Vogliamo vedere, cortesi amici, alcuni usi impropri dell’idioma di Dante? Usi non errati ma impropri – come dicevamo – e in quanto tali, a nostro modo di vedere, sono da evitare. Cominciamo con ”tante cose”, gallicismo entrato nell’uso comune come locuzione di saluto o di convenevoli, in luogo di “cordiali saluti”, “complimenti”, “ossequi” e simili. Staremmo per dire, meglio “poche cose”, ma… corrette. Come non è corretto il termine “ossequiente”. Questo vocabolo non è un deverbale, vale a dire non deriva dal verbo ‘ossequiare’, come molti erroneamente credono; se cosí fosse sarebbe “ossequiante”. Viene dal latino “obsequente(m)”, divenuto in lingua volgare, l’italiano, “ossequente” per la legge dell’assimilazione, che è un processo linguistico per cui dall’incontro di due consonanti la prima diventa uguale (si ‘assimila’) alla seconda. E che cosa dire di “marcare”, adoperato a ogni piè sospinto nelle accezioni di ‘registrare’, ‘annotare’, ‘rimarcare con la voce’? Il suddetto verbo, alla lettera, vale “contrassegnare con un marchio”. Nei significati sopra riportati riteniamo “piú corretto” ricorrere ai verbi ‘rafforzare’, ‘accentuare’ e simili. Ci sembra molto appropriato, invece, come sinonimo di “segnare”, nel gergo calcistico. Ma forse, ciò che abbiamo scritto, è solo una nostra pedanteria.
lunedì 18 febbraio 2013
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