sabato 8 aprile 2017

Aver cotto il culo ne' ceci rossi


Abbiamo deciso di trattare questo modo di dire, per la verità desueto e volgare - e ci scusiamo con i nostri lettori - perché nonostante la sua "vetustà" resta sempre di... attualità. Coloro che hanno quella parte del corpo "cotta ne' ceci rossi" sono molto furbi perché ricchi di esperienza e il mondo  è sempre stato dei furbi. L'origine della locuzione non è chiara, vediamo ciò che dice in proposito Ludovico Passarini (il "re" dei modi di dire) il quale, a sua volta, chiede "lumi" a un amico "dotto":  «Cerchi l'asino, e ci vai a cavallo. Io credo, e mi par di credere il vero, che l'origine da te cercata del volgarissimo e plebeo dettato, "Aver cotto, ecc." sia una pura e semplice metafora. Il significato preciso è, "Avere molta furberia per avere molti anni sul dosso". Noi uomini diciamo sul dosso, perché gli anni ce lo fanno incurvare: e da tale incurvamento si giudica della nostra età. Le bestie non incurvano: ma essendo pelose, gli anni le spelano: e prime a perdere i peli sono le loro natiche, le quali spelate fan vedere la carne ringrinzita e rossiccia sí , che pare abbia preso il colore de' ceci rossi,  e che le siano state cotte con questi. Avrai pur visto, amico mio curiosetto, qualche volta le natiche delle vecchie gatte, delle volpi, delle scimmie e simili bestie: non ti accorgesti che sono davvero del colore de' ceci rossi? Ebbene:  da queste io penso sia stata presa la metafora, e formato il modo predetto per dire ad uno, "È furbo l'amico; perché ha molta esperienza", sinonimo degli altri modi, "È volpe vecchia", "Ha pisciato in piú nevi", "È  putta scodata" e "Sta in cervello"».  Anche il Lasca - uno dei fondatori della Crusca - riporta il modo di dire in una delle sue opere: "Non è il far la salciccia, come molti forse stimano, cosa debole e leggiera, ma come dice il poeta, chi vuol ben farla, conviene sia un uomo pratico, sperimentato, e che abbia cognizione di molte cose; e, per dirla in proverbio,  bisogna ch'egli abbia cotto il culo ne' ceci rossi, e pisciato in piú d'una neve, e, se fosse possibile, nevicato ancora, ecc.".  

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Contrariamente a quanto credono  molte persone, l'aggettivo e sostantivo "spilorcio", che significa avaro, non è voce dialettale romanesca, ma italiana. La sua origine, però, è sconosciuta ai vocabolaristi (nessun dizionario in nostro possesso riporta, infatti, l'etimologia). Vediamo cosa dice Ottorino Pianigiani, anche se non è ritenuto molto attendibile. Le note linguistiche al "Malmantile racquistato" (un poema burlesco) dicono in proposito: «Spilorceria: sordidezza, avarizia. [È probabile che] questa parola venga da "pilorci", che i pellicciai chiamano quei ritagli di pelle, che, non essendo buoni a mettere un'opera, gli riducono in spazzatura, la quale poi vendono per governare i terreni».

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Sempre per la serie "la lingua biforcuta della stampa", leggiamo da un quotidiano in rete:
[...] secondo quanto si apprende entrambi i conducenti dei mezzi sono stati trasportati in ospedale: il motociclista di 43anni è ricoverato in prognosi riservata [...].
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La prognosi, non ci stancheremo mai di ripeterlo, non è un reparto ospedaliero ma - come recitano i vocabolari - «la previsione circa il decorso e l'esito di una malattia o di un trauma». Quindi, correttamente, "il motociclista di 43 anni è ricoverato CON prognosi riservata".

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