Gentilissimo dott. Raso,
mi sono imbattuto per caso nel suo meraviglioso sito, cercavo una risposta a un dubbio linguistico che mi assillava da tempo: se con i cosiddetti verbi meteorologici si possono usare indifferentemente gli ausiliari essere e avere. L'ho sciolto grazie al suo impareggiabile blog, che ho messo subito tra i preferiti. Mi prendo l'ardire di scriverle per un quesito: esiste il termine "anedonia"? e se esiste che cosa significa. Ho trovato questo vocabolo leggendo una vecchia rivista. Ho "interrogato" tutti i vocabolari in mio possesso e quelli in rete, ma non ho avuto alcuna risposta. Confido in lei. Grazie in anticipo se avrà la bontà di rispondermi e ancora complimenti per il suo indispensabile sito.
Cordialmente
Federico B.
Palestrina (RM)
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Cortese Federico, la ringrazio di cuore per le sue belle parole, fa sempre piacere ricevere apprezzamento per il proprio lavoro. Quanto al suo quesito ha ragione, il termine in questione non è attestato nei vocabolari (lo riporta solo il De Mauro, se non cado in errore). Esiste, comunque; è di provenienza classica (greca) ed è adoperato in ambito medico con il significato di "perdita o assenza della sensazione di piacere", soprattutto sessuale. Veda qui.
venerdì 30 agosto 2013
giovedì 29 agosto 2013
Il retrobocca?
A nostro modo di vedere il sostantivo "retrobocca" è di genere femminile con il rispettivo plurale, anche se siamo smentiti dai vocabolari consultati, che attestano il termine di genere maschile e invariabile. Perché femminile? Perché nella nostra lingua tutte le parole formate con il prefisso "retro-" prendono il medesimo genere del vocabolo che segue il prefisso. Tra i vocabolari esaminati sono decisamente per il maschile: il DOP, il GRADIT, il Devoto-Oli, il Treccani, Sapere.it (Garzanti linguistica) e lo Zingarelli, quest'ultmo dà la forma femminile di uso raro. Sono per il femminile il Palazzi e il Gabrielli. Una rapida ricerca con Googlelibri ci rincuora, però: 424 occorrenze per "la retrobocca" e 159 per "il retrobocca".
martedì 27 agosto 2013
Vero e proprio
Una riflessione del linguista Luciano Satta, che facciamo nostra e la portiamo all'attenzione degli amici lettori. Vediamo. "Una sciocchezza (...) è il rafforzare un traslato con l'espressione 'vero e proprio'; è un rafforzamento che ottiene lo scopo contrario, perché l'immagine viene indebolita, anzi la metafora, se si vuol essere rigorosi, non è più metafora e cade nel ridicolo. Qualcuno scrisse, spiegando il significato di una certa legge ponte (cioè del provvedimento temporaneo che si prende in attesa di uno più ampio e organico) che essa legge era un 'vero e proprio ponte'; noi non la vedemmo altro che come una legge riguardante strade e ponti".
lunedì 26 agosto 2013
Essere (o fare) la maga Alcina
Chi è una maga Alcina? Una donna maliarda, affascinante. Si dice, in particolare, di una donna che si serve dell'arte della seduzione per raggiungere i suoi scopi. Il detto fa riferimento alla maga Alcina, una delle sorelle della fata Morgana, "immortalata" nell' Orlando Furioso di Ludovico Ariosto.
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Riteniamo opportuno ricordare che il sostantivo "sosia" (che significa persona somigliantissima a un'altra) è di genere maschile (e invariabile) e tale deve rimanere anche riferito a una donna: Maria è "il" sosia di Giovanna; Stefania e Serafina sono "i" sosia di Concetta e Maddalena. Stupisce il constatare che l'autorevolissimo DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, negli esempi scriva: "Le sosia". Gli fa buona compagnia, comunque, l'altro autorevole vocabolario: il Treccani.
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Riteniamo opportuno ricordare che il sostantivo "sosia" (che significa persona somigliantissima a un'altra) è di genere maschile (e invariabile) e tale deve rimanere anche riferito a una donna: Maria è "il" sosia di Giovanna; Stefania e Serafina sono "i" sosia di Concetta e Maddalena. Stupisce il constatare che l'autorevolissimo DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, negli esempi scriva: "Le sosia". Gli fa buona compagnia, comunque, l'altro autorevole vocabolario: il Treccani.
sabato 24 agosto 2013
Colluttorio o collutorio?
Uno strafalcione ortografico che si perde nella notte dei tempi e duro a morire: colluttorio. La grafia corretta è con una sola "T" (la colluttazione non c'entra nulla) perché viene dal latino "collutus", participio passato di "colluere" (sciacquare).
lunedì 19 agosto 2013
Adito e... adito
Speriamo di non peccare di presunzione se affermiamo che poche persone sanno che "adito" appartiene alla schiera delle parole omonime, ma con significati distinti, nel caso specifico addirittura antitetici: "accesso","ingresso" e il suo contrario: il portone dà adito al giardino; ecco l'adito (luogo più interno, quasi inaccessibile) del tempio. Per una più chiara ed esauriente spiegazione si veda qui, qui e qui.
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Una parola al giorno: zimbello.
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Una parola al giorno: zimbello.
venerdì 16 agosto 2013
Una scoperta allucinante
Navigando in rete abbiamo fatto una scoperta
allucinante. Numerosi scrittori, di ieri e di oggi, scrivono “ubicuità”. Non
seguiteli, amici, per carità, la grafia corretta è, ovviamente, ubiquità (con la “q”)
perché viene dal latino “ubiquitatem”.
giovedì 15 agosto 2013
Sputare tondo
Questo modo di dire – per la verità dal “sapore” un
po’ volgare, del quale ci scusiamo – si “mette in bocca” alle persone che
vogliono parlare pomposamente, con tono solenne e grave tanto che il loro
volto, anzi la loro bocca assume una posizione quasi ridicola, identica a
quella che si otterrebbe se si pretendesse di avere uno sputo perfettamente…
tondo. Visto che siamo in tema di… sputi, vogliamo vedere l’origine (etimologica,
naturalmente) del verbo sputare? Si veda anche qui.
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Agli amici lettori, che seguono le nostre modeste noterelle sulla lingua italiana, riformuliamo gli auguri per un sereno Ferragosto.
mercoledì 14 agosto 2013
Perdere la "erre"
A tutti può capitare, per motivi i piú svariati, di
trovarsi in una situazione particolare e perdere, quindi, il controllo di sé e
di confondersi. “Perdere la erre”, insomma, significa non avere piú il
controllo della ragione, ma soprattutto perdere il filo del discorso, come si
può leggere nelle note linguistiche al “Malmantile racquistato” (un poema
burlesco): « (Perdere la erre) significa imbriacarsi, perché i briachi stentano
a proferire la lettera erre per avere la lingua legata dal troppo bere», donde
il senso figurato del modo di dire.
domenica 11 agosto 2013
Avviso
Per motivi tecnici, e per un periodo di tempo non
determinato, questo portale potrebbe non
essere costantemente aggiornato. Ci scusiamo con i nostri Lettori, ai quali
auguriamo un felice Ferragosto.
sabato 10 agosto 2013
Da cattivo corvo, cattivo uovo
Questo modo di dire, per la verità di uso raro è,
tuttavia, di significato intuitivo. Di origine proverbiale, l’espressione si
adopera – potremmo dire in campo filosofico – per sostenere due concetti
antitetici: che l’indole dell’uomo ( e della donna) è dovuta al patrimonio
genetico ereditato, o che, al contrario, la persona, o meglio la natura della
persona è il frutto dell’ambiente e dell’educazione. A sostegno della prima
tesi, quella dell’ereditarietà, si riporta il fatto che il corvo non è commestibile,
né lo sarebbero le sue uova (e questo sarebbe il significato originario del
detto). Il modo di dire si riallaccia anche a un aneddoto sul maestro di
retorica Corace, il quale citò in giudizio un suo discepolo, tale Tisia, perché
non gli aveva pagato quanto stabilito per le lezioni. Per difendersi l’accusato
ricorse a un sofisma, dicendo a Corace: «Se avrai ragione tu, significa che non
mi hai insegnato nulla e pertanto non meriti nessun emolumento; se vincerò io,
a maggior ragione non ti dovrò nessun compenso». Di fronte a questo
ragionamento i giudici dedussero che da un cattivo maestro non può che venire
un cattivo allievo. Sembra che avessero adoperato la locuzione sopra citata in
quanto il nome proprio Corace è identico a quello del nome comune greco per
indicare il corvo.
* * *
Due parole sul verbo intransitivo “procedere”, che
può prendere tanto l’ausiliare ‘essere’ quanto ‘avere’. La scelta dell’ausiliare,
però, è legata al significato che si vuol dare al verbo. Si adopererà l’ausiliare
‘essere’ quando il predetto verbo sta per ‘derivare’, ‘proseguire’: tutto ciò è
proceduto (derivato) dalla tua imperizia; si userà ‘avere’, invece, nel
significato di ‘dar principio’, ‘dare inizio’, ‘agire’ e simili: dopo le
discussioni hanno proceduto (dato inizio) alle votazioni.
venerdì 9 agosto 2013
Mettersi di punta
Chi non ha mai adoperato questo modo di dire che –
in senso figurato – significa “mettersi a fare un lavoro fisico o intellettuale,
con molto impegno e determinazione, decisi a condurlo a buon fine a tutti i
costi”? Questa stessa espressione si adopera anche – e sempre figuratamente –
in riferimento a colui (o colei) che agisce contro qualcuno con accanimento,
rabbia, rancore, gelosia e via dicendo: oggi mi metto proprio di punta, voglio
vedere se Carlo continua a fare il comodo suo! Ma cos’è questa “punta”? È la
punta della lancia. Il modo di dire, infatti, è antico e si riallaccia ai
tornei cavallereschi, quando i vari contendenti scendevano in campo armati di
lancia. Colui che si mette di punta verso qualcosa o qualcuno è come se –
naturalmente in senso figurato – affrontasse un ipotetico nemico presentandogli
la punta della lancia. E a proposito di punta, “prendere di punta” non vi dice
nulla? L’origine della locuzione è la stessa della precedente e significa –
come si sa – trattare qualcuno in modo brusco, avere un atteggiamento per nulla
accomodante nei confronti di terzi. Trattare una persona, insomma, come se si
sfidasse a una prova di forza, magari a un duello con la lancia e, quindi, la
si prende di punta.
giovedì 8 agosto 2013
Spartitraffico: si pluralizza o no?
A proposito del plurale di “spartitraffico” di cui abbiamo parlato domenica 4 agosto perché abbiamo notato una disparità di vedute tra il vocabolario Gabrielli in rete (ritoccato), che attesta il termine come sostantivo invariabile e il Dizionario linguistico, dello stesso autore, che lo dà, invece, variabile (spartitraffici), dobbiamo dire, per onestà, che anche gli altri vocabolari consultati classificano il vocabolo tra i termini invariabili. Il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, attesta il plurale come forma meno comune. Noi seguiamo ciò che scrive Aldo Gabrielli (Dizionario Linguistico Moderno) perché il termine in oggetto segue la regola del plurale dei nomi composti. Tale regola stabilisce che i nomi composti di una forma verbale (spartire) e di un sostantivo singolare maschile (traffico) cambiano nel plurale la desinenza del sostantivo: il parafango, i parafanghi; il passaporto, i passaporti; il coprifuoco, i coprifuochi, lo spartitraffico… gli spartitraffici.
mercoledì 7 agosto 2013
Ingoiare il rospo
Pregiatissimo dott. Raso,
la ringrazio di cuore per
la sua esauriente e dotta risposta circa la locuzione “Far quadrato”.
Approfitto della sua non comune gentilezza per un’altra domanda, o meglio per
una curiosità. Donde deriva l’espressione “ingoiare il rospo”? La ringrazio
sempre con anticipo e le porgo i miei ossequi.
Sabino A.
Sabino A.
Mantova
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Cortese amico, l’origine dell’espressione da lei
proposta non è molto chiara, direi, anzi, sconosciuta. Come credo sappia, si
adopera per mettere in evidenza il fatto di essere costretti a dover sopportare
e accettare qualcosa di increscioso, quindi non “digeribile”, naturalmente in
senso metaforico. Si potrebbe formulare l’ipotesi che questa locuzione tragga
origine dal fatto che i rospi, chiamati anche “bufoni”, provocano una difficile
digestione alle serpi, ghiottissime di tali prede.
martedì 6 agosto 2013
La dieta e la... dieta
Riprendiamo il viaggio – interrotto tempo fa – alla ricerca
di parole omofone ma di significato diverso. Questa volta facciamo tappa alla “dieta”.
Prima, però, ci sembra importante ‘capire’ bene il concetto di parole omofone
(dette anche “omonime”) che si differenziano da quelle “omografe”. Le parole
omofone, dunque, sono chiamate anche omonime perché oltre ad avere il medesimo “suono”
(vale a dire la stessa pronuncia) hanno anche lo stesso nome, ed è il caso,
appunto della dieta; quelle “omografe”, invece (dal greco ‘homòs’, uguale e ‘grafè’,
segno), hanno la medesima grafia, ma il “suono”, cioè la pronuncia (e quindi il
‘nome’), non sempre uguale: légge (norma) e lègge (dal verbo leggere), accétta
(scure) e accètta (dal verbo accettare). Le parole omofone, quindi, sono sempre
omografe; queste ultime, invece, non sempre sono omofone. Sarà bene, per tanto,
nello scrivere, accentare le parole omonime che possono ingenerare ambiguità:
balia e balía, regia e regía, ambito e ambíto, dècade e decade, circuito e
circuíto. L’accento che si adopera in questi casi è chiamato “fonico” perché fa
cambiare, appunto, il “suono” alle parole che hanno il medesimo nome. E veniamo
alla dieta, parola omonima ma con due
significati.
L’accezione piú nota, quella sulla bocca delle ragazze, in
particolare, è quella che recitano i comuni vocabolari, vale a dire «regime
alimentare a cui uno si sottopone per cura o per igiene; esso viene stabilito
da un medico specialista il quale, tenendo presente l’attività svolta dal
soggetto, il suo fabbisogno di calorie e il suo stato di salute generale, gli
prescrive certe regole di vita e soprattutto la quantità e la qualità dei cibi
di cui deve nutrirsi». In questo significato il termine dieta è il latino “diaeta”,
tratto dal greco “díaita”, che propriamente significa ‘vita’, quindi ‘modo di
vivere’, ‘tenore’, ‘regola di vita confacente alla salute’. L’altro
significato, quello di “assemblea”, è tratto dal latino “dieta” (senza il
dittongo “ae”), un derivato di “dies” (giorno), vale a dire ‘spazio di un
giorno’ e, per estensione, ‘giorno stabilito per l’adunanza’. In origine con la
“dieta” si intendeva l’ “assemblea
nazionale dei popoli germanici”, in seguito “assemblea del sacro romano impero”,
alla quale prendevano parte i feudatari, l’alto clero e i delegati delle città
imperiali riuniti per prendere decisioni importanti. Con il trascorrere del
tempo il vocabolo in questione ha acquisito il significato generico di ‘assemblea’
e, per estensione, quello di ‘parlamento’. Se non cadiamo in errore il
Parlamento giapponese non si chiama, per l’appunto, “Dieta”?
lunedì 5 agosto 2013
Tutti insieme a far quadrato
Gentilissimo
dott. Raso,
ieri,
domenica, tutto il cosí detto popolo della libertà ha fatto quadrato attorno al
suo capo per manifestargli affetto e solidarietà. Potrei sapere, cortesemente, l’esatto
significato del modo di dire e la sua origine?
Grazie in anticipo
e complimenti per il suo meraviglioso e impareggiabile blog.
Sabino A.
Mantova
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Cortese
Sabino, l’espressione “tutti insieme a far quadrato”, che si adopera per dire
che si è tutti della medesima idea, quindi tutti uniti per raggiungere uno
stesso fine, ci è stata tramandata dalla tradizione militare, o meglio dalla
tattica militare, che in passato prevedeva che i fanti formassero un quadrato per difendersi dagli assalti della cavalleria. È interessante ricordare, in
proposito, il “quadrato” nelle guerre d’indipendenza italiana: quello di
Solferino e quello di Villafranca nella battaglia di Custoza.
domenica 4 agosto 2013
Sull'uso corretto del verbo tradire
Il verbo “tradire”, leggiamo nel “Dizionario
Linguistico Moderno” di Aldo Gabrielli, «spesso è usato, sul modello francese,
col significato di ‘manifestare’, ‘rivedere’, ‘palesare’, ‘mostrare’, ‘scoprire’,
‘dare a divedere’, ‘essere indizio’ e simili: “Ogni atto tradiva la sua
commozione”; “L’abito aderente tradiva le sue forme”; “Ciò che fai tradisce la
tua bassa origine” e simili, è un uso improprio, che bisogna evitare, perché in
tutti questi esempi non c’è ombra di tradimento o di inganno. Si userà invece
bene nel significato di rivelare involontariamente ciò che si voleva celato, e
che reca pericolo e danno: “Negava ostinatamente, ma il rossore del viso lo
tradiva; “Pareva innocente, ma con una incauta parola si tradí”». Possiamo, se
amiamo il bel parlare e il bello scrivere, non seguire il suo consiglio?
Approfittiamo dell’occasione per segnalare, ancora
una volta, una disparità di vedute tra il vocabolario Gabrielli in rete
(ritoccato) e il Dizionario, sopra citato, dello stesso autore circa l’invariabilità
o no del sostantivo “spartitraffico”. Il vocabolario ritoccato sostiene l’invariabilità
del termine, il Dizionario, invece, scrive a chiare lettere: plurale “spartitraffici”.
sabato 3 agosto 2013
Agire dietro le quinte
In quell’occasione il nostro amico Peppino dovette
incassare il colpo: intervenuto in una discussione tra compagni di lavoro si
sentí rispondere che non aveva alcuna voce in capitolo; era un argomento di
carattere squisitamente personale, il “sindacalese” non doveva entrarvi. Non
sapevano, ahiloro, che il nostro sindacalista avrebbe agito dietro le quinte.
Vediamo, quindi, l’origine di quest’espressione che – come si sa – si adopera
quando si vuole mettere in particolare risalto il ruolo di una persona che, pur
senza “apparire”, opera in modo che le cose vadano secondo i suoi desiderata.
Questo modo di dire ci è stato “consegnato” dal gergo teatrale. Secondo Carlo Battisti «la frase ‘nascosto dietro le quinte’ ebbe origine dall’abitudine di
Arlecchino di nascondersi dietro il loro panneggio, chiamato, perciò, ‘manto di
Arlecchino’». Poiché il panneggio è la perfetta disposizione delle pieghe di una
veste, di un drappo, potremmo azzardare l’ipotesi secondo la quale Arlecchino
si nascondesse dietro la “quinta” piega del panneggio. Vediamo anche ciò che
dice in proposito Ottorino Pianigiani.
venerdì 2 agosto 2013
Cavarsela per il rotto della cuffia
«E cosí, anche questa volta, agli esami d’italiano
te la sei cavata per il rotto della cuffia», sbottò il padre, non celando un
certo disappunto. «Ma papà, cosa dici?! Agli esami ero a capo scoperto, non
avevo nessuna cuffia». «Sciocco, lo vedi che ho ragione, come hanno fatto a
promuoverti se non conosci neanche il significato di ciò che ho detto? Voglio
dire che sei stato promosso a malapena, per un pelo, di stretta misura. Si
adopera quest’espressione, cioè ‘cavarsela per il rotto della cuffia’, quando
si vuol mettere in evidenza il fatto che ci si è salvati da un pericolo, da un
insuccesso – come nel tuo caso – solamente perché alcune circostanze ci sono
state favorevoli». «E la cuffia, papà, che c’entra? Forse si usa come
talismano?». Il padre, a questo punto, pensò proprio che la sventura si fosse
abbattuta sulla sua casa, dandogli un figlio scemo. Poi si riprese e con calma
tentò di spiegare al pargolo l’origine e il perché di questo modo di dire.
«Vedi, figliolo, questa frase idiomatica pare provenga da un gioco medievale,
detto del saracino o della quintana. Il cavaliere, armato di lancia, doveva
colpire lo scudo di un fantoccio, abbigliato da saracino, cercando di non farsi
disarcionare. Spesso, però, i cavalieri venivano colpiti alla cuffia dalla
mazza del fantoccio, ma i giudici di
gara davano ugualmente buona la prova perché il ‘concorrente’ non era stato
disarcionato; pur non avendo effettuato una gara eccezionale, il cavaliere
aveva vinto “per il rotto della cuffia” (la cuffia, cioè, si era rotta per l’urto
ma il cavaliere non era stato disarcionato, rimanendo incolume)». Per quanto
attiene al nome del gioco, la “Quintana” (o del saracino), riteniamo sia
interessante conoscerne l’origine. Sembra derivi dal francese del XII secolo, “quintaine”,
e questo dal … latino “quintana” (strada trasversale del campo romano, dietro
il pretorio, nella quale si teneva il mercato; strada di “quinto rango”,
diremmo). La quintana, all’inizio, era la strada che dovevano percorrere i cavalieri,
poi, con il trascorrere del tempo, per estensione, ha assunto anche il
significato di “giostra”, “gioco”.
giovedì 1 agosto 2013
Fare una cosa a braccio...
… vale a dire con una certa approssimazione. Prima
di parlare del modo di dire è necessario – per “capire” il modo di dire stesso –
fare una breve “introduzione” sul braccio. Come si sa il braccio vero e
proprio, sotto il profilo strettamente anatomico, è quel tratto dell’arto
superiore che va dalla spalla al gomito; comunemente, però, con il medesimo
termine si intende tutto l’arto, fino alla mano. Questa parte del corpo umano è
stata considerata – sin dai tempi dei tempi – un’estensione della volontà e
della mente e con il tempo è divenuta il simbolo della forza e della capacità
intellettuale. Il braccio, inoltre, per secoli è stato un’unità di misura
lineare il cui valore cambiava, seppure di poco, a seconda delle zone
geografiche. Il braccio, insomma, era il metro attuale e veniva adoperato,
infatti, per la misurazione dei tessuti. Questa unità di misura (circa un
metro) rimase in vigore fino all’introduzione, in Italia, del sistema metrico
decimale. Su queste basi sono nate le varie espressioni come “prestare il
braccio”, sottintendendo armato, a una causa; “offrire il braccio” o “porgere
il braccio”, vale a dire un appoggio, un sostegno; “essere il braccio destro
(di qualcuno)”, cioè l’uomo di fiducia, in senso di intelletto: colui che è il
braccio destro di qualcuno opera ‘intellettivamente’ come la persona che
sostituisce, è, insomma, sulla medesima ‘lunghezza d’onda di pensiero’. A questo
punto dovrebbero essere chiari il senso e l’origine dell’espressione “fare una
cosa a braccio” e soprattutto – essendo piú adoperata – la locuzione “parlare a
braccio”. La prima, che significa ‘all’incirca’, ‘approssimativamente’, fa
riferimento al braccio come unità di misura ed è ‘legata’ – generalmente – ai verbi
valutare, vendere, misurare, procedere, andare e simili. La seconda si
riferisce soprattutto a un oratore o a un attore che improvvisano, i quali
adoperano il braccio come fosse un
copione o un testo da leggere, in senso figurato, naturalmente. L’oratore che
parla a braccio, cioè senza leggere un testo preparato prima, è privo, in un
certo senso, di ‘misura’, vale a dire di ‘lunghezza di tempo’ in quanto il
braccio indica(va), appunto, una ‘misura approssimativa’.
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