ "significante ortografico", ovvero a passare dal significante sonoro/ a "quello ortografico". È esperienza comune accertarsi della correttezza grafica di una parola non tanto pronunciandola quanto piuttosto vedendola scritta. Diciamo /abbile/, /raggione/, /azzione/, /penzare/, ma le (orto)grafie che si trovano leggendo sono quelle canoniche con una sola consonante o col nesso  'ns' . Ovviamente le parole rare o poco note sono a rischio, in quanto suscettibili di andare incontro a inconvenienti grafici, per es. "la recenZione (di un libro)"; "la intenSione (dei logici)" ma "la intenZione del parlante". Le regole esplicite, di ordine etimologico o funzionale (interferenza con la pronuncia regionale), possono naturalmente favorire l'apprendimento, ma solo secondariamente, e sviluppano più che altro i livelli cognitivi e metalinguistici dello scrivente. (Al riguardo una lettura salutare per tutti gli insegnanti dovrebbe essere il vecchio ma insuperato e attualissimo saggio del 1969 di T. De Mauro, "Scripta sequentur (a proposito degli «sbagli» di ortografia)", ristampato per es. in Scuola e linguaggio, Editori Riuniti 1977, pp. 55-65).
In altra occasione proveremo a indicare dei criteri di valutazione (con i voti) degli "errori/sbagli" di ortografia. Che non dovrebbero insomma impedire di valutare la validità del contenuto di un testo. Il problema vero del parlante, scrittore o meno, è quello della "verbalizzazione" del trovare cioè le parole più adatte per dare forma ai propri pensieri, in maniera soddisfacente e comprensibile per sé e per gli altri. Un lavorio 'eterno' e perfettibile, all'infinito. I "nèi" ortografici per brutti che siano sono solo dei "nèi".


* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania

Autore tra l'altro di
--Per una grammatica ‘laica’. Esercizi di analisi linguistica: dalla parte del parlante (Utet 2010);
-- Scrivere per gli italiani nell'Italia post-unitaria (Cesati 2013);
--Dove va il congiuntivo?  (Utet 2013);
-- Il linguaggio di Papa Francesco. Analisi, creatività e norme grammaticali (Libreria Editrice Vaticana 2016)

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